venerdì 30 settembre 2016

Una ricetta particolare
Si parla sempre di ‘lumache’, ma la correttezza scientifica richiederebbe la correzione in ‘chiocciole’: le prime non hanno né guscio né alcun interesse gastronomico; le seconde, della specie Helix pomatia, sono quelle delizie gastronomiche che i francesi chiamano ‘escargots’, dicono di raccogliere in vigna e preparano ‘alla borgognona’, cuocendole in acqua e vino bianco, per poi servirle con burro aromatizzato allo scalogno.  Dal punto di vista nutrizionale la carne di questi molluschi gasteropodi ha buon livello di proteine (13%) e contenuto di grassi molto limitato (1,7%). La raccolta è ubiquitaria nelle regioni centro-settentrionali di clima fresco. Celebri ‘città delle lumache’ sono Cherasco in Piemonte e Bobbio in Emilia, ma lungo tutta l’asta del Po si registra una notevole tradizione di raccolta e gastronomia. In Lombardia, per esempio, le lumache si preparano trifolate, con burro, aglio e prezzemolo, accompagnate da polenta fresca di paiolo, ma anche fritta. Piuttosto diffuso è l’allevamento (elicicoltura), che riguarda per tre quarti la specie Helix aspersa, più produttiva, e consente di disporre di prodotto per così dire pronto all’uso, evitando la laboriosa pratica di spurgo dei molluschi e la bollitura.
La Lumaca reggina
Incastonata tra ettari di distese di arance e bergamotti e a qualche chilometro dal suggestivo scenario dello Stretto di Messina nasce “LA LUMACA REGGINA”, che con una superficie di circa 10.000mq e i suoi 51 recinti realizzati in campo aperto grazie alle favorevoli condizioni climatiche di cui gode il nostro territorio si pone tra gli allevamenti elicicoli più grandi d'Italia. Essa nasce dal grande impegno e infinita determinazione di due amici Filippo e Carmelo, incontratasi poi con l'esperienza nel settore agricolo di Santo e Antonio un mix perfetto per la realizzazione di un sogno divenuto prima progetto e qualche mese dopo realtà. Spinti da una profonda quanto innata passione per la Terra hanno rivolto lo sguardo verso l'affascinante mondo dell' Elicicoltura, decidendo di entrare in un mercato che negli ultimi anni ha registrato dei notevoli incrementi di domanda/offerta. Impegno, determinazione ed esperienza nel settore agricolo hanno permesso di realizzare il progetto, mettendo su' secondo il sistema di allevamento all'aperto il più grande allevamento elicicolo presente in Calabria con i suoi 51 recinti disposti su una superficie di 10000 mq incastonati tra ettari di distese di arance e bergamotti, a qualche chilometro di distanza dal suggestivo scenario dallo stretto di Messina. L’impianto è dotato di strutture e dispositivi che rispondono alle più recenti innovazioni tecnologiche mantenendo però sempre alta l'attenzione sulle caratteristiche qualitative del prodotto. Dettagli di progettazione e di gestione  consentono di condurre l'intero ciclo all'interno dei recinti all'interno dei quali viene fornito  alle chiocciole il necessario apporto nutrizionale con la somministrazione di ortaggi scrupolosamente scelti con la consulenza collaborativa di dottori alimentaristi e veterinari le scelte sono frutto di accurate ricerche scientifiche. Il processo di raccolta viene effettuato esclusivamente a mano.
La spurgatura e la successiva conservazione nelle celle frigorifere avviene in ambiente ad umidità e temperatura controllata che, impedendo ogni possibile sbalzo, garantisce un perfetto equilibrio di conservazione della qualità del prodotto.
E' così che il frutto di un processo produttivo semplice e controllato permette a La Lumaca Reggina di ottenere la soddisfazione e la qualità che ogni cliente richiede e che ritrova in tavola.

Lumache fritte
Le lumache fritte si preparano lasciando spurgare le lumache prima di lessarle in acqua bollente, al termine verranno eliminati i gusci e si passeranno le lumache prima nella farina, poi nell'uovo sbattuto e infine nel pangrattato per friggerle infine nell'olio bollente e servirle subito in tavola.
Ingredienti
500 g Lumaca Calabrese
q.b. Olio per friggere
q.b. Farina
2 Uovo
q.b. Sale
q.b. Pepe
q.b. Pangrattato
 Preparazione
Per cucinare correttamente le lumache bisogna prima bagnarle in modo che tutte tirino fuori le cornicine dopodiché occorre lavarle in modo accurato semplicemente con acqua ed un pizzico di sale in modo da pulirle dalla bava…Quando la schiuma (che altro non è che la bava) sarà finita o quasi, si passa ad un ulteriore risciacquo sotto l'acqua corrente. Lessare le lumache in abbondante acqua bollente per almeno un'ora. Al termine privarle del guscio mentre sono ancora calde, infarinarle e passarle poi nelle uova sbattute con sale e pepe e successivamente nel pane grattugiato.  Friggere le lumache in abbondante olio bollente e servire subito in tavola.


Vini in abbinamento con le ricette con la  lumaca calabrese
Critone Val di Neto Bianco IGT
Comune di produzione
Azienda Critone in agro di Strongoli e Rosaneti in agro di Rocca di Neto/Casabona
Regione di produzione
Calabria
Uve
Chardonnay 90%, Sauvignon 10%
Tipologia del terreno
argilloso, calcareo
Sistema di allevamento e densità d’impianto
cordone speronato, 5000 piante ad ettaro
Resa per ettaro
80 quintali – 52 ettolitri
Epoca di vendemmia
fine agosto – prima settimana di settembre
Vinificazione
in acciaio termocondizionato, con pressatura soffice delle uve
Affinamento
in acciaio, con una breve permanenza in bottiglia di alcuni mesi prima della commercializzazione
Periodo ottimale di consumo del vino
da uno a tre anni
Santa Chiara -  Azienda Agricola Terre Nobili – Lidia Matera – http://www.tenutaterrenobili.it
IGP Calabria
bianco
L’uva e il vigneto
Nell’azienda agraria di proprietà, che si estende per circa 36 ettari nel comune di Montalto Uffugo, abbiamo individuato e selezionato un territorio che possiede per esposizione, giacitura e composizione, le caratteristiche ideali per la produzione di un grande Greco.
 La vinificazione
Le tecniche in vigna, ivi compreso il diradamento estivo dei grappoli, sono tutte mirate a contenere la produzione tra i 1000 ed i 1100 grammi di uve per pianta.
 Il vino
All’aspetto è cristallino, di colore paglierino scarico. All’olfatto si presenta intenso, persistente, fine con sentori di fiori di zagara, pesca bianca, arancia matura e pompelmo. Al sapore è secco, Fresco, molto sapido pieno.
Al retrogusto spiccano: sapidità , note minerali fiori e frutta.
Greco 100%
Azienda Agricola Terre Nobili -  

Montalto Uffugo
Le lumache alla calabrese
quello delle lumache è un piatto classico della nostra tradizione culinaria; si tratta infatti di una pietanza apprezzata e diffusa un po' in tutte le regioni. Naturalmente in ognuna di esse il modo di cucinare le lumache si presenterà diverso, ma con un risultato davvero sempre encomiabile: cotte in umido o trifolate, o cucinate con il pomodoro, che permette al piatto di essere gustato accompagnato con la polenta o con il pane. La varietà di lumaca che ritroviamo nell’Italia meridionale, e precisamente in Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna, è di dimensioni medio-piccole, con una carne è particolarmente delicata. La durata della cottura della lumaca può variare, a seconda della sua grandezza, ma generalmente, non è inferiore ad un'ora e superiore a due. Ma le lumache alla calabrese sono pronte in circa un'ora di cottura, tranne che non si utilizzino quelle in scatola, per le quali invece occorreranno circa una quindicina di minuti. Ecco dunque come preparare le lumache alla calabrese.
1 Kg. di lumache (senza guscio)
Olio extravergine d’oliva
300 gr. di cipolle
100 gr di passata di pomodoro
Peperoncino in bacche o in polvere
Origano
Sale
Stiamo parlando di un gustoso secondo piatto da servire specialmente in autunno e inverno, ossia quando il tempo è ideale per la raccolta delle lumache. Questi animaletti, infatti, chiamati dai calabresi anche "cozze di terra", si possono raccogliere soprattutto dopo le prime piogge autunnali, appena essi escono dal terreno umido. Nella preparazione del piatto bisogna aver pazienza per le operazioni preliminari, per le quali occorre tempo e cura, se si vogliono utilizzare le lumache fresche. Ma saremo senz'altro confortati dalla rapida esecuzione e dal sapore soddisfacente della pietanza. Se abbiamo poco tempo però possiamo sempre acquistare le lumache già sgusciate e pulite, per evitare le operazioni di spurgatura e pulizia, particolarmente lunghe e laboriose.
Occupiamoci dunque di queste due operazioni, mettendo le lumache in una ciotola con del pangrattato o della farina con cui esse possano cibarsi e spurgare, avendo cura di mettere uno scolapasta a chiusura della ciotola con un peso notevole sopra di esso, per impedire agli animaletti di fuoriuscire. Una volta spurgate, laviamole ripetutamente, fino a quando l'acqua risulterà limpida e le mani non avranno quella spiacevole sensazione di viscido. Poi mettiamole a sgocciolare, sempre accuratamente coperte. Tritiamo ora finemente le cipolle e lasciamole per una mezz’ora in acqua fredda con una manciata di sale, per renderle più digeribili. Scoliamole e mettiamole in un largo tegame a soffriggere a fuoco dolce, insieme all’olio extravergine di oliva. Non appena le cipolle si imbiondiranno, versiamo le lumache in modo che esse formino un solo strato, rosolandole a fuoco vivo per qualche minuto. Aggiungiamo quindi un po’ di acqua calda, saliamo quanto basta e facciamo cuocere per quaranta minuti circa a tegame coperto. Nel caso in cui l’acqua dovesse evaporare prima della fine della cottura, aggiungiamo altra acqua calda, perché le lumache devono rimanere umide.
Appena le lumache saranno cotte, aggiungiamo della passata di pomodoro e del peperoncino in polvere oppure in bacche. Proseguiamo la cottura fino a quando il sugo non sarà ben amalgamato alle lumache. Potremo a questo punto spegnere il fuoco, versate un filo d’olio crudo e completare con una cucchiaiata di origano. Serviamo il piatto accompagnato da fette di pane casareccio, eventualmente abbrustolite.
Non dimenticare mai:

Gustare con del buon vino calabrese. Usare gli stuzzicadenti per tirarle fuori dal guscio e gustarle.



VALORE DIETETICO-NUTRIZIONALE
DELLA LUMACA, CONFRONTO FRA SPECIE
E FRA SOGGETTI RACCOLTI IN NATURA ED ALLEVATI

La lumaca di terra (o chiocciola) è un mollusco, ossia un animale privo di scheletro. In Italia per l'alimentazione vengono utilizzate tre specie di lumache: la Helix pomatia (la Borgognona), la Helix aspersa (la Ligure), la Helix lucorum (la Vignaiola, la più pregiata). Attualmente le lumache destinate all'alimentazione provengono per la maggior parte da allevamenti specializzati (le aziende di elicicoltura). In questi impianti il mollusco viene posto nelle condizioni ambientali ideali, favorendone la riproduzione.
Da un lavoro realizzato da ricercatori dell'Università di Parma (1) è stato dato un contributo per l'approfondimento delle conoscenze utili ai fini della valorizzazione del prodotto alimentare (lumaca".
E' stata realizzata un'indagine sul contenuto in principi nutritivi delle diffuse specie di chiocciole del genere Helix in Italia. Un approfondimento particolare ha riguardato la composizione in acidi grassi della componente lipidica della parte edibile della chiocciola. Vengono inoltre sinteticamente riportati anche i risultati del confronto intra-specifico in termini compositivi fra molluschi prodotti in allevamento e molluschi raccolti in natura.
Per la rilevazione dei dati sono state analizzate lumache appartenenti alle specie lucorum, aspersa, pomatia, aperta e vermiculata del comune genere Helix provenienti da diverse zone del paese (provincie di Cagliari, Caserta, Cuneo, Lecce, Modena, Ravenna e Verona). Il prodotto era, per la maggior parte, proveniente da raccolta in natura e, per le sole specie lucorum, aspersa e pomatia, è stato analizzato anche prodotto di allevamento. Le lumache sottoposte ad analisi erano opercolate e, ad eccezione dei soggetti della specie aperta, di pezzatura relativamente omogenea con peso compreso fra i 12-16 grammi. Queste ultime avevano una pezzatura compresa fra 4 e 5 grammi.
Valutazioni generali sulle caratteristiche alimentari delle lumache
Dalle analisi svolte si può sostenere che la lumaca ha un buon contenuto in sostanza secca. Il contenuto medio in proteine è pari a 12,4% ed è, fra i principi nutritivi, quello che presenta la maggior variabilità in funzione della specie.
Il maggior contenuto proteico, pari a 14,9%, compete a H. lucorum mentre il minor contenuto, pari a 10,2%, compete a H. vermiculata; H. aspersa e H. pomatia hanno un contenuto proteico intermedio alle due specie suddette. Non sembrano invece sussistere, all'interno della stessa specie, sostanziali differenze nel contenuto proteicofra prodotto raccolto in natura e prodotto allevato.
Il contenuto medio in ceneri è risultato pari a 2,2% con valori che variano fra un minimo dell'1,4% e un massimo del 2,5%.
Quelli rilevati sono valori sicuramente alti ma giustificati dalle necessità metaboliche e fisiologiche del mollusco in accrescimento per la genesi della conchiglia (per larga parta costituita da fosfato di calcio). I valori riscontrati sono comunque nell'ordine di grandezza di quelli propri dei gasteropodi. Gli estrattivi, quota parte della composizione tissutale ascrivibile agli zuccheri, costituiscono nel loro insieme un'eterogenea categoria di composti di cui il glicogeno è, nei tessuti animali, quello predominante. Il riscontro di quantità relativamente elevate di estrattivi nelle carni della lumaca viene, secondo alcuni autori, ricondotto alla specificità di questi polmonati rispetto agli altri animali eterotermi ad immagazzinare le riserve energetiche in forma di polisaccaridi piuttosto che di grassi. Il valore energetico è modesto e mai superiore a 90 kcal/100 grammi. Il contenuto di grasso, il cui valore medio risulta essere pari allo 0,6%, presenta un ridotto intervallo di oscillazione considerato che il valore massimo (1,1%) è stato rilevato in un campione soltanto.
La massa muscolare del prodotto analizzato presenta pertanto ridotte quantità di grassi di deposito a vantaggio del grasso a valenza strutturale facente parte delle membrane che avvolgono le cellule. E' stato inoltre effettuato un confronto intra-specifico fra lumache raccolte in natura e allevate con lo scopo di effettuare una valutazione, che qui viene riportata, di un eventuale effetto riconducibile all'allevamento confinato e/o della dieta sulla composizione in principi nutritivi della massa muscolare del piede. Nelle lumache in oggetto non sono state rilevate differenze significative né a carico della quantità totale di grasso né a carico della composizione in acidi grassi fra i soggetti allevati e quelli della stessa specie raccolti in natura.
L’azienda Agricola Iusi –
Situata a Tarsia, in provincia di Cosenza e più precisamente nella Contrada di Ferramonti. Si tratta di un’aerea molto interessante sia dal punto di vista storico che paesaggistico. L’allevamento si sviluppa su una superficie di circa 4000 mq ed è costituito da 18 recinti per la crescita delle lumache della specie Helix Aspersa Maxima, la più diffusa in Italia e in Europa. Le chiocciole vengono alimentate con trifoglio e bietola di semina propria, integrati con un mangime speciale biologico contenente un mix di farinacei, vitamine e calcio.  Negli anni l’incremento dei consumi, a fronte di una disponibilità sempre più ridotta delle lumache allo stato libero, ha portato ad un aumento degli allevamenti che permettono di avere un prodotto finale di maggior qualità (potendo selezionare le erbe con cui alimentarle) e più igienico attraverso la spurgatura prima della messa in vendita. Una volta giunte a maturazione vengono raccolte e lasciate spurgare a digiuno e all’asciutto per circa 20 giorni prima di essere confezionate in sacchetti e messe in vendita pronte per il consumo. L’azienda è lieta di  ospitarvi presso il suo  allevamento per una visita e per offrirvi una degustazione gratuita dei suoi prodotti in abbinamento ad ottimi vini per un happy hour alternativo e sorprendente. L’allevamento si sviluppa a Tarsia, in provincia di Cosenza, su una superficie di circa 4000 mq ed è costituito da 18 recinti per la crescita delle lumache della specie Helix Aspersa Maxima, la più diffusa in Italia e in Europa. A breve l’Azienda Agricola Iusi, sarà pronta ad accogliere gruppi di alunni e scolaresche per incontri didattici e conoscitivi. L’azienda farà conoscere ai più piccoli l’allevamento, la riproduzione, le lumache in cucina e nella storia, aspetti nutrizionali, culturali ed economici. Il commercio del vivo e del prodotto trasformato pronto per l’uso in cucina.

Le ricette con lumache suggerite dallo Chef Andrea Zazzaro dell’azienda Agricola Iusi –
Lumache Calabresi ripiene con ricotta, cipolla bianca e catalogna
Una ricetta dal gusto intenso ma allo stesso tempo delicato. Tagliare la cipolla bianca alla julienne e rosolare in un tegame con dell’olio; sgusciare e pulire le chiocciole togliendo il budello e tagliarle.
cipolla_lumache,  Tagliare la catalogna precedentemente spadellata con aglio olio e peperoncino; far appassire le chiocciole con la cipolla e dopo 10 minuti aggiungere il pomodoro a pezzetti e cuocere qualche minuto. Catalogna ricotta: Preparare il ripieno con la catalogna tagliata la ricotta e il preparato con le chiocciole e aggiustare di sale. Riempire i gusci delle chiocciole con il composto, spolverarle con il parmigiano, disporle in una teglia e cuocere in forno per 4 minuti; ultimata la cottura impiattare.
L’impepata di lumaca calabrese
facile e veloce. servono pochi ingredienti: le lumache calabresi, pomodorini, aglio e peperoncini.
Preparazione
Preparare in un tegame una base con aglio e peperoncino tagliati finemente. Unire un filo di olio all’aglio e al peperoncino; soffriggere e aggiungere i pomodori tagliati a pezzetti e del prezzemolo tritato, lasciare rosolare per qualche istante. Aggiungere le chiocciole precedentemente pulite (vedi come fare) e reinserite nel guscio; sfumare con del vino bianco. Prima di procedere all’impiattamento lasciare evaporare e aggiungere il pepe.
Risotto allo zafferano, parmigiano e lumache calabresi glassate
un piatto leggero anche per i palati più raffinati. Preparare aglio e peperoncino in una padella con un filo d’olio. Aggiungere le chiocciole in padella e sfumare con del vino rosso. Pulire e tritare un cipollotto, aggiungerlo con olio e riso in un tegame, salare e tostare. Bagnare con del brodo vegetale il riso di Sibari  e aggiungere lo zafferano; cuocere il riso di Sibari per circa 15 minuti bagnandolo costantemente con il brodo.  Ultimata la cottura del riso mantecare con una spolverata di parmigiano ed il pepe ed impiattare il riso con le lumache glassate tenute in caldo

Il valore nutritivo della lumaca
I nostri vecchi facevano a gara a chi ne raccoglieva di più e quindi a chi ne mangiava di più. Partivano da casa – soprattutto dopo le piogge primaverili o gli acquazzoni estivi – con i loro vecchi cappellacci, una mantellina ed un paniere a fondo rotto per andare a raccogliere le lumache in natura. Setacciavano i boschi, gli incolti, dietro le ortiche o nelle zone più umide vicino ai fiumi alla ricerca di questi molluschi dalla prelibatezza inarrivabile. Spesso tornavano a casa con la cesta o le ceste piene…si narra che venivano mangiate cotte sulla stufa a legna per poi estrarle dal guscio con dei chiodi per la mascalcia. Oggi invece quasi più nessuno si prodiga nella raccolta della lumaca; è una pratica che invece resta ancora viva in molte popolazioni d’Oriente e nel Magreb ed in altre comunità tradizionali che non hanno ancora conosciuto l’industrialismo e la modernità. Mentre le genti “evolute” d’Occidente non la considerano quasi più, anzi molto spesso si schifano al solo pensiero di mangiare questi animaletti striscianti, bavosi, dalla consistenza viscida. Ed allora vediamo in breve quali sono le proprietà organolettiche di questi molluschi “bavosi e disgustanti”.

La carne della lumaca Helix è povera di grassi saturi, a differenza delle altre carni; è ricca di acqua, proteine e di sali minerali (abbondano il Calcio ed il Magnesio oltre che al Ferro e al Rame). Presenti anche amminoacidi essenziali e la Vitamina C.  Oltre ad essere – come abbiamo accennato – povera in grassi, molto basso è anche il contenuto in carboidrati tanto da rendere le carni di questo animale continentale più simile nutrizionalmente al pesce d’acqua dolce, piatto magro per antonomasia. Passando poi alle sue proprietà terapeutiche, bisogna concentrarsi proprio sul muco (o bava) della Helix; esso infatti secerne una sostanza chiamata elinina che è molto similare ai nostri anticorpi: legandosi ai linfociti del nostro organismo rafforza le difese naturali contro agenti esterni quali batteri, patogeni e cellule tumorali. Tanto più che la bava suddetta risulta anche essere molto diffusa in erboristeria soprattutto per produrre creme idratanti per le pelli più sensibili nonché in omeopatia per la preparazione di prodotti medicamentosi antinfiammatori, molto efficaci nelle affezioni bronchiali e respiratorie utilizzati in particolare nell’ambito della medicina pediatrica. Addirittura pare che la sua azione antibatterica sia accostabile a quella della streptomicina, potente antibatterico fra i più impiegati nella medicina ufficiale.
L’elicicultura e l’azienda agricola nell’elicicultura
L'elicicoltura (da èlica o èlce dal greco elix 'spirale' in questo caso con il significato di chiocciolae da coltura dal latino cultus / colere 'coltivare'), branca della zootecnia, è l'allevamento della chiocciola a scopo alimentare. Ha come obiettivo produrre quantità elevate di questi molluschi per poi venderli alle aziende ristorative interessate. Attualmente essa è diventata una realtà agricola riconosciuta dagli enti pubblici e istituzionali, molti dei quali hanno leggi per atto a suo favore, creando incentivi economici per la diffusione di tale produzione. L'elicicoltura ha origini antichissime infatti nel bacino del Mediterraneo sono stati trovati resti di chiocciole commestibili risalenti al periodo tra la fine del Pleistocene e l'Olocene (10.000-6.000 anni fa. Nell'antichità gli antichi romani praticavano l'elicicoltura con il metodo della Lumaca romana nella zona intorno a Tarquinia. Questo metodo di elicicoltura è descritto la ricco proprietario terriero Quinto Fulvio Lippino nel 49 d.C. e menzionato dal letterato, scrittore e militare reatino Marco Terenzio Varrone nel suo De re rustica del 37 a.C. che descrive l'allevamento in cocleari (in latino cochlea che significa anche chiocciola) che prevedeva l'ingrasso delle lumache con farina ed erbe aromatiche.
Plinio il Vecchio descrive invece gli allevamenti per l'elicicoltura di Fulvio Irpino, che nutriva le sue specie diverse di chiocciole con cibo diverso e vino. Inoltre le lumache come cibo sono descritte per la prima volta nel ricettario De re coquinaria del gastrononomo Marco Gavio Apicio risalente probabilmente ai primi anni del I secolo a.C. L'elicicoltura moderna della specie Cornu aspersum si è diffusa al di fuori dell'Europa in California nel 1850 forse grazie agli emigranti francesi che la usavano per la produzione del loro escargot, mentre altre fonti affermano che furono gli emigranti italiani a portare l'elicicoltura negli Stati Uniti. Sono allevate le seguenti specie di chiocciole per l'alimentazione umana.
Zigrinata o Maruzza (Cornu aspersum), che rappresenta l'80% del patrimonio elicicolo italiano
Vignaiola bianca (Helix pomatia)
Rigatella (Eobania vermiculata)
Cozzella di campagna o bovoletto (Theba pisana)
Sistemi di allevamento[modifica | modifica wikitesto]
Il sistema di allevamento all'aperto[
allevamento all'aperto
Il sistema di allevamento a ciclo biologico completo, pur essendo di più complessa realizzazione,risulta essere il più diffuso: esso rappresenta nel panorama nazionale, la percentuale del 97% degli impianti di elicicoltura. L'elicicoltura si attua esclusivamente su libero terreno e all'aperto, senza coperture o l'uso di protezione, in quanto l'attività diventa produttiva ed economica solamente se impostata con costi ponderatamente limitati e controllati. Questo metodo consiste nell'introdurre, in apposite recinzioni, chiocciole fattrici destinate ad accoppiarsi e a moltiplicarsi. La vendita del prodotto è costituita quindi non già dalle chiocciole immesse, come succede con il sistema incompleto e sotto serra, ma da quelle che nascono dalle chiocciole fattrici e si sviluppano nel periodo di ingrasso.  Il sistema prevede una recinzione perimetrale esterna, atta a contenere l'intero impianto e ad evitare incursioni da parte di predatori dall'esterno. Lo spazio così creato verrà suddiviso in settori più piccoli e maggiormente agevoli per la manualità. I recinti così costruiti con una speciale rete anti-fuga e anti-bava, sostenuta da pali in legno o in PVC, saranno seminati all'interno con l'alimentazione che nutrirà le chiocciole. I semi consigliati per una sufficiente e adeguata nutrizione, ingrasso veloce e protezione per mezzo delle foglie laminari e molto sviluppate contro i raggi solari sono: Ravizzone ungherese o Cavolo cavaliere (Brassica oleracea var. viridis), Bietola da coste (Beta vulgaris var. cicla), Radicchio Spadone (Cichorium intybus), Trifoglio Nano (Trifolium repens), Girasole (Helianthus annuus)
Ogni recinto ha le dimensioni standard di 45 metri x 4 metri; queste misure però sono suscettibili di modifiche e variazioni, a seconda delle dimensioni del terreno a disposizione dell'allevatore. I diversi recinti costruiti sull'appezzamento totale di terreno destinato all'elicicoltura, sono divisi in 2 categorie differenti: recinti destinati alla riproduzione e recinti destinati all'ingrasso dei nuovi nati in rapporto di 4 a 6. Ogni recinto è separato dagli altri da una zona di passaggio per l'operatore, larga 1 metro.  La scelta dell'allevamento all'aperto, sul terreno, è stata determinante nell'impostazione e nello sviluppo di questa attività, e si è notevolmente differenziata dall'impostazione dell'elicicoltura negli altri paesi europei come la Francia e la Spagna. Fin dai primi esperimenti, gli italiani hanno considerato improponibile un allevamento di chiocciole in condizioni che non fossero quelle naturali proprie del mollusco, abituato da sempre ad un habitat rurale e in piena armonia con la natura. Ciò anche in relazione alla assoluta semplicità dell'anatomia e fisiologia del mollusco ed alla lentezza del ciclo di vita. In pratica lo scopo del sistema all'aperto è quello di seguire la natura ma con controllo da parte dell'uomo, per creare un prodotto biologico di alto livello e di alta resa.
Il sistema di allevamento al chiuso
Il tipo di allevamento in serra è tipico di paesi europei quali la Francia e la Spagna. La chiocciola, mantenuta ed allevata in condizioni artificiali (in serra, contenitori od ambienti al chiuso) si accoppia, depone le uova e può anche diventare adulta, ma necessita di un continuo lavoro per la pulizia, per l'apporto di alimenti dall'esterno e per la continua irrigazione artificiale. Al coperto è meno soggetta alla predazione da parte di insetti, roditori, volatili. Quindi da tutti gli animali predatori delle chiocciole che possono causare seri danni alla vita regolata dell'allevamento. I problemi però che l'allevamento in serra può presentare sono di diversa natura. Tra i principali troviamo: l'eccessiva assimilazione di anidride carbonica e la mancata possibilità di beneficiare della naturale umidità, derivante dalla deposizione della rugiada, condizione ideale per la vita delle chiocciole, inoltre il prodotto che cresce al coperto, senza la luce del sole, ha carne con bassa consistenza che alla cottura perde una alta percentuale di peso.
Raccolta e spurgamento
Le chiocciole allevate possono essere raccolte tutto l'anno, anche se è sconsigliata nei mesi invernali; una volta raccolte sono messe a spurgare i liquidi in eccesso in gabbie o casse in legno per 10-15 giorni in una locale areato senza nessuna alimentazione, poi vengono selezionate e infine confezionate.

L'elicicoltura in Italia
In Italia si contano circa 9.000 aziende professionali elicicole che riescono a produrre il 49% del mercato interno, mentre il 61% della produzione proviene dai Paesi dell'Europa dell'Est e del Maghreb[9]che nel 2014 era pari a 225.000 quintali con un valore dell'intera filiera pari a 210 milioni di euro[10], mentre il fatturato del prodotto interno è 120 milioni di euro l'anno[11].
Nel 2015 risultavano consumate 986.000 tonnellate di chiocciole della specie Cornu aspersum (già considerata della specie Helix) e della Helix pomatia l’Italia è al terzo posto nel mondo per consumo



La Lumaca reggina
Incastonata tra ettari di distese di arance e bergamotti e a qualche chilometro dal suggestivo scenario dello Stretto di Messina nasce “LA LUMACA REGGINA”, che con una superficie di circa 10.000mq e i suoi 51 recinti realizzati in campo aperto grazie alle favorevoli condizioni climatiche di cui gode il nostro territorio si pone tra gli allevamenti elicicoli più grandi d'Italia. Essa nasce dal grande impegno e infinita determinazione di due amici Filippo e Carmelo, incontratasi poi con l'esperienza nel settore agricolo di Santo e Antonio un mix perfetto per la realizzazione di un sogno divenuto prima progetto e qualche mese dopo realtà. Spinti da una profonda quanto innata passione per la Terra hanno rivolto lo sguardo verso l'affascinante mondo dell' Elicicoltura, decidendo di entrare in un mercato che negli ultimi anni ha registrato dei notevoli incrementi di domanda/offerta. Impegno, determinazione ed esperienza nel settore agricolo hanno permesso di realizzare il progetto, mettendo su' secondo il sistema di allevamento all'aperto il più grande allevamento elicicolo presente in Calabria con i suoi 51 recinti disposti su una superficie di 10000 mq incastonati tra ettari di distese di arance e bergamotti, a qualche chilometro di distanza dal suggestivo scenario dallo stretto di Messina. L’impianto è dotato di strutture e dispositivi che rispondono alle più recenti innovazioni tecnologiche mantenendo però sempre alta l'attenzione sulle caratteristiche qualitative del prodotto. Dettagli di progettazione e di gestione  consentono di condurre l'intero ciclo all'interno dei recinti all'interno dei quali viene fornito  alle chiocciole il necessario apporto nutrizionale con la somministrazione di ortaggi scrupolosamente scelti con la consulenza collaborativa di dottori alimentaristi e veterinari le scelte sono frutto di accurate ricerche scientifiche. Il processo di raccolta viene effettuato esclusivamente a mano.
La spurgatura e la successiva conservazione nelle celle frigorifere avviene in ambiente ad umidità e temperatura controllata che, impedendo ogni possibile sbalzo, garantisce un perfetto equilibrio di conservazione della qualità del prodotto.

E' così che il frutto di un processo produttivo semplice e controllato permette a La Lumaca Reggina di ottenere la soddisfazione e la qualità che ogni cliente richiede e che ritrova in tavola.
Una bellissima storia,  tutta calabrese!!!
Palatoanarhico ci ha raccontato la storia di Fortunato e Franco, dalla laurea in economia all’allevamento di lumache
due giovani di Montebello Jonico decidono di dedicarsi all’agricoltura
Vorrei proprio sapere chi ha detto che in Calabria, e in particolare nella nostra martoriata provincia, i sogni non si realizzano, che bisogna trasferirsi al Nord o lasciare l’Italia, per vederli realizzati. Ebbene, vi racconteremo una storia, la storia di due giovani di Montebello Jonico, per smentire queste falsità. Fortunato e Franco, due giovani trentenni, dopo essersi laureati in economia, in un primo tempo decidono di aprire uno studio commerciale e di consulenza alle imprese (studi tutt’ora aperto). Ma Fortunato e Franco, hanno un altro sogno, un sogno che affonda le radici nella loro infanzia. La passione per l’agricoltura e il territorio. Nell’incredulità dei loro conoscenti e parenti, aprono un’azienda elicicola che, in poco tempo si rivela una carta vincente. Iniziano a vendere lumache (pulite e pronte da cucinare) a pochi intenditori. Piano piano, però, grazie anche ad un passaparola, iniziano a ricevere offerte dai ristoranti e con il passare del tempo anche dal Centro e dal Nord Italia. Uno strepitoso successo, che in fondo nemmeno loro si aspettavano. Le lumache della specie “Helix Aspersa Muller”, vengono allevate in campo aperto. Come cibo, vengono nutrite con verdure selezionate, seminate in marzo e aprile. Dopo essere state raccolte, vengono selezionate e dopo vengono messe in gabbie per essere spurgate e vendute in confezioni curate in tutti i dettagli. Un’azienda che funziona a 360 gradi e che gode anche di una splendida location: vicino alle “Rocche di Prastarà”, dove ci sono resti Basiliani e il Monastero di Sant’Elia.

Pensate che nel 1952 in questi luoghi, fu girato il film “Il brigante di Tacca del Lupo” tratto dall’omonimo romanzo di Riccardo Bacchelli. In conclusione, vogliamo fare un appello ai nostri giovani, vogliamo invitarli a credere nei loro sogni, come hanno fatto questi due giovani di Montebello.  In fondo come ci ha insegnato Luis Sepulveda, nel romanzo “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”: VOLA SOLO CHI CI CREDE. Fortunato e Franco ci hanno creduto!

martedì 13 settembre 2016

da: Palatoanarchico - palatoanarchicosignorg - 
Il Trofeo Nazionale Pizza Eccellenze d' Italia - 
Il nome di “Trofeo Nazionale Pizza Eccellenze d' Italia”, seconda edizione non è casuale, lo chiariamo subito e nel massimo rispetto delle millanta manifestazioni, eventi e campionati che nel mondo pizza si tengono e soprattutto in Italia. Noi tutti, dal Vice Presidente Nazionale Marcello Lamberti, coordinatore dell’API Calabria e Scuola Nazionale di Rende, a Pietro Tangari detto Pedros, anche Consigliere Nazionale, ai Maestri Pizzaioli come Tony Sergione e Mauro Mazzotta, sino a Katia Ritacco nostro Ufficio di Segreteria, e così via ai tanti degli associati API Calabria, abbiamo voluto interpretare sino in fondo la filosofia che il grande Maestro pizzaiolo Angelo Iezzi, Presidente API Nazionale, ha dato da sempre, dalla nascita della sua Associazione Pizzerie Italiane, infondendo questo spirito a tutti gli associati. Una filosofia che esalta le qualità intrinseche delle Pizzerie di vario genere, ma di concreta qualità, ed evidenzia quelle dell’uomo pizzaiolo, professionista grande artigiano e ben consapevole e preparato in tutto nell’offerta alla sua clientela. Dunque realizzando, anche nella seconda edizione nella bellissima location del T Hotel nella zona di Lamezia Terme, non un ennesimo “campionato” nazionale od addirittura mondiale…, ma una esibizione-competizione delle singole professionalità, di giovani e meno giovani (ovviamente salvo l’equipe degli istruttori della Scuola di Rende) e della esaltazione, consapevole ma misurata, di quelle materie prime (oltre l’impasto e la sua fondamentale lievitazione e quindi perfetta cottura) che elevano la pizza finale, qualunque tipo essa sia, e promuovono concretamente il territorio. Del resto di Campionati Nazionali ed importanti l’API ne fa uno e non a caso da ben 16 anni, con evidente successo e partecipazione vera dalle varie regioni, così come per le delegazioni estere di folta rappresentanza, sia come numero di nazioni che per singoli partecipanti. Oltre ad altre, e giustamente poche, occasioni internazionali presenti in Italia, realizzate storicamente anche da altre associazioni od organizzazioni del settore. E quindi fare l’ennesimo “campionato” roboante, tanto per affiggere patacche o fare a gara sulle dimensioni dei trofei, quando non addirittura ricorrendo al nome “mondiale”, come vezzo purtroppo diffuso nell’ambiente, non rientra per nulla nella mentalità e filosofia dell’API Calabria che invece punta alla qualità e non alla quantità, ed ancora meno quando si assiste ad ipotetiche internazionalità rappresentate da pochi concorrenti presi alla buona o perché parenti ed amici di chi variamente organizza. Il mondo della pizza e delle pizzerie coi suoi protagonisti ha invece bisogno di ben altra politica di riconoscimento, pur dando spazi opportuni, premi e concorsi nelle occasioni giuste ed appropriate, ma mai dimenticando la formazione seria (c’è chi offre una settimana tutto compreso, ovviamente a costi salati, “et voilà” ecco il professionista-pizzaiolo pronto…!!) e con aggiornamenti continui nel rispetto d’una professione di arte bianca che non è seconda a nessuno nell’universo agro-alimentare prima e quindi enogastronomico attuale…Evviva!!!
Bruno Sganga
Giornalista Enogastronomo
Ufficio Stampa API
Museo  Glauco Lombardi dedicato  a Maria Luigia (Parma)

il Museo, intitolato a Glauco Lombardi, è il risultato della sua fatica di risarcire in parte quanto della suppellettile che arredava le residenze ducali veniva portato via da Parma tra il 1862 e il 1868. Fondato a Colorno nel 1915, nel 1961 è stato trasportato a Parma e allestito negli ambienti, decorati dal Petitot, del Palazzo della Riserva. I cimeli, preziose testimonianze di vita, di costume e di arte del Ducato parmense dal 1748 al 1859, sono stati raccolti nel Museo Napoleonico e nelle sale Dorata e Maria Luigia.
Del materiale esposto si ricorda in particolare il manto ducale di Maria Luigia, ornato con ricami in platino; le lettere del Re di Roma e di Napoleone alla Duchessa; la sua mano in marmo, calco di Antonio Canova; i suoi album e diari, acquerelli, gioielli e lettere; un frammento di mantello imperiale donato dalla Duchessa per sovvenire ai bisogni dei parmigiani colpiti dal colera, ecc.
Nella omonima sala si trova il museo Toschi, documentata raccolta dell'opera dell'artista parmigiano, che dette vita, nel primo cinquantennio del secolo scorso, a una scuola d'incisione.
Il Museo ospita inoltre una raccolta d'acquerelli, incisioni e dipinti dell'800, pitture francesi del '700" nella stanza dei Francesi, la raccolta Petitot e l'archivio.
Il Museo nasce dalla ricchissima collezione privata di Glauco Lombardi, che costantemente viene implementata con nuove acquisizioni relative ai tanti temi proposti, fra cui spiccano due protagonisti: Napoleone Bonaparte e Maria Luigia d’Asburgo, la principessa d’Austria divenuta sua moglie nel 1810 e poi nominata duchessa di Parma e Piacenza, dove regnò per oltre trent’anni lasciando un’indelebile traccia nel territorio e nella memoria dei parmigiani.
Le sale del Museo, ospitato nello storico Palazzo di Riserva, offrono un viaggio a ritroso fino all’epoca dell’Impero francese, di cui rimangono ampie testimonianze: dai ritratti ufficiali dei pittori di corte (Lefèvre, Prud’hon, Gérard) ai pregiati vetri e porcellane, dalle spade brandite da Napoleone alle delicate lettere spedite dall’imperatore alla giovane sposa, fino alla corbeille de mariage, il raffinato mobile che conteneva parte del corredo di Maria Luigia, della quale rimane un fastoso abito di gala intessuto d’argento.
Il percorso museale segue poi la storia dell’ex imperatrice che, ritrovandosi a capo di un piccolo stato che ella stessa definì “un vero giardino”, volle dedicarsi a migliorarlo attraverso monumenti ed opere pubbliche, molti dei quali tuttora esistenti, ricordati nel Museo da dipinti e medaglie oltre che dai lavori degli artisti usciti dalla prestigiosa Accademia, fra cui spicca Paolo Toschi, riconosciuto già vivente come il miglior incisore d’Europa.
È però la vita privata della sovrana l’aspetto che più coinvolge il visitatore: gli oggetti esposti provengono in gran parte dai suoi discendenti diretti, quella famiglia Sanvitale che per secoli fu tra le più illustri del Ducato. Al conte Luigi andò infatti sposa Albertina, figlia della Duchessa e del generale Neipperg, l’affascinante diplomatico austriaco che riuscì a farle dimenticare Napoleone. Di Maria Luigia si possono così conoscere passioni e preferenze: diari, gioielli, ricami e acquerelli da lei eseguiti, ma anche la sua farmacia da viaggio e la cassetta da pesca, sono solo alcuni dei tasselli che aiutano a ricomporre la sfaccettata personalità di una figura storica che si trovò al centro dei principali accadimenti della sua epoca, eventi che si possono seguire, punto di vista privilegiato e intenso, attraverso gli occhi di una duchessa.
Alla storia di Parma fanno più in generale riferimento in oltre altre testimonianze pittoriche e curiosità che spaziano dal Settecento al secondo Ottocento, quando alla morte di Maria Luigia il Ducato affrontò il declino che in pochi anni lo portò all’annessione al Piemonte, passando attraverso l’epoca dei Borbone, che per primi guardarono alla Francia come punto di riferimento chiamando a Parma illustri artisti d’Oltralpe come l’architetto Petitot.

Pinacoteca di Cesena,ex Monastero di San Biagio : Ritratto di Napoleone

Tipo: Oggetto fisico; dipinto
Tipo di scheda: Opere e oggetti d'arte
Categoria: Opere d'arte visiva
Tipo: Oggetto fisico; dipinto
Tipo di scheda: Opere e oggetti d'arte
Categoria: Opere d'arte visiva
Autore: Baldacci Vincenzo (notizie 1802/ 1813)

Napoleone è ritratto a tre quarti di figura, in piedi con il corpo leggermente flesso verso lo scettro, con cui sembra sostenersi e il volto frontale. Egli indossa una corona d'alloro sul capo e guarda fisso verso lo spettatore; è vestito con un mantello di velluto rosso ricamato in oro e foderato con pelliccia d'ermellino. Anche la tunica bianca che egli porta è riccamente decorata, i fianchi sono cinti da una sciarpa di seta da cui pende la spada e con la destra tiene lo scettro con l'aquila. Su di un cuscino, in basso, è adagiata una sfera con una croce. Il fondo del dipinto, dalla tinta uniforme, da maggiore risalto al personaggio.
Stato di conservazione: buono
Soggetto: ritratto di Napoleone Bonaparte
Estensione: 140 x 110
Materia e tecnica: olio su tela
Data di creazione: 1804 - 1813, sec. XIX (motivazione della cronologia: contesto)

Ambito geografico: Cesena (FC), Emilia-Romagna - Italia; Raccolta d'arte antica. ex monastero di San Biagio, Pinacoteca Comunale di Cesena. Via Aldini, 26
il Teatro dedicato a Napoleone a Civitella


La sala teatrale di Civitella venne costruita, a spese di Lorenzo Golfarelli, dal 1819 al 1824.
Progettista fu l'ingegnere Giuseppe Missirini, autore anche dei progetti per il teatro di Meldola e per i teatri forlivesi da ubicarsi l'uno al secondo piano del Palazzo già Rossetti e l'altro nel Magazzino dell'Abbondanza. Questi due esempi di ristrutturazione architettonica non hanno trovato realizzazione, ma le tavole di progetto, conservate presso la Biblioteca comunale di Forlì (Racc. Piancastelli), restano valida testimonianza dell'evoluzione architettonica dell'edilizia teatrale.
Il progetto del Missirini, datato 1811, prevedeva la costruzione della cavea comprendente tre ordini di palchi, del foyer e del palcoscenico. Le decorazioni della volta, delle pareti e dell'arcoscenico, opera del bolognese Silvio Gordini, erano costituite da stucchi, dorature e motivi floreali. Per ampiezza poteva contenere 600 persone e per eleganza era giudicato "convenientissimo al paese" (cit. Monografia... 1866). Venne inaugurato nel 1825 e dedicato a Napoleone Bonaparte per la presa di Mosca.
La facciata è caratterizzata al primo piano da tre porte ad arco. Sopra queste, al secondo piano, si trovano tre finestre di cui quella centrale munita di balconcino. Una lapide ricorda sia Golfarelli che il progettista Giuseppe Missirini. La sala si compone di tre ordini di undici palchi, di cui il terzo costituisce il loggione. Un sistema di archi a sesto acuto regge la volta. Il 5 marzo 1970 il teatro fu fortemente danneggiato da un incendio che causò il crollo del soffitto. In seguito è stato restaurato con criteri che ne hanno stravolto la tipologia originaria.
Il teatro, per lungo tempo di proprietà privata, non svolge più la sua funzione originaria. 
Per un certo periodo è stato utilizzato dai ragazzi delle scuole per l'allestimento di spettacoli; poi vi si sono tenute per feste danzanti e saltuariamente per attività espositive. E’ stato acquisito dall'Amministrazione comunale che intende renderlo nuovamente fruibile. 
Il Museo di Reggio : la Sala Napoleonica
Nella sala napoleonica è documentata la nascita della bandiera e la storia delle vicende politiche di Reggio Emilia dal 1796 all’inizio della Restaurazione.
Dopo la proclamazione della repubblica reggiana il 26 agosto 1796 fu proprio nella Sala del Tricolore che il Congresso della Repubblica Cispadana approvò la mozione di Giuseppe Compagnoni di rendere “universale lo Stendardo o Bandiera Cispadana di tre colori verde, bianco e rosso”: naque così il Tricolore, bandiera di uno stato sovrano, destinata a diventare presto il simbolo dell’indipendenza e dell’unità nazionale.
Napoleone e la Repubblica Reggiana
Agli occhi dei patrioti italiani che fraternizzano con le truppe napoleoniche durante la campagna d’Italia, tra il 1796 e il 1799, i nuovi ideali di libertà, di uguaglianza e di fraternità trovano il loro simbolo più forte nel tricolore francese.
Anche i reparti militari “italiani” costituiti all'epoca per affiancare le truppe francesi adottano uniformi e stendardi con fogge e colori propri, non solo per rendersi riconoscibili in battaglia, ma anche per ragioni politiche. Una forza militare “nazionale” rappresenta infatti il primo simbolo di un nuovo stato che, nella strategia di Napoleone, deve soppiantare la potenza austriaca nell’Italia settentrionale. Così le uniformi della Legione Lombarda e della Legione Italiana, fortemente volute da Napoleone, si distinguono da quelle francesi per avere, al posto del blu, il verde, mutuato con ogni probabilità dal tradizionale colore delle uniformi della milizia urbana milanese.
A Reggio Emilia, nella notte del 25 agosto 1796, viene innalzato in Piazza Grande l'albero della libertà. Il giorno successivo, il Senato reggiano decide di assumere il governo della città e di istituire la Guardia Civica. Nasce così la Repubblica Reggiana.

Il 4 ottobre a Montechiarugolo, la Guardia Civica reggiana, capeggiata da Carlo Ferrarini e coadiuvata da alcuni granatieri francesi, costringe alla resa una colonna di 150 austriaci. Il fatto d’arme assunse un significato politico e simbolico di vasta portata, suscitando l’entusiasmo dei patrioti italiani ed assicurando ai reggiani una duratura fama di coraggio e patriottismo. Napoleone stesso ne enfatizza l'importanza, esaltando lo slancio dei reggiani "nella carriera della libertà", mentre il Foscolo definisce Reggio "Città animatrice d'Italia" e i reggiani "primi veri Italiani e liberi cittadini".


Ed è appunto a Reggio che, nella seduta notturna tra il 27 e il 28 dicembre, il Congresso delle quattro città confederate di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio delibera la costituzione della Repubblica Cispadana "una e indivisibile" e, nella seduta del 7 gennaio 1797, approva la mozione di Giuseppe Compagnoni di rendere “universale lo Stendardo o Bandiera Cispadana di tre colori verde, bianco e rosso": nasce così il Tricolore, bandiera di uno stato sovrano, destinata a diventare presto il simbolo dell’indipendenza e dell’unità nazionale. Il vessillo cispadano ha i colori disposti in tre strisce orizzontali: il rosso in alto, il bianco in mezzo, il verde in basso. Al centro è raffigurato il turcasso o faretra con quattro frecce, a simboleggiare l'unione dei quattro popoli che hanno aderito alla Repubblica, mentre ai lati sono poste le iniziali di “Repubblica Cispadana”.
Il Palazzo della Prefettura a Bologna
Sarà per il red carpet che copre le antiche scale di palazzo Caprara-Montpensier, sarà per le alte volte e l´austerità che emanano gli stucchi, sarà per il sentore d´autorità prefettizia, fatto sta che si resta intimiditi. E una volta fra le sontuose stanze, con l´impressione di varcare un angolo di città proibita, ci si accorge che forse l´effetto è provocato dai fantasmi di tutta la nobiltà europea che ha dormito e soggiornato tra quelle mura, da Napoleone al cognato Eugenio Beauharnais, dai reali di Svezia agli Orleans-Montpensier fino ai Brignole di Genova e, in epoca recente, ai presidenti della Repubblica, da Einaudi a Napolitano.
Per scacciare quest´aria di santuario, è stata fortemente  voluta la monografia sul palazzo, pubblicata dalla Bup  e curata dallo storico Angelo Varni, affiancato da studiosi come Giancarlo Roversi, Marzio Dall´Acqua, Daniela Sinigallesi, Andrea Emiliani ed Elena Musiani. Questa dell´apertura alla città è una scelta voluta proprio per cancellare l´aura di castello inaccessibile che coglie i bolognesi passando davanti alla facciata seicentesca di piazza Roosevelt.
Nel Palazzo della Prefettura importanti  le mostre sui presepi, sulla storia degli alpini e, da ultima, quella sugli abiti d´epoca, gli stessi che sono passati frusciando nelle stanze ora del Governo. C´è persino la veste talare indossata dal cardinal Caprara quando pose la corona di re d´Italia sulla volitiva testa di Napoleone e alcuni degli indumenti degli Orleans. «Per i presepi sono stati quindicimila, per la giornata del Fai duemilacinquecento, e per gli abiti sono già migliaia...» si puà leggere sfogliando i lasciti scritti dei visitatori. La frase più importante recita:  «Chiunque può visitare queste stanze, basta chiederlo».
Molti l´hanno già fatto entrando nell´appartamento presidenziale dov´erano di casa Spadolini e Cossiga, il salone della Guardia, restaurato nel dopoguerra, il salotto della regina dove campeggia un Guercino, la camera dove dormì Napoleone e la moglie Giuseppina Beauharnais con ai lati quattro colonne sormontate da altrettante aquile, e la sala riunioni con un lampadario di Murano capolavoro di fine Settecento. E nei corridoi un Carracci oltre a un Tintoretto.

Ma quello dei quadri è un tasto dolente. «I regnanti di Svezia, quando vendettero ai Brignole, si tennero la collezione, ora al palazzo reale di Stoccolma», all´appello mancano pure la collezione di arazzi finiti all´ambasciata spagnola presso la Santa sede e la serie di ceramiche del Minghetti. se ci fossero anche quelli: sarebbe  molto più di un museo», 
La storia : Napoleone in Emilia Romagna
Nell’età napoleonica l’Emilia Romagna ha avuto un ruolo da protagonista: qui Napoleone sperimentò un modello di conquista, poi esteso a tutta l’Europa, basato non solo sulle sue indubbie abilità militari ma anche e soprattutto sulla modernità delle soluzioni istituzionali e amministrative di cui si fece portatore. Con Napoleone giunse la Rivoluzione dell’89, una rivoluzione ormai alla ricerca di uno stabile equilibrio   tra innovazione e ordine, garantito dalla tutela rigorosa  della proprietà privata borghese. Lo Stato napoleonico fu uno Stato laico, fondato sull’uguaglianza di fronte alla legge, su un “contratto sociale” che ha il suo presupposto nell’idea di nazione, in cui i cittadini esprimono la propria volontà attraverso forme di rappresentanza elettiva. Uno Stato che, per garantire il progresso civile e materiale, si dota di una fitta rete di strutture burocratiche e di funzionari, nei settori dell’economia, dell’istruzione, dell’ordine pubblico, del fisco ecc.
Quando le truppe francesi varcarono i confini emiliani a Castel San Giovanni ed entrarono a Piacenza, all’inizio di maggio del 1796, fu subito chiaro che il ruolo della regione nel conflitto in corso sarebbe stato rilevante. Dopo la breve fase della Repubblica cispadana, nel maggio del 1797 Napoleone pose fine all’operazione statale in Emilia, fondendola con la Repubblica cisalpina, che avrebbe avuto per capitale Milano, in uno Stato esteso dalle Alpi all’Adriatico. A novembre la regione fu suddivisa in sette dipartimenti: Crostolo, con capoluogo a Reggio; Panaro, con Modena; Reno, con Bologna; Alta Padusa, con Cento; Lamone, con Faenza; Rubicone, con Rimini; Basso Po, con Ferrara.
Anche la Romagna, estranea fino ai primi mesi del ’97 all’avventura “francese”, vi era stata inserita di forza. Unita Imola fin dal 1° febbraio alla Repubblica bolognese, le truppe francesi prevalsero rapidamente sull’esercito pontificio nella battaglia sul Senio. Faenza, Forlì, Cesena, Rimini, Ravenna furono occupate tra il 3 e il 4 febbraio senza opporre alcuna resistenza, mentre gran parte della popolazione delle campagne abbandonava terrorizzata i propri borghi, cercando rifugio sui monti. Il 19 febbraio, con le truppe francesi scese fino alle Marche e all’Umbria, a Tolentino fu firmato il trattato di pace con Pio VI.
Il territorio romagnolo fu rapidamente organizzato sotto la direzione di un’amministrazione centrale dell’Emilia, alla quale dovevano fare capo tutte le municipalità. Furono aboliti i titoli nobiliari, le livree, gli stemmi gentilizi, furono soppressi i feudi, ridotti di numero i conventi, eliminata qualsiasi giurisdizione privilegiata degli ecclesiastici e ogni loro esenzione fiscale, liberalizzati gli scambi commerciali: anche per la Romagna la nuova dimensione di una società moderna stava prendendo forma. Ciò avvenne però insieme alle consuete requisizioni di guerra e all’imposizione sulle rendite e sui patrimoni dei cittadini, di contributi in denaro e vettovaglie, che danneggiarono l’economia e alimentarono il malcontento, terreno di coltura dell’insorgenza popolare antifrancese, fomentata dalla propaganda ecclesiastica. Si costituirono vere e proprie bande, soprattutto nelle montagne del Cesenate e del Riminese, come pure a Lugo e a Massalombarda. In tutti i casi la repressione fu durissima.
Non pochi furono i motivi di insoddisfazione, particolarmente dopo la partenza di Napoleone per la campagna d’Egitto, nel 1798, a causa delle vessazioni e imposizioni determinate dall’alleanza con la Francia. Numerose furono le esplosioni di malessere sociale, causate, in particolare, dal pesante fiscalismo. Vi furono certamente importanti riforme, come l’eliminazione dei privilegi, l’uguaglianza di fronte alla legge, la libertà di pensiero e di stampa, contraddette però da provvedimenti che limitavano la libera vita associativa.
La vendita dei beni ecclesiastici andò quasi esclusivamente a vantaggio della ex nobiltà e della ricca borghesia, anche grazie ai legami sociali con gli uomini di governo, che spesso permettevano l’acquisto delle terre a basso prezzo e forti dilazioni nei pagamenti. Non fu realizzata alcuna riforma agraria, invece, che andasse a vantaggio della piccola proprietà.
Nella primavera del 1799, le truppe austro-russe, affiancate dalle bande di “insorgenti”, dilagarono vittoriose in regione: il vecchio regime tornò ovunque e le reggenze imperiali tentarono di restaurare l’assetto economico-sociale sconvolto dall’avvento dei francesi. Tuttavia ormai alcuni cambiamenti, come la vendita delle terre, non vennero toccati, per non inimicarsi i ceti sociali più ricchi. Il ritorno di Napoleone, dopo la travolgente campagna del giugno 1800, culminata con la vittoria di Marengo, fu accolto con entusiasmo, poiché esso rappresentava il riaffermarsi di valori ormai collettivamente condivisi (autogoverno, uguaglianza, libertà, democrazia, indipendenza nazionale) anche se nei fatti scarsamente applicati. Gli austriaci, invece, rappresentavano un puro ritorno al passato.
Il 26 gennaio del 1802, a Lione, un’assemblea di rappresentanti italiani votò una nuova costituzione e approvò la nascita della Repubblica italiana, presieduta dallo stesso Napoleone.
Fu avviato in seguito un significativo sforzo per uniformare e omogeneizzare la legislazione e l’amministrazione del territorio (codice civile, penale, di commercio, ecc.), estesi a tutta la società. Il nuovo Stato si avvalse di un esercito nazionale, di una precisa macchina giudiziaria, di un apparato fiscale ordinato e metodico, in grado di garantire il flusso di ricchezza.
La costituzione accentuava ruolo e poteri del potere esecutivo, affidando l’espressione della sovranità nazionale a tre collegi di 700 persone, divise tra possidenti, commercianti e dotti, che esemplificavano la nuova gerarchia di valori fondata sulla ricchezza e sui “lumi”. Figura amministrativa fondamentale divenne quella del prefetto, espressione diretta del potere centrale, con poteri di polizia, di controllo sull’autorità dipartimentale e comunale, di supervisione delle spese e di preparazione dei bilanci. Il territorio regionale fu suddiviso nei dipartimenti del Crostolo, Panaro, Reno, Basso Po e Rubicone, con capoluogo rispettivamente Reggio, Modena, Bologna, Ferrara e Cesena.
Il passaggio dalla Repubblica al Regno d’Italia, nel maggio del 1805, con Napoleone imperatore, non mutò nella sostanza simili linee di sviluppo. Gli aspetti qualificanti dello Stato moderno, di cui si era intrapresa la costruzione, restarono tutti, salvo accentuare i caratteri di rigidità centralizzatrice, di autoritarismo amministrativo, di immobile fissità delle gerarchie sociali fondate sulla ricchezza, formalmente riconosciute da Napoleone con l’istituzione di nuovi ordini nobiliari legati al suo trono. La macchina amministrativa del Regno richiese un apparato vasto di funzionari ed impiegati competenti. Essa però apparve spesso come una cappa soffocante per  i singoli e per le comunità locali. Il blocco continentale e le continue guerre, che significavano nuove tasse, campi di armamenti dislocati lungo l’Emilia, incursioni di nemici, bisogno incessante di soldati, alimentarono il malcontento, la renitenza alla leva, il brigantaggio e l’insorgenza.
Alla fine del 1813, dopo il disastro russo e la sconfitta di Lipsia, riapparvero gli austriaci nel dipartimento del Basso Po e sulle coste romagnole sbarcarono truppe della coalizione antifrancese. Gioacchino Murat, cognato di Napoleone, tentò vanamente di inserirsi nel gioco diplomatico, occupando temporaneamente le maggiori città della regione. Vi tornò nel 1815, nel periodo dei “cento giorni”, tentando una “lotta di liberazione” dell’Italia dallo straniero. Le appassionate parole del proclama di Rimini (“L’ora è venuta che debbono compiersi gli alti destini d’Italia. La provvidenza vi chiama infine ad essere una nazione indipendente. Dall’Alpi allo stretto di Scilla odasi un grido solo: l’indipendenza d’Italia”) erano premature poiché non era ancora sorta una coscienza nazionale. Tuttavia, l’esperienza napoleonica non era passata invano: il ritorno al vecchio regime era ormai un vestito troppo stretto.






Dove mangiare vicino l’Abbazia Madonna del Monte di Cesena

(gli appunti veloci di Palato Anarchico PalatoAnarchicoSignorg)

Il Cucinario –  Via Boccaquattro 4, Cesena – fascia di prezzo media -

Il Cucinario è un locale situato nel centro di Cesena, a pochi passi dalla Biblioteca Malatestiana. Anna e il suo staff saranno lieti di preparare per voi piatti a base di carne e di pesce, tipici della tradizione culinaria delle regioni Emilia Romagna e Campania. Grazie alla collaborazione di artisti e artigiani locali il locale ospita per tutto l'anno mostre di opere d'arte e foto, angoli letterari ed esposizioni di manufatti artigianali. Sapori, forme, colori e nuove idee prendono vita al Cucinario.






Osteria – Michiletta - via Strinati 41, Cesena – fascia di prezzo media –

L'Osteria Michiletta, situata nel centro della città tra il Duomo e piazza del Popolo, è un ambiente di una volta, con rustico bancone da osteria all'entrata e salette dall'arredo spartano ma accogliente, dotato anche di un bel giardino all'interno di un piccolo cortile in cui mangiare d'estate. La cucina è regionale, tipica locale, con piatti della tradizione rivisitati con fantasia, utilizzando molte verdure, erbe di stagione e spezie orientali. Il Ristorante Osteria Michiletta di Cesena dispone inoltre di una buona cantina vini con selezione curata delle etichette locali. Complessivamente offre la disponibilità di 80 coperti.

Ristorante Piccolissimo – Corso Ubaldo Comandini 121 – Cesena -


Il ristorante Piccolissimo di Cesena si trova nei pressi di Porta Valzania, in un antico palazzo che una volta era designato a stazione di posta. Piccolissimo non significa che non c'è abbastanza spazio; perché qui non ci si affolla e non si aspetta in piedi che qualcuno finisca di mangiare. Piccolissimo è uno luogo pensato per accogliere e trattenere, non per andar di corsa; come se mangiare non richiedesse il suo giusto tempo, la sua giusta cerimonia di parole e risate, commenti e pause. Il Ristorante Piccolissimo di Cesena è un locale che coccola, intimo, che propone un'ottima cucina mediterranea “rivisitata” attraverso piatti a base di prodotti di alta qualità e di stagione che fanno incontri insoliti e che vale la pena di provare. Ma Piccolissimo propone anche la pizza...e allora, direte voi, è anche pizzeria? Forse, ma a noi piace poter dire che questo è un ristorante dalla cucina di alto livello in cui è possibile degustare anche una buona pizza. Provatelo, vale una deviazione.
Laboratorio restauro del libro
Il laboratorio di Restauro del Libro del Monastero di S. Maria del Monte nasce nel 1960 su proposta della Soprintendenza ai Beni Librari e nel corso degli anni ha  collaborato con molte biblioteche e archivi, tra cui:


Ancona: Biblioteca della Soprintendenza delle Antichità delle Marche
Ancona: Biblioteca Comunale “Benincasa”
Assisi: Biblioteca Comunale
Bologna: Biblioteca Universitaria 
Bologna: Biblioteca dell’Archiginnasio 
Bologna: Biblioteca Malatestiana
Fabriano: Biblioteca Comunale
Faenza: Biblioteca Comunale
Fano: Biblioteca Federiciana
Firenze: Biblioteca Nazionale Centrale
Forlì: Biblioteca Comunale “A. Saffi”
Fossombrone: Biblioteca civica Passionei
Imola: Biblioteca Comunale
Jesi: Biblioteca Comunale “Planettiana”
Lugo: Biblioteca Comunale
Macerata: Biblioteca Comunale “Mozzi- Borgetti”
Pennabilli: Biblioteca Capitolare
Pesaro: Biblioteca Oliveriana
Piacenza: Biblioteca Comunale
Pisa: Biblioteca Comunale 
Ravenna: Biblioteca Classense 
Rimini: Biblioteca Gambalunga 
Santarcangelo: Biblioteca Comunale
Savignano: Biblioteca della Rubiconia Accademia dei Filopatridi
Urbania: Biblioteca Capitolare
Urbino: Biblioteca Comunale
Bologna : Archivio di Stato
Bologna: Archivio storico dell’Università di Bologna 
Cosenza: archivio di Stato
Forlì: Archivio di Stato
Padova: Archivio di Stato
Pisa: Archivio di Stato
Rimini: Archivio di Stato
Ravenna: Archivio di Stato
Ravenna: Archivio Arcivescovile e Biblioteca Diocesana.

Numerose sono le opere manoscritte e a stampa restaurate nel corso di questi anni, tra cui ne elenchiamo solo alcune:
Archiginnasio di Bologna: Incunaboli:
I. Poggi, Sigillum; 
Socrates, Orationes;
M. Rossi, De Salutaribus animi…; 
Biblioteca Comunale di Ancona:
Johannis Jansonii, Novus Atlas sive theatrum orbis.., Amsterdam,1646;
Biblioteca Universitaria di Bologna:
Bartolomeo Sacchi, Opera, Venezia, 1511; 
S. Thomae, Opus Aureum, Venezia, 1566; 
Ms. 2270, Areini, Historiae, sec. XV; 
Ms. 2268. Sermoni di S. Bernardo, sec. XIV; 
Ms. 2701. Theophanis fragmentae, sec. XIII; 
Ms. 2861, Segreti per i colori, sec. XV;
Biblioteca Comunale di Faenza:
Ovidio, Metamorfosi, Venezia, 1578; 
Plinio, Historia Mundi, Basilea, 1535; 
Bibbia, Venezia, 1498; 
Dante Alighieri, Divina Commedia, 1515,. Voll. 3.
Biblioteca Comunale di Forlì: incunaboli:
Tartanius, Lectura super secula inforziati..; 
Albertius Magnus, Fisica, Venezia, 1488;
J. Katham, Fascicolus Medica, Venezia, 1500;
Mss., Aierini Pauli, Cronicon, 1464; 
Blondus Flavius, Historiarum ab inclinationes romanorum,  Venezia, 1484; 
Corelli A., Sonata a 3 opera terza, mss. sec. XVII.
Biblioteca  Malatestiana di Cesena:
S. Thomas de Equino, Super Quarto Libro Sententiarum, Venezia,1481;
S. Vincentii Ferrari, Sermonis Dominicalis, Auremberge, 1492,
S. VII.4 . Aristotelis, De Historis Animalium, sec XIII; 
S. XIV. 3. C. Iulii Caesaris, Opera Varia, sec. XV;
S. XXV.1, Acron Aelenius, Commentaria in Horatium, sec. XII; 
D. V. 2. Biblia Sacra, sec. XIV; 
D. XVII. 3. Scotus Joannes, Super sec. et tert. Liber, sec. XV
Giornale: Il Popolano, annate 1901-1923;.
Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze:
F.C. Waldstein, Descriptiones et Icones Plantarum rariorum…, Vienna, 1802;
Vautihier et Lacour, Monumens de sculture anciens…, Paris, 1812;
Jacquin, Ortus Botanicus Vindobonensis, Vienna, 1770-1777, voll.3.
Description de la Mer Mediterranee, Amsterdam, 1599; 
Disciplina e costumi dei Regolari, mss. sec. XIV.
Biblioteca Comunale Planettiana di Jesi: 
Petrarca  F., Epistolae Familiaris, Venezia, 1492.
Historie di Messer Poggio, Venezia, 1476.
Gran Giornale dei Letterati, annate 1704-1706.
Biblioteca Classense di Ravenna:
S. Agostino, De civitate Dei, 1475; 
Diaceptum San Vitalis, mss. sec XIII; 
Ovidio, Metamorfosi, Venezia, 1497; 
Cicerone, Rethoricum et regium, mss., 1469.
Biblioteca Gambalunga di Rimini:
Seneca L. A., Philosophi Opera tribus.., Venezia, 1643;
Petrarca F., L’africa del Petrarca in ottava rima, Venezia, 1570; 
Marinello G., La prima parte delle parole.., Venezia, 1562; 
Terrentius Afer, Comediae sex, Venezia, 1584.


Tra gli ultimi lavori effettuati tra il 2004 e il 2012 si citano: 

Biblioteca Malatestiana (Cesena):
Mauro Guidi, Atlanti, voll.11, 1761-1898.
Archivio storico dell’Università di Bologna:
CS 4608 Diploma in pergamena con sigillo pendulo
CS 4955 Diploma in pergamena
V 638 Diploma in pergamena
CS 4348 diploma in pergamena con sigillo pendulo.
 Biblioteca  e Archivio della Diocesi di Chioggia:
SAV 15 01, Priscianus, Iuliano Consuli ac Patricio Priscianus Salutem[…], Venezia, 1481
SAV 14 02, Mariegola della Santa Croce, 1387-XV sec
SAV 14 06, Mariegola dei Flagellanti della Santissima Trinità, 1528;
SAV 14 01, Libro d’oro della Scola di S. Croce di Chioza, 1699-XVII sec.
SAV 14 03, Corale miniato, XV-XVI sec; 
SAV 14 04, Corale miniato, XV-XVI sec;
SAV 15 04, Svetonius T. G., Svetonius Tranquillus cum Philippi […], Venezia, 1500;
190.317.35, Lexicon Biblicum sascrae philosophiae candidatis […], Coloniae, 1536;
Comune di Gemmano:
Statuti di Gemmano (1612);
Biblioteca dell’Accademia Rubiconia dei Filopatridi di Savignano sul Rubicone:
Inv. 20, Evangelia Secundum Mattheum Lucam[…], ms membr., sec XV; 
Inv. 45, Incipit liber artis omnigenum[…], ms membr., sec. XIV;
Inv. 77, Rituale episcopale di consacrazione di una chiesa, ms membr., sec. XIV. 
CSAC – Centro Studi e Archivio della Comunicazione – Università di Parma
Fondazione Garzanti, Fondo di disegni relativi al progetto dell'Hotel de la Ville di Forlì realizzati dall'architetto Gio Ponti (metà XX secolo)
167 disegni su carta da lucido
23 eliocopie
10 eliocopie in album
1 carta manoscritta
Archivio Diocesano Cesena-Sarsina
A. Peruzzi, Lettera pastorale, Bologna, 1592.
pergamena manoscritta  (1387) lacerto di legatura con iscrizione Istrumenti antichi dal 1403 fino  al 1405.
pergamena manoscritta  (1527) lacerto di legatura.
pergamena manoscritta su ambo le facce.
Sinodo della diocesi di Sarsina, 1380.
Sinodo della diocesi di Sarsina, 1475.
Andrea de Bonetis de Papia, […],Venezia 1486.
9 coperte in pergamena manoscritta tratti dalla Bibbia Ebraica e dal Talmud
2.67, Nicolò da Osimo, Summa Casum Coscientiae, Venezia, 1489
16.131, Alexander de Villa, Mediolani, 1488.
3.92 , Alexander de Ales, Venezia, 1475.
Lucio Apuleio, Bologna, 1500.
13.43, Ricardo de Media Villa, Venezia, 1499.
2 cabrei: 54/A e 54/B
Biblioteca Comunale “Pasquale Rosario”, Ascoli Satriano (FG)
Discorso intorno agli equilibrj di Vincenzo Angiulli…, Napoli, 1770
“La *sfera di M. Giouanni di Sacrobosco tradotta da Pieruincentio Dante de Rinaldi […]”,In Perugia : nella stamperia di Gio. Berardino Rastelli, 1574; Coll: C 1081
“Tabellae nouae decisionum d. Matthaei ab Afflictis[…]”, ... – 1537; Coll: C 1077
“Poemata Francisci Haemi insulari […]”,Antuerpiae : ex officina Christoph. Plantini, 1578; Coll: D 71
“I dieci libri dell'architettura di m. Vitruuio […]”,- In Venetia : appresso Francesco de' Franceschi senese, 1584; Coll: B 1313
Liceo Artistico "P.L. NERVI – G. SEVERINI" – Ravenna
3 disegni su carta da lucido XX secolo.
Ordine della Casa Matha – Ravenna
Mappa “antichi possedimenti della Casa Matha”, cm 253 x 123, XIX sec
Monastero di S. Maria Maddalena - Sant'Agata Feltria (RN)
142 pergamene (anni 1200-1300)
Biblioteca Universitaria - Università degli Studi - San Marino (RSM)
51 P / 64 Y, F. Gesualdo, Plutosofia […], Padua, P. Meietti, 1592.
59 P / 70 Y, G. Grataroli, Opuscola […], ludguni, G. Coterium, 1558.
97 P / 110 Y, R. Lull, Opera ea quae ad adinuentam […], Strassburg, L. Zetzner, 1598
Biblioteca Digitale di Scienze della Salute delle Aziende Sanitarie Ferraresi – Ferrara
“Tassa de’ medicinali semplici, composti e spagirici”, Bologna, 1751.
“Ordini intorno al governo dello Spedale di Sant’Anna (1665) – Ordini e Provisioni (1675)”, Ferrara, 1665-1675.
“Raccolta di medicina e farmaceutica […]”, Venezia, 1538.
Ente morale Museo e Biblioteca Renzi - San Giovanni Galilea - Borghi (FC)
Catasto dell’estimo secc. XVI-XVII
Catasto dell’estimo secc. XVII-XVIII
Censimenti della popolazione di S. G. in Galilea e prov. di Forlì (4 vacchette del XIX sec.)
Biblioteca  Diocesana “E. Biancheri” - Seminario Vescovile – Rimini
C – IV- 47 , Vicariato di Sant’Arcangelo, inventati del capitolo, parrocchie, benefizi, cappellanie et altri luoghi pii,  XVI- 1778
C-I- 3, Visita del Vicariato di San Lorenzo a Monte e Sant’Arcangelo, 1574
C – IV – 44, Inventari della Cattedrale e Parrocchie e benefici della città, mss, 1580-1790
C- II- 26, Visita della Diocesi di Rimino fatta dal Monsignor Illustrissimo Honorati Vescovo di Urbania e visitatore
C-  III- 35, Visita della diocesi di Monsignor Zollio, mss, 1753/54
Biblioteca Diocesana “San Pier Crisologo” - Ravenna
Rerum Italicarum Scriptores […] Ludovicus Antonius Muratorius […] Tomus Primus, Mediolani, ex typographia Societatis palatinae in regia curia, 1723; XXVI, L, 1
Rerum Italicarum Scriptores […] Ludovicus Antonius Muratorius […] Tomi primi pars secunda, Mediolani, ex typographia Societatis palatinae in regia curia, 1725; XXVI, L, 1 (2)
Comune di Longiano, Biblioteca storica comunale “Lelio Pasolini”, Longiano
Adamo Brigidi  “Biografie elogi e cenni storici” 1877, Longiano
Biblioteca Comunale “Vendemini” - Savignano sul Rubicone (FC)
95 manifesti storici