venerdì 28 marzo 2014

Il vademecum per le denominazioni comunali Cos'è



Le De.Co. denominazioni comunali non sono marchi non rappresentano tutele, e men che meno delle vie brevi rispetto alle denominazioni europee riconosciute. Le De.Co. sono semplici atti notarili o, meglio, delibere di un’amministrazione comunale che registra un dato di fatto: un prodotto, un piatto, un sapere, con i quali una Comunità si identifica. Sono dunque un atto politico, che fissa un valore, una carta di identità che il sindaco rilascia dopo aver censito un passato, un presente, e ipotizzato uno sviluppo futuro.
Qual è dunque il valore di una De.Co.? Quello di fissare, in un dato momento storico, ciò che identifica quel Comune. A memoria futura, oppure come occasione del presente per cogliere un’opportunità di marketing territoriale.
BREVE STORIA DELLA DE.CO.
a. Il fenomeno delle De.Co. nasce a seguito della legge dell’8 giugno 1990 n. 142 che consente ai Comuni la facoltà di disciplinare, nell’ambito dei principi sul decentramento amministrativo, in materia di valorizzazione delle attività agro-alimentari tradizionali che risultano presenti nelle diverse realtà territoriali.
b. In seguito ed in forza di questa podestà concessa ai Comuni, l’Anci, l’Associazione Nazionale Comuni Italiani, nel 2000 redige una proposta di legge di iniziativa popolare recante: “Istituzione delle denominazioni comunali di origine per la tutela e la valorizzazione delle attività agro-alimentari tradizionali locali”.
c. Nel frattempo, giuristi e opinion leader intervengono in merito all’opportunità dei Comuni di legiferare in tema di valorizzazione dei propri prodotti. Citiamo a tale proposto l’articolo di Giuseppe Guarino sul Corriere della Sera (SCARICABILE) del gennaio 2002 e la lunga battaglia intrapresa dal giornalista Luigi Veronelli per la diffusione del fenomeno delle De.Co.
d. In sostanza Guarino e Veronelli iniziano a fare riferimento anche alla legge Costituzionale n. 3 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 18 ottobre 2001, che delega ai Comuni la podestà di emettere regole in campo agricolo. Da qui, o meglio da quella data, si segnala il proliferare di Comuni, che deliberano una o più Denominazioni Comunali.
La svolta del Convegno di Alessandria
Il Convegno di Alessandria del maggio del 2005, organizzato da Papillon, segna una svolta. Per la prima volta, dal confronto con il ministero per le Politiche Agricole avviato da Massobrio e Alemanno e confluito in un tavolo di lavoro (presenti Massobrio, De Donno, Olivieri, Lagorio e per il ministero La Torre e Mottironi) e dopo il parere aureo degli amici del gruppo Veronelli, Nichi Stefi e Arturo Rota, si è ritenuto foriero di equivoci e di confusioni l'acronimo De.C.O. che faceva riferimento all'orgine, sostituito quindi con De.Co. denominazione comunale.
La sintesi di Alessandria
Le De.Co. non sono marchi di qualità, ma delle attestazioni che legano in maniera anagrafica la derivazione di un prodotto/produzione dal luogo storico; sono dei certificati notarili contrassegnati dal Sindaco a seguito di una delibera Comunale; sono dei censimenti di produzioni che hanno un valore identitario per una comunità. Sono dunque strumenti flessibili per valorizzare le risorse della propria terra nel tentativo di garantire la biodiversità, traendone talvolta vantaggi anche sul piano turistico ed economico. Rappresentano, insomma, il vero, autentico passaggio dal generico “prodotto tipico” al “prodotto del territorio”.
La posizione del Ministero
*Il convegno del 6 maggio 2005 ad Alessandria e la posizione del Ministero
L’allora Ministro per le Politiche Agricole Gianni Alemanno che nel suo intervento ricordò che “Le De.Co., intese come censimento dei prodotti che identificano un Comune, sono un ulteriore elemento di distinzione che sicuramente rafforza il valore identitario di un territorio. [...] Debbono essere uno stimolo, una semplice delibera, che non fa riferimento ad aspetti qualitativi o a disciplinari richiesti invece per altre denominazioni di valenza comunitaria, ma che censisce, in un dato momento storico, un bene identitario legato all’artigianità o alla vocazione agricola di un Comune”.
Le divergenze con il ministero
L’apertura sulle De.Co del Ministero non fu però sufficiente a garantire un percorso lineare per l’attribuzione della denominazione comunale e il 2006 sarà tuttavia un anno di svolta in senso negativo, con una serie di interventi , che a nostro avviso appaiono confusionari da parte delle istituzioni. A seguito di una circolare inviata via fax dal Ministero per le Politiche Agricole (il ministro appena nominato era Paolo De Castro), a firma del Capo Dipartimento nella quale si dava un giudizio negativo sulle De.Co messe insieme ad un'altra iniziativa denominata Res Tipica, tutto precipita nella confusione. Così nell'estate del 2006 i carabinieri intervengono a Novellara, nel corso dell'annuale sagra, per bloccare la De.Co sul cocomero, mentre anche il Comune di Alessandria, che aveva deliberato la De.Co. sulla propria pasticceria viene messo in guardia e il Saviglianese del 7 settembre titola “L’Europa blocca le De.Co”. I segnali in senso negativo arrivano direttamente da due fax diramati dal Ministero. Uno, inviato all’Anci in data 4 agosto dello stesso anno, dove invita “l’ICFR, il Nucleo dei Carabinieri e il Corpo forestale dello Stato a vigilare affinchè siano perseguite iniziative di riconoscimento dei marchi “Res tipica” e De.Co. L’altro, sempre in data 4 ottobre 2006, definisce le De.Co “elemento di banalizzazione del sistema delle denominazioni protette” e ribadisce “una posizione negativa dell’Amministrazione, in linea con la normativa comunitaria, in merito all’iniziativa”.
La battaglia del Club di Papillon
Paolo Massobrio insieme a tutto il Club di Papillon riaccende la discussione sui mezzi di stampa difendendo le denominazioni comunali sulle pagine della Stampa in un articolo del 22 settembre del 2006, sul Tempo di Roma il 3 ottobre e con l’editoriale della Circolare del Club di Papillon dell’autunno dello stesso anno, in cui si ripercorre tutto l’iter delle De.Co. Negli stessi giorni Paolo Massobrio,- la data è il giorno 12 ottobre 2006 - viene ricevuto a Roma dal ministro per le Politiche Agricole Paolo De Castro per discutere del problema, senza però arrivare a nulla di concreto. Tuttavia, l'azione polemica di Papillon sortisce un primo effetto: nessun altra circolare dal tono minaccioso è più partita dal ministero. Nel 2008 appare il libro "de.Co. la carta d'identità del sindaco" che contiene la prefazione del Ministro per le Politiche Agricole Luca Zaia e una serie di indicazioni e pareri positivi sulla sostenibilità delle denominazioni comunali. Nel frattempo si moltiplicano le De.Co. con esempi clamorosi come quello di Milano, avviato da una nostra iniziativa a Golosaria del 2006. Non tutte però seguono un modello uniforme e molte sono ancora contrassegnate dagli errori riscontrati. Da qui la necessità di proporre un modello di De.Co. o meglio un iter a cui tutti possano ispirarsi per arrivare all’istituzione di un registro delle denominazioni comunali e alla compilazione di una delibera corretta.
I TRE FILONI DELLA DE.CO.
Detto questo ci preme sottolineare i tre filoni principali della denominazione comunale, compresi quelli secondari, forieri di ulteriori sviluppi.

Primo gruppo:

La De.Co. su un PRODOTTO TIPICO.
E’ il caso di un prodotto agricolo coltivato in quel territorio, adattatosi nel tempo e conservato, come coltura, dagli abitanti di un paese. E’ questo il caso della Mela grigia di Torriana, della  cipolla rossa di Breme, dell’asparago di Cilavegna, del pomodoro cuore di bue di Belmonte Calabro, della pesca limonina di Asti, della cipolla borettana di Boretto, dell’albicocca puntinata della Valeggia di Quiliano.
La De.Co. su UN PRODOTTO DELL’ARTIGIANATO ALIMENTARE.
E’ il caso di un prodotto dell’artigianato alimentare locale, che rappresenta un valore identitario delle  famiglie di un paese. Lo sono gli amaretti di Mombaruzzo, lo sono gli amaretti di Gallarate, il cioccolato di Modica, il pane di Visso, la michetta di Dolceacqua, il panettone di Milano oppure la Pizza di Tramonti.
La De.Co. su UN PRODOTTO DELL’ARTIGIANATO.
Si tratta di un sapere che ha sviluppato un artigianato locale. Ad esempio i fischietti di Rutigliano o i Camparot di Lu Monferrato. Tutti questi esempi di De.Co. hanno una caratteristica: possono rappresentare il fulcro di attività commerciali. Quindi la loro crescita di notorietà può richiedere forme di tutela che possono sfociare nella creazione di un’Associazione di produttori, in un Consorzio e nell’avvio di una richiesta di denominazioni riconosciute dall’Unione Europea come la Dop o l’Igp, percorso che ad esempio sta interessando il cioccolato di Modica o il panettone di Milano. In assenza di questi riconoscimenti che richiedono un iter complesso, è possibile registrare un “marchio collettivo territoriale”, come è accaduto per l’Amaretto di Mombaruzzo. Ma questi sono momenti dove il Comune non può entrare, mentre vi entrano i singoli produttori.
Secondo gruppo:
La De.Co su una ricetta
Questo tipo di De.Co. rappresenta il livello meno commerciale e più culturale. E solitamente è legato ad una tradizione, che a sua volta ha prodotto una sagra, codificando la storia e l’esistenza di un piatto. E’ il tipo di De.Co. che ultimamente sta trovando più consensi, e che meglio esprime il concetto identitario che menzionavamo prima. Ecco alcuni esempi. A Milano, il Comune ha deliberato la De.Co. in due tornate per il risotto giallo, i mondeghili, i rustin negàa. Quindi i Subrich di Masio, il Turtun di Castelvittorio, la torta amara della Vallera, la torta Paciarela di Gessate, gli agnolotti gobbi di Asti, la bistecca Madama la Piemonteisa di Savigliano, i tortelli con la coda di Vigolzone, la Seupa a la Vapelenentse di Valpelline.
La De.Co. su una festa
Si tratta di momenti legati alla tradizione di un piatto o di un prodotto, che rimangono un momento di aggregazione popolare di una data Comunità, con una certa storicità. Esempio di questo gruppo è sicuramente la De.Co. sulla Fiera del Bue grasso di Moncalvo (At).
Le De.co. su un sapere
Sono denominazioni riferite ad una pratica in uso in un determinato Comune come può essere una tecnica di pesca, di coltivazione, di artigianato. Ad esempio i muretti a secco di Arnasco (Sv) o gli infernot di Frassinello Monferrato (Al).

La De. Co. su un terreno.
E’ il caso, assai diffuso, delle De.Co. sulle tartufaie, che di fatto tutelano (vedi esempio del tartufo nero di Montemale) un territorio vocato alla crescita e raccolta di una particolare specie di tartufo.
Terzo Gruppo:
Le De.Co. multiple
Il terzo filone delle De.Co, riguarda situazioni multiple o aggregate, come ad esempio la De.Co. sulla pasticceria alessandrina, che si situa a ombrello sui due tipi di De.Co, precedenti, oppure un esempio su scala provinciale, come il Paniere dei prodotti della provincia di Torino o il Paniere delle De.Co. della provincia di Vicenza. Ma attenzione, mentre il caso del Paniere è un eventuale aggregazione di De.Co. comunali (pochissimi dei 30 prodotti hanno la De.Co.), le aggregazioni all’interno di un Comune che intendiamo noi partono da una storia, come il sapere diffuso ed emulato sulla pasticceria alessandrina.
E’ un discorso ben diverso dal Comune che fa più De.Co., a volte con un principio solo quantitativo e non di sostenibilità qualitative e quindi promozionale.
Con questa disamina, crediamo di aver rappresentato tutti i casi che possono essere compresi nell’adozione di una De.Co. denominazione comunale.
3 - IL FUTURO CHE CI ASPETTA
Quello che dunque presentiamo è il frutto di anni di confronto, e di un percorso sostenibile per giungere con serenità a porre, in ogni Comune d’Italia, un fatto semplice: una delibera, che suona come un flatus vocis da cui può partire un modo più consono per il nostro Paese di affrontare la globalizzazione. Si chiama identità.
POSTILLA:
Per garantire la sostenibilità di una De.Co. occorrono tuttavia due principi. La storicità di una De.Co. perchè si eviti anche qui improvvisazioni che possono nascere da meri interessi commerciali.
La De.Co. come espressione di un patrimonio collettivo e non a vantaggio di una singola azienda.

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