Il Palazzo della Prefettura a Bologna
Sarà per il red carpet che
copre le antiche scale di palazzo Caprara-Montpensier, sarà per le alte volte e
l´austerità che emanano gli stucchi, sarà per il sentore d´autorità
prefettizia, fatto sta che si resta intimiditi. E una volta fra le sontuose
stanze, con l´impressione di varcare un angolo di città proibita, ci si accorge
che forse l´effetto è provocato dai fantasmi di tutta la nobiltà europea che ha
dormito e soggiornato tra quelle mura, da Napoleone al cognato Eugenio
Beauharnais, dai reali di Svezia agli Orleans-Montpensier fino ai Brignole di
Genova e, in epoca recente, ai presidenti della Repubblica, da Einaudi a
Napolitano.
Per scacciare quest´aria di
santuario, è stata fortemente voluta la
monografia sul palazzo, pubblicata dalla Bup
e curata dallo storico Angelo Varni, affiancato da studiosi come
Giancarlo Roversi, Marzio Dall´Acqua, Daniela Sinigallesi, Andrea Emiliani ed
Elena Musiani. Questa dell´apertura alla città è una scelta voluta proprio per
cancellare l´aura di castello inaccessibile che coglie i bolognesi passando
davanti alla facciata seicentesca di piazza Roosevelt.
Nel Palazzo della Prefettura
importanti le mostre sui presepi, sulla
storia degli alpini e, da ultima, quella sugli abiti d´epoca, gli stessi che
sono passati frusciando nelle stanze ora del Governo. C´è persino la veste
talare indossata dal cardinal Caprara quando pose la corona di re d´Italia
sulla volitiva testa di Napoleone e alcuni degli indumenti degli Orleans. «Per
i presepi sono stati quindicimila, per la giornata del Fai duemilacinquecento,
e per gli abiti sono già migliaia...» si puà leggere sfogliando i lasciti
scritti dei visitatori. La frase più importante recita: «Chiunque può visitare queste stanze, basta
chiederlo».
Molti l´hanno già fatto
entrando nell´appartamento presidenziale dov´erano di casa Spadolini e Cossiga,
il salone della Guardia, restaurato nel dopoguerra, il salotto della regina
dove campeggia un Guercino, la camera dove dormì Napoleone e la moglie
Giuseppina Beauharnais con ai lati quattro colonne sormontate da altrettante
aquile, e la sala riunioni con un lampadario di Murano capolavoro di fine
Settecento. E nei corridoi un Carracci oltre a un Tintoretto.
Ma quello dei quadri è un tasto
dolente. «I regnanti di Svezia, quando vendettero ai Brignole, si tennero la
collezione, ora al palazzo reale di Stoccolma», all´appello mancano pure la
collezione di arazzi finiti all´ambasciata spagnola presso la Santa sede e la
serie di ceramiche del Minghetti. se ci fossero anche quelli: sarebbe molto più di un museo»,
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