L'Abbazia della Madonna del
Monte, come è comunemente chiamata, è uno dei segni più caratteristici del
paesaggio cesenate.
La mole, il tozzo tamburo
senza cupola e l'abside polilobata della chiesa sono visibili quasi da ogni
punto della città e della campagna circostante. Meta ogni anno, nel giorno
dell'Assunzione (15 agosto), di una tradizionale passeggiata-pellegrinaggio e
sede ormai abituale di manifestazioni musicali e culturali, l'abbazia occupa un
posto di rilievo nella vita cittadina. È
raggiungibile agevolmente in automobile, attraverso i quartieri residenziali
sorti negli ultimi decenni sulle pendici del colle Spaziano ma anche a piedi,
seguendo l'antico percorso che collegava il monastero alla porta Santa Maria.
La via delle Scalette ha oggi inizio in via San Benedetto, nelle immediate
vicinanze del giardino pubblico. Con un tracciato sinuoso e, soprattutto,
appartato dal traffico e immerso nel verde, consente di raggiungere la sommità
del colle in poche decine di minuti. L'unica fonte storica che faccia cenno
alle origini dell'abbazia è la Vita Mauri di Pier Damiani, scritta
probabilmente nel periodo fra il 1042 e il 1053. In essa, lo storico fa cenno
al luogo di romitaggio scelto da San Mauro sul colle detto "Saltus
Spatiani" e alla sua sepoltura in un'arca di pietra nei pressi della
chiesetta che egli stesso aveva costruito.
Non
possediamo elementi certi per stabilire l'epoca esatta nella quale San Mauro
sarebbe vissuto: essa è oggi collocata fra la metà del IX secolo e la prima
metà del X. Pier Damiani racconta che la sepoltura del santo divenne negli anni
oggetto di una sempre crescente devozione popolare: la chiesa fu ampliata ed
abbellita e, in un periodo presumibilmente compreso fra il 1001 e il 1026, fu
fondato il monastero. Già alla metà del secolo il convento poteva contare su
vasti possedimenti e, alla fine del Duecento, appare come una delle strutture
religiose più ricche della città. Fortificato da Francesco Ordelaffi nel 1356,
fu gravemente danneggiato durante la lotta contro le truppe papali del
cardinale Albornoz. Nel 1366 Urbano V concedeva indulgenze a chi avesse
collaborato alle riparazioni. Nel Quattrocento il convento fu in parte
ricostruito e nel secolo successivo si procedette al totale rifacimento della
chiesa; i lavori ebbero inizio nel 1548, sotto la direzione di Domenico
Garavini da Brisighella. Fino a quell'anno la chiesa ebbe pianta basilicale, a
tre navate con pilastri in cotto e abside poligonale.
Nel corso del rifacimento
cinquecentesco, le vecchie navate centrale e destra vennero unificate in una
più ampia navata centrale, mentre la vecchia navata sinistra fu trasformata in
una serie di cappelle. Altre cappelle corrispondenti a queste furono realizzate
ex novo a destra. La parte sinistra dell'antica chiesa sopravvive così incorporata
nella stuttura esistente: una parte di un antico pilastro in cotto è visibile
all'imbocco della scala laterale sinistra che scende alla cripta. Nel 1567
l'architetto bolognese Francesco Terribilia fu incaricato della realizzazione
della cupola che, già terminata l'anno successivo, fu poi decorata ad affresco
da Francesco Masini con una "Assunzione della Vergine". Probabilmente
spetta al Terribilia anche la realizzazione dello scalone nella sua
configurazione odierna. Quello realizzato dal Garavini pochi decenni prima,
infatti, aveva una rampa centrale che scendeva nella cripta, mentre le due
rampe minori laterali salivano al presbiterio. In occasione del Giubileo
dell'anno 1600 le cappelle di sinistra vennero dotate di nuovi altari e di
pale, e quarant'anni più tardi Giambattista Razzani eseguiva decorazioni ad
affresco. Il terremoto del 20 ottobre 1768 danneggiò irreparabilmente la cupola
che, demolita, fu sostituita da Pietro Carlo Borboni con un basso catino. Dal
1771 Giuseppe Milani si dedicò alla completa affrescatura del presbiterio. Dal
1777, infine, una totale ristrutturazione del convento fu condotta
dall'architetto Giuseppe Brunelli. Il 7 agosto 1797 i sessantasei monaci che la
occupavano ricevettero l'ingiunzione di lasciare l'abbazia. Abbandonata per
pochi anni, essa fu poi ripristinata e assegnata ai Minori Conventuali. Con la
soppressione definitiva del 1810 anche questi monaci dovettero lasciare il
convento, che fu posto in vendita nel 1812. L'intero della chiesa è a una
navata con quattro cappelle per lato. In alto, sui tre lati, corre il fregio di
Gerolamo Longhi che contiene quattordici scene della vita della Vergine
alternate a figure di putti, profeti e sibille: terminato nel 1559 fu scialbato
nei secoli sucessivi e rimesso in luce solo all'inizio del nostro. Nella prima
cappella a destra è stato collocato l'ingresso della chiesa. Nella successiva,
"L'Annunciazione" di Bartolomeo Coda, tavola commissionata dai frati
ma pagata da Federico da Montefeltro nel 1543.Si tratta dell'unica opera
conosciuta che rechi la firma del pittore riminese. Nella terza cappella,
"San Mauro risana gli infermi", tela di Francesco Mancini (1704). Nel
tondo, una cinquecentesca "Deposizione". Nell'ultima cappella,
"La presentazione di Gesù Bambino al Tempio" e "La Purificazione
della Vergine", tavola di Francesco Francia dipinta intorno al 1515. Nella
cappella corrispondente sul lato sinistro, "La Vergine con Cristo in
Pietà", bella opera tarda del Mastelletta (1620-40). Le tre cappelle successive
furono dotate di ancone e tele (di assai scarso valore) in occasione del
giubileo del 1600. Per lo scalone del Terribilia (originariamente in pietra,
rifatto in marmo nel 1914) si sale al presbiterio, dove si conserva il sontuoso
coro, splendida opera di intaglio realizzata fra il 1560 e il 1563 dal
bresciano Giuseppe Scalvini, poliedrico artista attivo con la sua bottega a
Milano, Ravenna e, sembra, in alcuni centri della Germania.
Una conferma del ruolo di
primo piano che la basilica ha avuto da secoli nella vita religiosa della città
è data dalla straordinaria collezione di ex voto costituita da tavolette
dipinte a partire dal Quattrocento che raffigurano, spesso con mano ingenua ma
a volte con modi artisticamente apprezzabili, i molti miracoli con i quali la
Vergine del Monte esprimeva la sua protezione a Cesena e ai cesenati. Dal
presbiterio si passi alla sacrestia dove, assieme a importanti arredi del XVIII
secolo, sono esposte alcune opere pittoriche di notevole valore fra le quali
vanno ricordate un bel "San Giovanni Evangelista" su tavola, di
ambito veneziano trecentesco, la "Presentazione di Gesù al Tempio" di
Francesco Menzocchi (1534), la "Sacra Famiglia con i Santi Gioacchino,
Maddalena, Gerolamo e Benedetto" di Gaspare Sacchi (1536), firmato, ultima
opera nota del pittore imolese, e il "Cristo e la Maddalena al pozzo"
di Marcantonio Franceschini. Tornati in chiesa si scenda, per una delle rampe
laterali dello scalone, alla cripta, un basso ambiente realizzato sotto il
presbiterio, diviso in tre navate da grossi pilastri. In fondo, il venerato
sarcofago di Seia Marcellina, di età romana e usato, secondo la tradizione, per
contenere le spoglie di San Mauro. Sopra, una croce in pietra del IX secolo.
Dalla cripta si passi alla sala capitolare con la bellissima volta a ombrello
nelle cui lunette sono dipinti "I dodici Apostoli, San Benedetto, San
Mauro e San Placido". Nel tondo al centro della volta, "L'Assunzione
della Vergine" e, nella calotta della nicchia che contiene l'altare,
"L'Incoronazione della Vergine".
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