FORLI’ (parte quarta)
Di periodo imprecisato è invece l'alleanza di Forlì con
Rimini. Questa alleanza causerà non poche frizioni con Ravenna, che mal
sopportava per Rimini (altra città di mare in crescita economica) un'alleata
importante come Forlì. Le frizioni hanno termine nel 1234 quando nasce una Lega
ghibellina. Le continue lotte tra impero e papato causano in Italia, nei primi
due decenni del Duecento, il rafforzamento dell'identità comunale. Il guelfismo
romagnolo, sostenuto da Bologna, ha i suoi centri in Faenza e Cesena. A questo
si vuole contrapporre la parte ghibellina, che si articolerà nella Lega
ghibellina che unisce Forlì, Ravenna, Rimini e Bertinoro. La Lega però avrà
vita breve e difficile. Tenere unite città che, sebbene tutte ghibelline,
aspirano a medesimi interessi territoriali ed economici è estremamente arduo.
Nel 1236 i forlivesi (non aiutati da Ravenna) vengono sconfitti in battaglia da
Cesena e poco tempo dopo Ravenna (non aiutata da Forlì) viene sconfitta da
Faenza. Nello stesso anno 1236, a seguito di tali eventi, ha fine l'accordo tra
i confederati imperiali. Forlì, ben presto, rimarrà l'unica alleata dell'impero
in tutta la Romagna.
Tra le figure che emergono in questo periodo, devono essere
ricordati il podestà Teobaldo Ordelaffi ed il capitano del popolo Superbo
Orgogliosi, esponenti di due fra le famiglie più importanti della storia della
città. Nell'estate del 1241 Teobaldo interviene in maniera decisiva a sostegno
delle truppe imperiali, impegnate nell'assedio di Faenza. In agosto la città
guelfa si arrende. Secondo la tradizione Federico II riconoscente per l'aiuto
elargisce a Forlì privilegi inusuali, come un'ampia autonomia comunale,
compreso il diritto di battere moneta e di fregiarsi delle insegne sveve nello
stemma comunale (l'aquila d'oro) e di nominare magistrati senza chiedergli di volta
in volta formale autorizzazione[5]. La città accoglie festosamente la visita
dell'imperatore. La famiglia Ordelaffi tiene per circa due secoli la signoria
di Forlì. Va notato che le benemerenze acquisite consentono ai forlivesi di
intercedere a favore dei faentini presso Federico, convincendolo a risparmiare
la città di Faenza, che egli intendeva invece distruggere.
Nel 1244 la Repubblica di Venezia avvia una politica di
espansione verso il territorio romagnolo. Il progetto della Serenissima è
quello di strappare il controllo dei commerci marittimi a Forlì. Le truppe di
Venezia si inoltrano nel forlivese, assediando la stessa Forlì. I veneziani
sono subito messi in fuga dalla reazione degli assediati. La sola città di
Cervia, con le sue preziose saline, rimarrà ancora sotto controllo veneziano,
anche se per pochi anni.
La rotta subita a Parma da Federico II nel 1248 segna il
progressivo indebolimento del potere imperiale, rendendo estremamente critica
la situazione per la Forlì ghibellina. Ciò permette al papa Innocenzo IV, nel
maggio 1248, di inviare il proprio legato Ottaviano degli Ubaldini a cingere
d'assedio la città che si vede così costretta, non più protetta dal potente
alleato, ad arrendersi al potere pontificio. Forlì, avvinta dal potere papale,
diventa ufficialmente città guelfa, sebbene le spinte delle fazioni ghibelline
rimarranno sempre presenti. Del 1249 è la battaglia di Fossalta; nel 1250
Federico II muore, lasciando Forlì unica città spiritualmente filo-imperiale
della Romagna. La guelfa Bologna, grazie al nuovo clima politico, diventa in
pochi anni la città egemone sulla Romagna. Anche Forlì cade sotto il suo
dominio. Il comune felsineo nomina uomini bolognesi alle cariche di podestà e
capitano del popolo.
Il controllo bolognese della città viene meno nel 1273. I
ghibellini forlivesi, che erano in guerra con Bologna, trovano un mediatore in
Edoardo I d'Inghilterra, di passaggio sulla via del ritorno dalle Crociate per
essere incoronato re d'Inghilterra; la mediazione finisce per condurre ad un
accordo con i Lambertazzi (famiglia ghibellina di Bologna)[6]. Forlì ritorna ad
essere ufficialmente ghibellina. Nel 1275, dopo un tentativo, fallito, di
Bologna di riconquistare la città, i ghibellini forlivesi, sotto il comando di
Guido da Montefeltro, di Maghinardo Pagani e di Teodorico Ordelaffi, attaccano
a loro volta la città felsinea. Gli avversari furono sconfitti presso il ponte
di San Procolo (dove la via Emilia supera il fiume Senio). La rotta dei
bolognesi fu tale che persero anche il carroccio, portato in trionfo in città:
Forlì era diventata di fatto la capitale dei ghibellini in Romagna.
Il passaggio dal libero comune alla signoria fu piuttosto
tormentato: emersero, fra gli altri, i tentativi di Simone Mastaguerra,
Maghinardo Pagani e Uguccione della Faggiuola, ma il successo nel dominio
cittadino arrise alla dinastia della famiglia Ordelaffi, che resse, sia pure
con qualche interruzione, la città dalla fine del XIII fino all'inizio del XVI.
Al contrario di altre grandi famiglie forlivesi, come i
Calboli - tradizionalmente guelfi - e gli Orgogliosi - dapprima ghibellini poi
passati ai guelfi -, gli Ordelaffi coltivarono quasi costantemente simpatie
ghibelline, causando vari dispiaceri al governo pontificio: è stato notato che
la città si comportò verso i Papi come Milano verso gli Imperatori. I Papi
reagirono a volte con la carota, ad esempio offrendo agli Ordelaffi il titolo
di vicario apostolico, ed a volte col bastone, non sempre con successo.
Infatti, nel giro di poco più di vent'anni, il destino fece
sì che la Casa di Svevia cadesse in disgrazia. Il più solerte e fedele
luogotenente che gli Imperatori avessero in Italia, Guido da Montefeltro, era
stato costretto a riparare a Forlì, ultima roccaforte del Ghibellinismo, dove
fu pregato di assumere la carica di Capitano del Popolo. In questa veste egli
condusse ripetutamente il suo esercito di vittoria in vittoria; fra le più
sfolgoranti, devono essere ricordate quelle contro i Bolognesi al Ponte di San
Procolo (15 giugno 1275), tra Faenza e Imola e quella di Civitella (14 novembre
1276) contro una coalizione guelfa cui s'erano aggiunti anche i Fiorentini.
Affresco di Pompeo Randi del 1870, presso la sala del
Consiglio del'ex palazzo della Provincia di Forlì. Guido da Montefeltro riceve
dal Consiglio degli anziani di Forlì l'ordine di combattere contro l'esercito
di papa Martino IV
Nel 1281, Papa Martino IV, francese, incaricò Giovanni
d'Appia, uno dei migliori uomini d'arme della sua terra, di formare un esercito
per riconquistare le città romagnole. Dopo aver preso facilmente Faenza,
Giovanni si diresse verso Forlì e cinse d'assedio la città. Furono i prodromi
della battaglia più ardua che la città ricordi. Lo scontro, annoverato negli
annali cittadini come la battaglia di Forlì nel Calendimaggio 1282, ebbe un
esito insperato ed è riportata come l'impresa più sensazionale che la storia
cittadina possa ricordare. L'assedio si protrasse fino al 1282. I ghibellini,
capitanati da Guido di Montefeltro, riuscirono a rompere la stretta e a sconfiggere
Giovanni d'Appia nella battaglia di Forlì sotto le mura della città. L'episodio
stesso è ricordato da Dante Alighieri: "la terra che fe' già la lunga
prova e di Franceschi sanguinoso mucchio" (Inferno XXVI, 43-44).
In questa circostanza, oltre al valore, rifulse anche la
sagacia tattica del nobile condottiero montefeltrano che riportò, contro
l'esercito papale, la sua impresa più sensazionale. Lo smacco per il pontefice
transalpino fu talmente cocente che l'anno dopo sostituì il capitano sconfitto,
Giovanni d'Appia, con Guido di Monforte. Da parte loro, i ghibellini, sebbene
vittoriosi contro un esercito numericamente e militarmente più forte, uscirono
grandemente provati dall'impresa. L'anno seguente, il 13 settembre 1283, Guido
di Monforte conquistò la città, senza che vi fosse battaglia alcuna, ma
minacciando terribili ritorsioni nei confronti della popolazione, oramai
esausta e stremata. Il Senato forlivese si vide costretto ad accettare la resa
senza condizioni. Guido da Montefeltro, che invece avrebbe voluto opporsi,
sentendosi tradito, abbandonava la città coi suoi fedeli.
Il tributo che la città deve pagare è pesante: l'espulsione
di tutti i ghibellini, l'atterramento totale della mura cittadine, delle torri
nobiliari, il riempimento dei fossati difensivi e l'imposizione di un tributo
annuo di mille ducati alla Camera apostolica. Lo storico Flavio Biondo scriverà
che il papa ridusse Forlì da città a villa, cioè centro privo di
fortificazioni. L'intento della Chiesa è chiaro: da una parte assecondare lo
spirito indipendentista della città, dall'altra fare in modo che tale impulso
sia imbrigliato in modo da non essere pericoloso per il Papato e fare in modo
che la città sia asservita al volere papale. A tal proposito le cronache
riportano: Che el populo forloueso abba gouerno populari, priori, consoli e
consiglieri, come piace a loro, in una con lo gouerno ecclesiastico in persona
del papa, semza el quale non se possa fare niente.... La città può avere la
forma di governo che preferisce, ma è il legato a decidere.
I forlivesi si rassegnarono a sottostare al dominio papale e
a tollerare, sebbene ancora per poco tempo, l'ingombrante presenza del legato
pontificio in città. La figura del legato, sempre malvista, non riuscì a sedare
le continue scaramucce tra le famiglie nobili della città e fra tutti coloro i
quali ambivano al comando assoluto di Forlì. Si rafforza la posizione degli
Ordelaffi, delineandosi un loro ritorno al potere.
A cavallo fra Duecento e Trecento gli Ordelaffi si erano
imposti come la famiglia dominante della città, ma persisteva ancora un potere
podestarile che riusciva a governare la città in virtù dell'instabile
situazione politica dovuta dalle lotte intestine fra le famiglie della città.
In queste condizioni, il controllo della città fu assunto da un signore esterno
la città, Maghinardo Pagani da Susinana, ghibellino, che riuscì ad unire in un
unico dominio territori che comprendevano i comuni di Forlì, Faenza ed Imola.
Con Maghinardo Pagani si realizza a Forlì una sorta di prima signoria.
Figura di primo piano in una Forlì antipapale e alleata
degli Estensi, fu Scarpetta Ordelaffi, al tempo capitano del popolo, che seppe
conferire nuovo potere alla città romagnola. Prese posizione, in maniera aperta
e sicura, nei confronti dei ghibellini romagnoli e toscani. Ciò apparve
eccessivamente provocatorio per la Chiesa che inviò il vescovo Rinaldo da
Concorezzo a sottomettere la città.
Nel 1302 gli Ordelaffi guidati da Scarpetta riuscirono ad
allontanare con la violenza il rettore pontificio Rinaldo da Concorezzo, dopo
averlo ferito in maniera grave e, nel 1303, alla morte di Maghinardo Pagani,
gli Ordelaffi, sbaragliando la resistenza delle famiglie avversarie, riuscirono
gradualmente ad impossessarsi del controllo sulla città diventandone i signori.
Nel 1315 gli Ordelaffi si impossessarono pienamente del
potere e l'anno successivo divenne signore Sinibaldo Ordelaffi, figlio di
Tebaldo.
I primi 20 anni del Trecento servirono agli Ordelaffi per
consolidamento del potere ed il riconoscimento ufficiale della loro signoria
sulla città avvenuto, tra il 1326 ed il 1338 sia dall'imperatore che dal
papato.
Il 13 agosto 1294, secondo le cronache tramandate da Leone
Cobelli, i Calboli e gli Ordelaffi ingaggiarono una sanguinosa battaglia,
durante la quale fu ferito a morte Fulcieri da Calboli. Tra i feriti anche
Guido da Polenta, all'epoca capitano di Forlì, ed il figlio Alberto. gli
Ordelaffi fecero prigionieri gli avversari e riuscirono a cacciare tutti i
Calboli dalla città. Maghinardo Pagani da Susinana ebbe in custodia Guido da
polenta e, presi in consegna gli altri prigionieri, li condusse a Faenza e qui
restituì loro la libertà.
I Calboli, banditi da Forlì, ebbero tuttavia modo di
riorganizzarsi e di preparare una reazione, appoggiandosi alle forze che si
contrapponevano ai ghibellini.
I bolognesi infatti stavano prendendo sempre più
minacciosamente ai confini dei territori controllati da Maginardo e dei suoi
alleati, facendo perno su Imola per preparare un nuovo attacco a Faenza,
l'ostacolo principale all'espansione verso est. Lo scopo di Bologna era infatti
quello di riprendere il controllo politico sulle basi nelle quali gli esuli
Lambertazzi stavano preparando una riscossa, stringendo alleanze e ricostruendo
un esercito, e dalle quali compivano frequenti scorrerie lungo il Santerno.
I ghibellini romagnoli compreso che solo una riconquista di
Imola avrebbe vanificato i propositi dei guelfi bolognesi e quindi su questa
città si concentrò l'attenzione dei 2 schieramenti. Nell'autunno del 1295, Azzo
d'Este riunì ad Argenta tutti i capi ghibellini di Romagna per costruire una
lega, la Liga Amicorum, e mettere a punto la grande offensiva, furono eletti a
capitani della lega Maghinardo Pagani da Susinana per Faenza, Scarpetta
Ordelaffi per Forlì, Galasso da Montefeltro per Cesena, Uguccione della
Faggiola per i fuorusciti di Imola ed un esponente dei Lambertazzi per i
fuorusciti bolognesi.
Passato l'inverno, tempo necessario per organizzare le
forze, nel marzo del 1296 l'esercito della lega si presentò alle porte di
Imola. Il primo giorno di aprile Maghinardo Pagani da Susinana guidò le truppe
di Scarpetta Ordelaffi, Galasso e Uguccione verso le rive del Santerno. Giunti
alla porta di San Pietro, gli imolesi e i bolognesi tentarono la resistenza ma
non essendo in grado di sostenere l'assalto, furono travolti, perdendo oltre
quattrocento fra fanti e cavalieri. Il rettore della Romagna, Guglielmo Durand,
vescovo di Mende, il 26 aprile 1296 intimava alla città di Cesena, Faenza, e
Forlì di desistere dall'impresa, pena la scomunica.
Nel giugno del 1296 i ghibellini forlivesi servirono massa
ancora parte dell'esercito che, guidato da Scarpetta e Maghinardo Pagani da
Susinana, stava procedendo all'attacco di Castelnuovo, dove si trovavano i
Calboli con i loro alleati. L'assedio alla città fu mantenuto per 24 giorni ma
alla fine l'esercito dovette abbandonare l'impresa e proseguire oltre. Impresa
militare però lasciò sguarnita la città di Forlì per un lungo periodo e così il
15 luglio i Calboli con i loro alleati (ravennati, cervesi, riminesi e
marchigiani) attaccarono Forlì, espugnandola. Nell'assalto rimasero uccisi
molti ghibellini tra cui Teodorico Ordelaffi, il suo nipote Giovanni e Giovanni
Argogliosi. Non appena la notizia raggiunse Scarpetta Ordelaffi e Maghinardo
Pagani da Susinana, questi si staccarono dall'esercito della lega dirigendosi
verso Forlì riconquistandola ed uccidendo alcuni guelfi come Raniero e Giovanni
di Calboli.
Nel corso del 1297 l'esercito della lega raggiunse quasi
report di Bologna. Venerdì 1º marzo 1297 Ordelaffo degli Ordelaffi, figlia di
Teodorico, viene nominato podestà di Faenza. Il 27 ottobre 1297, di fronte agli
ambasciatori provenienti da tutte le città ghibelline della Romagna, a Roma fu
trattata la pace di fronte a papa Bonifacio VIII. In realtà i cronisti
raccontano che vi furono altre piccole battaglie, scorrerie, prova di forza
anche negli anni successivi e la pace tra i ghibellini e bolognesi venne
conclusa nell'aprile del 1299
Nel 1295, cacciato il Legato Pontificio e risolta con
scaramucce interne la questione della supremazia, salgono al potere gli
Ordelaffi che prendono la città, che passa così di nuovo sotto la parte
ghibellina[7]. La dinastia degli Ordelaffi non fu mai comunque talmente potente
da poter mantenere da sola il potere, fatta eccezione per un periodo di circa
50 anni nel Trecento. La famiglia dovette quindi allearsi di volta in volta con
le potenze confinanti, passando, a seconda del momento e degli interessi, ad
alleanze con Firenze, Milano e Stato della Chiesa. In particolare gli Ordelaffi
governarono su Forlì solo con il permesso del papa, che li nominava vicari solo
per un tempo determinato e, in alcune occasioni, furono anche estromessi dal
governo della città, cedendo il potere ai legati pontifici.
Dante cerca di persuadere Scarpetta Ordelaffi a muovere
contro Firenze a capo dei fuoriusciti romagnoli e toscani. In questo dipinto
del 1854 di Pompeo Randi, Dante cerca l'appoggio dell'Ordelaffi contro i
guelfi. Dante in quel periodo era infatti esule e fu ospitato a Forlì nel marzo
del 1303 dall'Ordelaffi, vir nobilis et ghibellinorum in Forlivio princeps.
Dante ricoprì l'incarico di epistolarum dictator, una sorta di consigliere
dell'Ordelaffi
L'avvento al potere degli Ordelaffi non fu tuttavia semplice
e, per poter raggiungere il controllo della città, dovettero dapprima vincere
le resistenze interne della città, vincendo le altre potenti famiglie nobiliari
locali, storicamente loro avversarie come i Calboli e gli Argogliosi, ed
infine, gradualmente, sostituire l'istituzione comunale, impersonata nella
figura del podestà straniero.
Nel 1302 gli Ordelaffi appoggiarono i ghibellini per il
dominio su Firenze. Dallo scontro che ne seguì e che ebbe luogo nel Mugello, di
Ordelaffi persero mentre vinsero i guelfi appoggiati dai Calboli. La sconfitta
degli Ordelaffi non fu però imputata a Scarpetta Ordelaffi il quale fu
confermato nella carica di capitano generale fino al 18 giugno 1303.
Tale sconfitta ebbe ripercussioni sul precario equilibrio
delle forze in campo in tutta la Romagna perché l'esito dell'impresa fu
interpretato come vittoria personale di Fulcieri de Calboli su Scarpetta
Ordelaffi e ciò rinvigorì lo schieramento guelfo. Pochi mesi dopo, i Calboli
tentarono un avvicinamento politico agli antichi rivali della famiglia degli
Argogliosi, contando sul fatto che a Forlì la progressiva ascesa degli
Ordelaffi stava sempre più relegando al ruolo di 2º piano l'importante famiglia
ghibellina. Gli Argogliosi soffrivano di questa situazione ed infatti
accettarono un accordo e concordarono con i guelfi che, una volta sopraffatta
ed espulsa la famiglia rivale, avrebbero esistessi per il controllo della città
è consentito ai Calboli e i loro sostenitori di tornarvi con onore.
Nei primi giorni di aprile del 1304 i Calboli approfittarono
dell'assenza di scarpetta Ordelaffi dalla città per attirare il capitano del
popolo forlivese Zapetino Ubertino sulle colline, impegnando le milizie
forlivesi in assedio a loro castello di Cusercoli. Si trattava di un diversivo
perché infatti, contemporaneamente, Malatestino Malatesti, alla testa dei
guelfi cesenati, mosse battaglia verso forme permettendo ai Calboli e agli
Argogliosi di impadronirsi di Meldola per tagliare fuori l'esercito forlivese
ed ostacolarlo in caso di ripiegamento lungo la valle del Bidente-
Zapettino, avvertito in tempo della manovra che si stava
mettendo in atto, si mise immediatamente in marcia lungo i crinali evitando
Meldola, portando soccorso la città. Una volta che si furono resi conto che
l'elemento sorpresa era stato vanificato, i guelfi abbandonarono l'impresa si
radunarono nella Rocca d'Elmici, vicino a Predappio, caposaldo dei Calboli.
Zapettino gli insegui e in cinque giorni di assedio riuscì
ad avere ragione della rocca. Agli Argogliosi presi prigionieri in quell'occasione
fu consentito di tornare in libertà solo nel marzo 1305 dopo che questi ebbero
riconsegnato Meldola ai forlivesi.
Nel 1306 Scarpette Ordelaffi viene chiamato ad intervenire
Faenza dove i ghibellini Accarisi e di guelfi Manfredi avevano ripreso le
ostilità. Scarpetta Ordelaffi riuscì a fermare gli scontri e, cacciati dalla
città di guelfi ed il capitano del popolo, favorì il prevalere della parte
ghibellina, affidando le cariche di podestà e di capitano del popolo al conte
bandino Modigliana. Le imprese vittoriose del Ordelaffi si espandono così anche
oltre i confini della città di Forlì dando lustro alla famiglia.
Pochi mesi dopo si rivolse a lui anche il guelfo Alberguccio
Mainardi, rappresentante di una delle più potenti famiglie di Bertinoro che
stava subendo la presenza invadente della famiglia Calboli. Il 6 giugno
scarpetta Ordelaffi ed il fratello Pino riuscirono a scacciare da Bertinoro i
Calboli, vendicando l'onta del Mugello. Scarpetta Ordelaffi consegnò però la
città al fratello Pino il quale divenne signore di Bertinoro e di quale fece
erigere un nuovo palazzo comunale in posizione strategica sul colle.
Nel 1307 Alberguccio Mainardi, non ha rassegnato a veder
perdere Bertinoro, si alleò con Cesena e con Rimini per un atto di forza e nell'agosto
del 1307 diedero l'assalto a Bertinoro. scarpetta Ordelaffi intervenne e riuscì
a catturare 1800 uomini, il nerbo delle forze cesellati riminesi. Nel 1308,
Scarpetta Ordelaffi insieme a Federico da Montefeltro dietro l'attacco alla
città di Cesena che in un capitolo solo perché mancò l'appoggio dei ghibellini
cesenati. Nell'agosto di quell'anno le parti si avviarono ad una trattativa
pacificatrice e di prigionieri catturati a Bertinoro vennero rilasciati. Per
suggellare la pace nel 1309 Sinibaldo, fratello di Scarpetta, sposò Onestina,
esponente della famiglia Calboli. Nello stesso anno Scarpetta fu acclamato
capitano del popolo.
Il consolidamento della signoria ed il suo ingrandimento fu
perseguito da Francesco Ordelaffi che seppe continuare l'opera del padre Cecco.
Grazie al nuovo signore la città si munì di una più efficiente cinta muraria.
L'influenza della città si espandeva sui comuni vicini,
tanto che la famiglia Ordelaffi riuscì a controllare centri di notevole
importanza quali Cesena, Bertinoro, Forlimpopoli, Castrocaro e Meldola, nonché
numerosi castelli e possedimenti circostanti.
L'espansione del dominio degli Ordelaffi fu sostanzialmente
favorito da 2 fattori. In primo luogo la presenza di figure di notevole
spessore, che riuscirono a governare con lungimiranza ed in maniera ferma,
favorendo l'espansione della signoria. In secondo luogo, l'espansione
dell'influenza della signoria, fu favorito dal fatto che il papato risultava
momentaneamente disinteressato alle vicissitudini della Romagna, favorendone un
periodo di indipendenza che però non durerà a lungo. L'avvento di un nuovo papa
segnerà un periodo di svolta. Il papato, non più disposto a perdere il
controllo sulla Romagna, avvierà più decise forme di controllo sulla città.
Nel 1331 l'oramai vecchio Sinibaldo lasciò la reggenza al
figlio Francesco che tuttavia riuscì a governare per un breve periodo perché il
legato pontificio Bertrando dal Poggetto prese la città in nome della chiesa e
fece esiliare gli Ordelaffi.
Nel 1333 Francesco riuscì audacemente a rientrare e,
sollevando il popolo, riuscì a cacciare il rappresentante della Chiesa e
decretò di dare alle fiamme le scritture ed i decretti papali. Francesco
divenne capo indiscusso del ghibellinismo romagnolo e signore di territori che
estendevano da Forlì fino a Cesena, dalla pianura fino all montagna.
Francesco Ordelaffi fu un personaggio spavaldo, che più
volte sfidò apertamente la Chiesa e venendone scomunicato per non aver voluto
corrispondere il censo alla Camera apostolica. Il suo dominio fu mantenuto
comunque con mano ferma e spietata, facendo anche decapitare i cospiratori.
tanto ardire cominciò a risultare insopportabile alla Chiesa
e ciò culminò con l'invio in Romagna del cardinale Gill Carillo Albornoz, del
titolo di Egidio di San Clemente.
La situazione che Francesco prese in mano era gravemente
compromessa, infatti tutta la Romagna è stata ridotta all'obbedienza da
Bertrando del Poggetto e la città assediata non poteva sperare in alcun aiuto
esterno il quartier generale dell'esercito pontificio era stato posto presso
San Martino in strada ma ovunque, nei punti strategici intorno all'abitato,
erano state costruite bastie e fortificazioni provvisorie destinati agli assedi
di grande impegno e gli accampamenti dell'esercito delegato, che il cronista
Giovanni Villanistimava 1500 cavalieri e da una moltitudine di fanti, stringeva
d'assedio la città da ogni lato.
Francesco Ordelaffi riuscì a mantenere la calma e, pur
rendendosi conto dell'inevitabile epilogo, compreso che più lungo fosse
riuscito a resistere, tanto maggiori possibilità avrebbe avuto, al momento
della resa, di negoziare i termini di resa da una posizione di non completa
sottomissione.
Forlì riuscì a resistere fino al 21 novembre 1331, giorno
che segnò la resa della città. Alla città fu accordata la propria indipendenza,
anche sotto il controllo di funzionari pontefici il luogo del Signore, e con
l'obbligo del pagamento di una tassa periodica. Da parte sua Francesco
Ordelaffi avrebbe perso momentaneamente la signoria su Forlì, ma concordò che
avrebbe mantenuto il potere su Forlimpopoli e sul Ronco.
Il giovedì 18 marzo 1332, il cardinale Bertrando del
Poggetto convocò un solenne parlamento a Faenza alla presenza di tutti i
signori e governanti delle città di Romagna. In quell'occasione, il giorno 21
marzo, Francesco Ordelaffi restituì formalmente al Papa le città di Forlì e
Forlimpopoli., Avendone in cambio, come concordato, la libertà e la signoria su
Forlimpopoli. Pochi giorni dopo Bertrando del progetto si recò Forlì dove entrò
solennemente a seguito dei suoi cavalieri per sancire il ritorno dell'ultima
città ghibellina in seno alla Chiesa.
Fin dai primi giorni della resa Francesco Ordelaffi prese a
studiare il modo di rientrare a Forlì come signore, ma tale progetto riusciva
difficile a causa dell'apparente coesione di tutte le forze romagnole di
orientamento guelfo e fedeli al progetto istituito dal cardinale Bertrando.
Francesco Ordelaffi non vi sarebbe riuscito se il cardinale non avesse commesso
un errore che andò a compromettere quella che fino ad allora era stata una
brillante legazione pontificia. L'occasione fu la lega stretta tra Estensi,
scaligeri, i Gonzaga, i Visconti e re di Napoli contro il re Giovanni di Boemia
che stava furoreggiando in Lombardia in Toscana e che aveva preso accordi con
il cardinale Bertrando per una sottomissione definitiva dei territori dello
Stato pontificio Papa. Nonostante le rassicurazioni di fedeltà della corte
Estensi, il cardinale Bertrando aveva deciso di attaccare comunque Ferrara.
All'inizio il cardinale ebbe un certo successo ma, quando decisi di muovere
direttamente verso Ferrara con il suo esercito (composto da tutti i signori di
Romagna tra cui Francesco Ordelaffi), subì una clamorosa sconfitta. I 14
febbraio 1333 (ma secondo Paolo Bonoli era il 3 aprile) di Estensi attaccarono
l'esercito pontificio facendone gran strage e facendo prigionieri il conte di
Armagnac e molti signori tra cui Francesco Ordelaffi. Quando Nicolò d'Este
chiese per essi un riscatto Bertrando, quest'ultimo si rifiutò di pagare
disinteressandosi della loro vita. Allora Nicolò d'Este, il 12 aprile, li
lasciò senza alcun riscatto ma strinse con loro un accordo segreto per minare i
progetti del legato pontificio. Il mancato pagamento del riscatto diede avvio a
una ribellione a catena. I primi a ribellarsi furono i Malatesta a Rimini.
Mentre il cardinale Bertrando ripiegava su Rimini per sedare la rivolta,
Francesco Ordelaffi poté entrare il 19 aprile 1333 a Forlì nascosto in un
carro. Entrato in città chiamò a raccolta i propri sostenitori e mosse verso i
soldati francesi del legato pontificio i quali non riuscirono a contrastare
l'avanzata e furono sopraffatti.
La mossa di Francesco Ordelaffi fu così veloce che il
cardinale Bertrando, da Rimini, non ebbe il tempo di reagire: Forlì era di
nuovo in mano alla famiglia Ordelaffi e Forlimpopoli lo sarebbe stato da lì a
pochi giorni.
Egidio Albornoz, fautore della sottomissione della Romagna
allo Stato pontificio
Le imprese espansionistiche degli Ordelaffi suscitarono la
reazione del papato che intendeva ritornare in possesso del forlivese. Cominciò
così una lunga lotta per la sottomissione della città. Lo Stato pontificio
incaricò il cardinale spagnolo Egidio Albornoz di restaurare il potere
temporale sulla Provincia di Romagna. Per domare Forlì venne avviata una forte
repressione nei confronti di Forlì e delle città da lei governate. Venne
proclamata un'apposita crociata contro i Forlivesi e nel maggio 1353 Il
cardinale fu inviato in Romagna da papa Innocenzo VI a restaurare il potere
papale. A Cesena, la moglie di Francesco Ordelaffi, Cia Ubaldini, dopo un lungo
assedio, dovette arrendersi alle truppe papali: era il 21 giugno 1357. A
Bertinoro, il 29 luglio il figlio di Francesco Ordelaffi, Giovanni Ordelaffi dovette
fuggire sotto l'avanzata dell'Albornoz. Nello stesso periodo anche Forlimpopoli
veniva quasi rasa al suolo.
Francesco Ordelaffi era stato sconfitto oramai su tutti i
fronti e aveva perso le città più importanti. Resosi conto che la resistenza
non avrebbe potuto prolungarsi oltre, il 4 luglio 1359, per poter riottenere la
moglie Cia e la riabilitazione cavalleresca, Francesco Ordelaffi decise di
cedere Forlì e tutte le terre alla Santa Sede: i castelli dell'entroterra
forlivese, appartenuti alla signoria, vennero requisiti e passarono sotto
controllo di funzionari papali ed altri ceduti a signori guelfi locali rimasti
fedeli alla Chiesa. Altri castelli, per non cadere in mano papale, furono
ceduti a Firenze.
Francesco Ordelaffi, allontanato dalla città assieme a tutta
la famiglia, si rifugiò a Venezia e poi a Chioggia, dove morì nel 1374.
Dopo aver sconfitto Francesco Ordelaffi (1359-1360),
l'Albornoz elesse Forlì a "sua temporanea capitale, rendendola sede
dell'erario pontificio e componendovi gli Statuti egidiani, detti anche le
Leggi di Forlì[8]".
Negli anni in cui l'Albornoz governò, ordinò di incominciare
grandi opere, l'edificazione di palazzi e della Rocca di Ravaldino, e rivide
gli antichi ed inadeguati ordinamenti legislativi.
Sempre nel XIV secolo è da segnalare che Forlì fu una delle
prime città a dotarsi di orologio meccanico, posto nella torre civica.
Allontanati gli Ordelaffi, il papa decise di reggere Forlì
mediante legati pontifici che amministrarono e governarono sulla città per
circa 20 anni dal 1359 al 1379.
Uno di questi legati, Anglico de Grimoard, fratello del
papa, per poter controllare meglio la popolazione e far pagare le tasse, nel
1371 ordinò un capillare censimento di tutta la Romagna. Il proprio lavoro,
passato alla storia come Descriptio Romandiolae, è uno dei documenti più
importanti per riscrivere la storia di tutta la Romagna. Se ne evince che in
questo periodo la città è abitata da circa 12000 persone, circa 6000 vivevano
nella campagna circostante e che erano presenti 69 villaggi rurali, poco
abitati e costituiti solo da alcuni focolari, posti per di più a nord e asud
della città.
Lo Stato pontificio si ritrova, durante questi anni,
impegnato dalla presenza di un antipapa residente ad Avignone. Impegnato su un
fronte di maggiore importanza, il papato non ha le energie né l'attenzione per
governare con fermezza l'indomita Romagna. Gli Ordelaffi, consapevoli della
critica situazione del papato, ne approfittarono per rientrare nelle vicende
storiche di Forlì. La strategia utilizzata fu particolarmente astuta: decisi a
riottenere il governo della città, evitarono di entrare in diretto conflitto
con il papa, ma ne cercarono l'appoggio proponendosi come vicari pontifici.
Nel 1379 Sinibaldo Ordelaffi, figlio di Francesco Ordelaffi,
ottenne per sé il titolo di vicario papale per ben 12 anni, non solo per la
città di Forlì, ma anche per Forlimpopoli, Sarsina e per il castello di Oriolo,
posto in territorio faentino. la famiglia Ordelaffi riusciva perciò in questo
modo a camuffare la signoria sotto le sembianze del vicariato. L'indipendenza
d'azione che la faglia poteva godere era però di modesta entità ed il controllo
all'interno della città era turbato da dissidi all'interno della stessa
famiglia.
Il 13 dicembre 1385 Sinibaldo venne fatto imprigionare nella
rocca di Ravaldino da Pino (nipote di Francesco) e da Cecco (nipote di
Sinibaldo), dove morì nel 1386.
Nel 1390 papa Bonifacio IX riconobbe Pino e Cecco come
ufficiali vicari di Forlì. Pino morì il 16 luglio 1402 e Cecco dovette lottare
contro il figlio illegittimo di Francesco Ordelaffi, Scarpetta Ordelaffi,
allora vescovo della città. Scarpetta fu sconfitto e incarcerato nella rocca di
Ravaldino, dove morì nel 1402.
Il vicariato della città rimaneva così unicamente nelle mani
di Cecco il quale poteva governare indisturbato sulla città. il papa riconobbe
a Cecco la carica di vicario a vita e che questa carica fosse trasmessa ai suoi
figli per via ereditaria. Si trattava di una forma di governo a metà strada fra
la signoria ed il vicariato. Il potere rimaneva nella mano degli Ordelaffi per
via ereditaria come fosse una signoria, sebbene l'indipendenza nelle decisioni
del governo non fosse totale ma subordinata al volere pontificio.
Il 9 settembre 1405 Cecco muore ed il nuovo signore designato
sembra essere il suo figlio illegittimo, Antonio Ordelaffi. È però la
popolazione ad intervenire affinché la situazione svolti in maniera
inaspettata. La popolazione, stanca di lotte intestine fra i vari possibili
pretendenti al governo e desiderosa di un periodo di stabilità e di un governo
legittimato dalla popolazione, decide di cacciare Antonio Ordelaffi, dandosi un
governo comunale che però ebbe breve durata.
Infatti, alla morte del Signore, cittadini forlivesi si
divisero in due fazioni delle quali illumina sosteneva che la città avrebbe
potuto reggersi quale libera comunità e scegliere i propri organi di governo,
mentre l'altra rimaneva legata alla signoria degli Ordelaffi e premeva perché
venisse riconosciuta la signoria al figlio di Cecco, Antonio.
L'esperienza, ancora recente, dell'inettitudine
dell'esponente degli Ordelaffi del Trecento giocò a favore del libero
reggimento, che fu proclamato solennemente e con entusiasmo il 10 settembre del
1405, seguito dall'insediamento di un collegio di 12 priori il giorno 13 dello
stesso mese e della presa di possesso di tutte le rocche nei giorni successivi.
Il Papa condannò i forlivesi e combinò alla città
l'interdetto, inviando il legato Baldassarre Cossa a riconquistare i territori
usurpati alla Chiesa.
Il cardinale Cossa pose il campo nei pressi di San Martino
in strada e prese a fare scorrerie nelle campagne di Forlì con le sue
soldataglia consentendo devastazioni e furti. Nell'esercito pontificio militava
Astorre Manfrediche, essendosi accordato con alcuni cittadini forlivesi,
segretamente anticipò gli spostamenti e la tattica dell'esercito papale al
consiglio dei Dodici e vanificò i primi assalti. Scoperto, fu fatto arrestare
da Baldassarre Cossa e nella penultima settimana di ottobre venne decapitato
sulla piazza della città di Faenza.
Le ostilità proseguirono per tutto l'inverno anche se le
vere e proprie azioni di battaglia furono sospese durante il periodo invernale.
Vi fu comunque un tentativo, manovrato dall'esterno dal cardinale, per risolvere
la nozione sostenendo l'offensiva dei pontifici con una sollevazione popolare
filo-guelfa, guidata dal notaio Baldo Baldoni. L'unica attestazione di questa
sollevazione, avvenuta lunedì 15 maggio 1406, è narrata nella Cronaca
Albertina, un testo in latino che mette insieme brani estratti da altre
cronache e dalla quale si evince che il popolo si è rivoltò contro i seguaci di
Baldo Baldoni.
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