LE PORTE DI FORLI’
Porta
Schiavonia, l'unica ad essere sopravvissuta
Sebbene non
ne sia rimasta traccia, è ovvio pensare che la Forlì dell'epoca romana fosse
cinta da una cerchia difensiva e che fosse possibile accedere all'interno della
città attraverso specifiche porte o quantomeno attraverso valichi sorvegliati.
Non è possibile indagare sia l'evoluzione che la struttura della primitiva
cerchia difensiva, così come non è possibile identificare il sistema difensivo
nell'alto medioevo, se non ipotizzare, tramite i toponimi locali sopravvissuti,
il percorso delle mura e la localizzazione delle porte medievali. Per citare un
esempio, la tradizione tramanda il nome di porta Merlonia, vivente nel nome
della via che da essa prese il nome, probabile porta della cerchia muraria
altomedievale. È comunque necessario precisare che, con il passare delle epoche
e a seconda delle esigenze del momento, era abbastanza comune aprire nuove
porte e chiuderne altre, a seconda delle necessità. Così facendo di molte porte
si è perso il ricordo, di altre rimane il toponimo e solo delle più importanti
e delle più fortunate permane il nome, la descrizione o la struttura.
Secondo la
Descriptio Romandiolae del cardinale Anglico de Grimoard nella città di Forlì
sunt quatuor porte magistre, que custodiuntur: Ravaldini, Cudignorum, San
Petri, Clavanie... Ma nella toponomastica antica di Forlì si comprendevano i
nomi di altre porte che Francesco Ordelaffi fece abbattere o rinforzare: Porta
Merlonia, Porta San Biagio (poi chiamata Santa Chiara e chiusa nel 1356 da
Francesco Ordelaffi) e Porta della Rotta, tutte queste facenti parte
dell'antico circuito difensivo romano. In epoca alto-medievale, con
l'ampliamento della cinta muraria, vennero aperte nuove porte. Vengono
tramandati i nomi di Porta Liviense, Porta di Santa Croce e Porta San
Mercuriale.
Le porte che
si aprivano ad occidente del ponte dei Morattini, in direzione Faenza, erano
due: Porta Liviense (detta anche Valeriana), che sorgeva in fondo a via dei
Battuti Verdi e attraverso la quale passava l'antica via Consolare, e Porta
Schiavonia. La prima venne chiusa da Francesco Ordelaffi nel 1356 durante
l'assedio dell'Albornoz e, in tale occasione, venne anche abbattuto il ponte
che varcava il fiume Montone. Né la porta né il ponte furono mai più riaperti,
così l'antico percorso della strada consolare fu dirottato in direzione di
Porta Schiavonia.
Le porte più
importanti, che hanno segnato la storia della città e sono legate alla cinta
muraria eretta tra la metà del XV secolo e gli inizi del XVI sono quattro:
Porta Schiavonia, Porta San Pietro, Porta Cotogni e Porta Ravaldino. Di queste,
solo Porta Schiavonia è arrivata ai nostri giorni.
Porta San
Pietro
Collocata
sulla strada per Ravenna, sorgeva in fondo all'attuale Corso Giuseppe Mazzini,
un tempo chiamato Borgo San Pietro. Presentava una vera e propria rocca
fortificata e in questa furono tenuti prigionieri Caterina Sforza e i suoi
figli dai congiurati che avevano assassinato Girolamo Riario.
La porta si
apriva su uno dei contrafforti delle mura e la rocca, posta al suo fianco,
rafforzava la sorveglianza sulla porta. La rocchetta, di cui si ignora la data
di costruzione, era il baluardo del lato settentrionale della città e già nel
XIV secolo la porta si ergeva con il nome derivante dalla vicina chiesa di San
Pietro in Scottis, oggi scomparsa. Nel 1360 la porta fu parzialmente demolita
dall'arrivo dell'Albornoz, mentre rimaneva attiva la rocchetta che ospitò
Caterina Sforza nel 1488 dopo l'uccisione di Riario ordita dalla famiglia
Orselli. Ulteriormente atterrata poi nel 1741,[33] rimase intatto solo il
mastio della rocchetta. Si sa che nel 1764 la porta vera e propria era murata e
l'ingresso avveniva direttamente attraverso un'apertura effettuata nella rocca
che fungeva da porta civica. Nel 1862 gli ultimi avanzi della porta e la
rocchetta furono demoliti per far posto alla nuova porta urbana, definita
Barriera Mazzini, che l'ingegnere Callimaco Missirini, costruitala a spese del
comune, disegnò in forme neoclassiche e che fu aperta al transito il 5 giugno
1864. Venne utilizzata come sala d'attesa per la tramvia che univa Ravenna a
Meldola e, dal 1901, fu usata come ufficio postale. Questa porta fu
completamente rasa al suolo nel primo bombardamento aereo subito dalla città
nella seconda guerra mondiale il 19 maggio 1944[34] e non venne più
ricostruita.
È importante
notare come in tempi più antichi l'uscita in direzione di Ravenna avveniva
tramite la Porta di Santa Chiara, di cui oggi rimane solo un piazzale ad essa
dedicato.
Porta
Cotogni
La porta
sorgeva su quella che era chiamata Strada petrosa - poi Borgo Cotogni, più
recentemente Corso Vittorio Emanuele e attualmente Corso della Repubblica - ed
era a sorveglianza della strada in direzione di Cesena. Fino ai primi anni del
XX secolo ospitava la porta daziaria, per poi essere sostituita, durante il
Ventennio, dagli edifici gemelli Bazzani e Benini.
Le cronache
ricordano come spesso le parate e i solenni ingressi in città avvenivano per
porta Cotogni; fra questi l'ingresso di Giulio II e dei Riario. Fino al 1825
presso la porta era collocato il busto del cardinale Stefano Augustini, ora
collocato presso la pinacoteca.
La Barriera
e gli annessi fabbricati vennero costruiti su disegno dell'architetto Giacomo
Santarelli nel 1825, in seguito alla demolizione dell'antica Porta Cotogni, ed
assunse il nome di Barriera Vittorio Emanuele con funzione di porta daziaria.
Nel 1906,
con l'avvio degli scavi per la costruzione degli impianti dell'acquedotto,
vennero scoperti i resti e le fondamenta del torrione e delle aree vicine
fortificate.
Porta
Ravaldino
Era la porta
che si apriva in direzione di San Martino in Strada e, da lì, verso Firenze. La
porta si trovava alla fine dell'attuale Corso Diaz, ma fino al '300 la cinta
muraria era più arretrata e quindi la porta si trovava circa a metà
dell'attuale corso e si chiamava Porta Merlonia. Tra Ottocento e Novecento ebbe
anche il nome di Barriera Aurelio Saffi.
Al termine
di corso Diaz, sul lato sinistro, sorgeva una rocca, detta Rocca Vecchia,
perché in seguito demolita ad eccezione di un torrione che sopravvisse fino al
'600. È probabile che fosse chiamato anche Ravaldino, da cui il nome della
porta e della rocca, che tuttora esiste, e che si chiama Rocca di Ravaldino.
Fonti diverse[35] affermano che il nome deriverebbe dal castello che sorgeva
nell'attuale frazione di Ravaldino in Monte, a circa 10 km dalla città.
Secondo la
cronaca del Novacula la porta fu edificata nel 1494 per volere di Caterina
Sforza che investì il consiglio degli anziani dell'esecuzione dell'opera. La
costruzione della porta, con la tracciatura di un fosso che giungeva fino alla
Torre dei quadri, si rese necessaria in occasione del campo posto dai francesi
presso San Martino ed in altre frazioni vicine.
La porta fu
poi lasciata andare in disuso e, non più soggetta a manutenzione, cominciò a
crollare. Nel terremoto del 1870 subì ulteriori danni e, diventata pericolante
nonché pericolosa, se ne decise l'atterramento della parte centrale. Vennero
lasciati in piedi i fabbricati necessari a mantenere attivi gli uffici daziari,
sostituiti dalla nuova barriera, chiamata Barriera Saffi, edificata nel 1874 su
disegno dell'ingegnere Gustavo Guerrini.
A cavallo
poi degli anni trenta, fu demolita anche la barriera per sistemare il palazzo
secondo le linee del piano regolatore che prevedevano un ampliamento della
città oltre i confini della vecchia cinta.
Porta
Schiavonia prima del 1903. La fotografia risale a prima di quell'anno perché la
città è ancora cinta dalle sue mura che furono abbattute nel 1903
Porta
Schiavonia
Unica porta
sopravvissuta al tempo sorvegliava la strada in direzione di Faenza. In passato
era affiancata da torrioni che la proteggevano. È probabile che sorga sul luogo
dove anche l'antica città romana apriva la propria strada in direzione di
Faenza, anche se è stata più volte rimaneggiata e riedificata. L'attuale
struttura risale al 1743 anche se nei primi del Novecento ne sono state
abbattute alcune strutture come l'androne retrostante.
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