domenica 30 ottobre 2016

FORLI’ (parte terza)

Nel 600 a.C. è possibile attestare la presenza di genti Umbro-Etrusche a cui si dovettero aggiungere, attorno al V secolo a.C., anche popolazioni celtiche, come i galli Senoni. La cultura di queste popolazioni andò mescolandosi mentre connil passare del tempo l'influenza etrusca andava diminuendo. Fu l'arrivo dei Romani, la conseguente progettazione della via Emilia e la centuriazione della pianura, ad imprimere nuovo impulso all'area del forlivese
La geografia antropologica di questo periodo risulta abbastanza confusa, tanto da non poter affermare con sicurezza quali fossero le popolazioni che abitarono il forlivese tra il VII ed il VI secolo a.C. Vengono infatti attestate rinvenimenti archeologici che di volta in volta attestano la presenza in particolare di genti Etrusche ed Umbre, ma anche di Celti. I dati archeologici riferiscono didi una espansione verso nord di genti centro-italiche, in particolare Umbri ed in misura minore i Piceni, a cui si deve aggiungere una pesante influenza etrusca che condizionerà i commerci, l'arte e la produzione artigianale.
Di questo periodo, a cavallo tra VII e VI secolo, è un importante rinvenimento presso l'attuale frazione di Carpena, costituito da un corredo funebre fra i cui oggetti spicca un pettorale Kardiophylax (fino a non molto tempo addietro considerato uno scudo), importante testimonianza della fusione culturale tra Umbri ed Etruschi
La città è poi sorta su un antico insediamento commerciale, chiamato dagli Etruschi "Ficline", sito sulla linea di confine che separava il territorio controllato dai Lingoni da quello dei Senoni.
Con il trascorre del tempo l'influenza etrusca, a causa del declino della civiltà etrusca, si fece sempre più flebile, mentre nel territorio si andavano sempre più radicando le popolazioni di stirpe celtica. Così profondamente radicate che, anche dopo secoli di dominio romano, la presenza celtica è stata così profonda da influenzare la genesi del dialetto locale, classificato come galloromanzo.
La Venere di Schiavonia, dal nome del rione cittadino presso la quale fu rinvenuta. È il reperto più prezioso di età romana rinvenuto in città
Secondo la tradizione, che affonda le proprie origini nel Medioevo, Forlì si sarebbe formata in periodo preromano, attraverso l'unione di quattro castelli: il primo castello aveva nome Merlonia e sorgeva nei pressi di Ravaldino, il secondo si chiamava Castello e sorgeva non lontano dalla Cattedrale, il terzo Schiavonia e sorgeva nei pressi dell'attuale rocca, mentre il quarto aveva nome Livia ed era ubicato tra i Romiti e la Piazza Melozzo, lungo l'asse della via Emilia. Non è possibile sapere quanto ci sia di vero nella tradizione, ma è sicuro che l'area sulla quale Forlì sorge è stata abitata in periodo pre-romano e che fu l'arrivo di questi a promuovere lo sviluppo della città.
Forlì, come il nome già mostra, è città di origine romana (Forum Livii) e fu probabilmente fondata nel 188 a.C., secondo altra tradizione, da Gaio Livio Salinatore, figlio del console Marco Livio Salinatore che, nel 207 a.C., sconfisse l'esercito cartaginese guidato da Asdrubale nella battaglia del Metauro.
La fondazione della città rimane comunque avvolta da un manto leggendario, che probabilmente contiene un fondo di verità, ma che non può nemmeno essere accettato in toto. È probabile che già prima dell'arrivo dei romani esistesse un nucleo abitativo già sviluppato, o quanto meno un insieme di villaggi vicini che sorgevano lungo le sponde dei fiumi. L'arrivo dei Romani avrebbe dato una forma delineata al nucleo abitato, articolato di seguito in maniera più razionale, con la costruzione di una cinta difensiva maggiormente potenziata e la circoscrizione di aree dedicate la commercio. La costruzione della Via Emilia avrebbe di seguito portato alla tracciatura di strade cittadine perpendicolari e consentito un maggior sviluppo economico della zona. Il primo nucleo della città romana doveva perciò essere un castrum, abitato da soldati che controllavano il territorio e le genti circostanti. L'arrivo di coloni romani, la cessione di terreni ai soldati veterani e la successiva centuriazione del territorio, cominciò a plasmare e delineare i caratteri dell'antica Forlì che da castrum si trasformò in forum. Pare più difficile immaginare che Livio Salinatore abbia direttamente fondato la città intitolandola a sé stesso, questo anche in considerazione del fatto che l'abitudine di nominare le città in onore del fondatore diverrà usanza a partire da I secolo a.C.
Della città romana rimangono pochi resti, specialmente sotterranei (ponti, strade lastricate, fondazioni). Il forum doveva essere all'altezza dell'attuale piazza Melozzo, mentre è probabile l'esistenza di un castrum nella zona dei Romiti, sulla via per Firenze. Il castrum chiamato Livia e il forum detto Livii rifondarono l'etrusca Ficline dando luogo a Forlì.
Uno scavo condotto nel 2003-2004, in via Curte, ha messo in luce importanti resti di epoca romana: si tratta di una sequenza abitativa che va dall'età repubblicana all'età tardo antica. Il che ha permesso di capire come poteva essere la vita nell'antica Forum Livii[1].
Un importante pagus risalente agli anni in cui era Imperatore Costanzo II è stato rinvenuto nei pressi della località Pieveacquedotto, dove vi scorreva l'acquedotto di Traiano.
Dall'esame delle fonti epigrafiche provenienti dal territorio forlivese, sono emersi 104 personaggi (di cui 34 gentilizi) vissuti in un arco temporale compreso tra il I secolo a.C. ed il II. secolo d.C. Tra i più salienti possono essere menzionati alcuni esempi:
Caio Bebio (Caius Baebius): di rango equestre, ricopri la massima magistratura municipale in Forum Livi: fu quattuorvir iure dicundo. Non era originario di Forum Livi, ma proveniva dall'Umbria ed apparteneva alla tribù Clustumina. Giunse a Forum Livi dopo essere stato tribunus militum della XX Legio ed in seguito praefectus orae maritimae Hispaniae Citerioris durante la guerra tra Ottaviano e Antonio.
Caius Purtius: cittadino forumliviense di notevoli capacità commerciali, ricoprì la carica di quattorvir quinquennalis. Apparteneva al ceto equestre ed era stato primipilus, praefectus fabrum e praefectum equitum.
Rubia Tertullia ed il padre di lei Rubius: fra le più antiche iscrizioni e la più antica abitante forumliviense di cui si conosca il nome in tutto il territorio forlivese; l'epigrafe, databile al 200 a.C. ci informa che si trasferì a Mevaniola in seguito al matrimonio con Refanus Macrinus. Il padre, Rubius, era di rango equestre. Rubia morì a soli 20 anni, 4 mesi e 4 giorni.
Caio Castricio Calvo, detto l'Agricola, ha lasciato un testo di precetti morali per i coltivatori, testo contenuto in un'iscrizione ritrovata a Forlì, la sua città natale, dove si era ritirato dopo il congedo militare.
Gaio Cornelio Gallo, 69 a.C. – 26 a.C., è stato un poeta e politico romano. Appartenente all'ordine equestre, di fede ottavianea, fu primo prefetto di Alessandria ed Egitto
Il periodo dell'evangelizzazione[modifica | modifica wikitesto]
"San Mercuriale, il protovescovo di Forlì"
La figura di San mercuriale, tra storia e tradizione
Dipinto del Cigoli che mostra San Mercuriale che doma il drago. La figura del primo vescovo di Forlì è avvolta nella leggenda: si narra che un drago distruggesse le campagne della città e che fu San Mercuriale a sconfiggerlo. Il drago avvinto in realtà rappresenterebbe la vittoria della Chiesa sull'eresia
La figura di San Mercuriale è avvolta nel mistero. Trattandosi di un periodo nel quale le fonti storiche dirette sono estremamente rare, è possibile ricostruire le vicende cittadine e del Santo solo utilizzando le fonti indirette di cronisti medioevali e basandosi sulle tradizioni orali.
Secondo questa multiforme tradizione, il cristianesimo sarebbe stato introdotto a Forlì da un primo San Mercuriale, attorno al 130. Un secondo ne sarebbe vissuto alla metà del IV secolo e a lui si riferiscono i dati relativi alla Vita sancti Mercurialis secondo la quale, dopo essere giunto a Forlì dalla nativa Albania, avrebbe partecipato al concilio di Rimini del 359, avrebbe imprigionato il drago gettandolo nel pozzo ed avrebbe avuto come collaboratori il diacono Grato ed il suddiacono Marcello.
Un terzo Mercuriale nel 410 avrebbe liberato 2000 forlivesi fatti prigionieri da Alarico tradotti in Spagna.
Un altro Mercuriale cominciò il proprio ministero episcopale nel 422 e dopo essere stato vescovo per 27 anni, sarebbe morto nel 449 o 450 e sarebbe stato sepolto nella pieve di Santo Stefano, da lui fatta edificare, e che da lui poi avrebbe preso il nome di San Mercuriale
Fra il III e IV secolo d.C. è collocato il periodo dell'evangelizzazione del territorio e della città di Forlì. Sebbene non siano molte le certezze storiche circa il primo periodo cristiano di Forlì, secondo la tradizione il primo vescovo della città fu San Mercuriale (religioso di probabile origine greca o armena) la cui presenza è attestata, insieme a quella di San Ruffillo (vescovo di Forlimpopoli) al Concilio di Rimini nel 359 dove avrebbe difeso la dottrina tradizionale dalla eresia ariana.
La piccola comunità cristiana è ipotizzabile che passò indenne il periodo delle grandi persecuzioni; la tradizione infatti non riporta il nome di alcun martire e fino al IV secolo la comunità riuscì a sopravvivere senza eccessivi problemi fino a quando, con l'editto di Costantino era facile, se non addirittura conveniente, dichiararsi e convertirsi al cristianesimo.
Al tempo di Valentiniano II la Chiesa di Forlì, insieme alle altre diocesi vicine, è suffraganea di Ravenna che ne controllo la piccola comunità. In questo modo anche il piccolo municipio forlivese, all'ombra della potenza ravennate, veniva ad acquistare maggior rilievo. Quando nel 430 il vescovo ravennate San Pier Crisologo riuscì ad ottenere i diritti metropoliti per la propria sede, anche il vescovo forlivese riuscì ad acquistare maggior peso nella comunità cristiana.
Oltre a San Mercuriale che, tra storia e leggenda, durante i secoli verrà riconosciuto come il vero patrono della città, un altro santo risulta essere importante nella storia antica di Forlì: San Valeriano. Valeriano, soldato dell'impero che aveva combattuto contro le truppe di Genserico, ritornato a Forlì dalle campagne militari, viene ricordato come uno dei più importanti difensori della fede tradizionale contro l'eresia di Ario. Viene decapitato, insieme ad altri 80 compagni, nel 460 nelle campagne che circondano Forlì e che da lui prenderanno il suo nome: San Varano, piccola frazione che tuttora esiste a pochi chilometri dalla città.
Caduto l'Impero Romano d'Occidente, dopo il breve dominio di Odoacre re degli Eruli, Forlì fece parte del regno degli Ostrogoti. Delle numerose invasioni subite dall'Italia, in quel periodo prevalse Teodorico che impose nel 490 Ravenna come capitale del regno dei Goti. Forlì seguirà le vicende del regno fondato da Teodorico, fino al passaggio sotto il dominio di Bisanzio, costituendo una pentapoli insieme a Ravenna, Forlimpopoli, Classe e Cesarea (regione che corrispondeva ai territori dell'antica Flaminia). Nel VI secolo Forlì rimase bizantina fino ai tempi dell'invasione longobarda quando Euticio, l'ultimo esarca, viene spodestato da Astolfo, re dei Longobardi. Nel 751 Stefano II invoca l'intervento dei Franchi di guidati da Pipino che, a protezione dello Stato della chiesa, donerà quei territori al papato. Da quel momento sembra nascere il termine Romania, da cui Romagna, in contrapposizione a Longobardia.
Con l'arrivo in Italia dei Franchi, alleati del Papa nella lotta contro i longobardi, gran parte dello Stivale viene governato con il sistema di potere più diffuso nell'Europa di quel tempo: il sistema feudale. Mentre il sistema feudale andava diffondendosi in Italia, in Romagna questo sistema si diffuse più tardi perché i suoi territori erano governati dalla Chiesa. Sebbene soggetta al potere temporale del Papa, nelle terre dell'esarcato, quale Forlì apparteneva, il potere era esercitato soprattutto dall'arcivescovo di Ravenna il quale cercava di affermare la propria supremazia, indipendentemente dall'autorità papale. Gli arcivescovi dell'Esarcato divisero il territorio in feudi che vennero assegnati a conti o a vescovi-conti.
Il territorio di Forlì venne diviso in due: il possedimento del monastero di san Mercuriale, ed il possedimento della sede vescovile di Santa Croce. Il territorio che si veniva così a delineare non era molto vasto, stretto com'era tra Faenza, Forlimpopoli e la più lontana ma influente Ravenna.
La mancanza di centri del potere civile, quali feudatari liberi dal controllo temporale della chiesa, fece aumentare l'influenza della Chiesa sia in campo civile che amministrativo. Il territorio forlivese venne diviso in piccole unità alle quali corrispondeva una pieve. Qui la popolazione, oltre che partecipare alle funzioni religiose, versava anche le decime che in parte andavano al vescovo di Forlì. Le principali pievi che con il tempo venivano ad affermarsi nel territorio forlivese furono due: Santa Croce (la cattedrale della città) e San Mercuriale.
Nell'incerto panorama dei secoli bui dell'alto medioevo, compaiono personaggi di cui poco le rare cronache pervenuteci ci parlano ma che lasceranno traccia nelle epoche successive. Si ha la traccia di un Lor (o Alor) de Laffia (da cui discenderà la famiglia degli Ordelaffi, signora di Forlì per circa due secoli) capitano di origine germanica, arruolato da Berengario nell'889 per riconquistare a Bologna, guelfa, a favore dell'impero alcune città, tra cui Cesena. È in questo periodo che cominciano a delinearsi le divisioni fra guelfi e ghibellini e da questo periodo in avanti Forlì si dichiarerà sempre ghibellina e spesso in conflitto con le città vicine. Si sa con certezza che in questo stesso anno, l'889, Lor de Laffia è governatore delle armi in una Forlì che, secondo le fonti, comincerà a reggersi (fatto fondamentale nella storia della città) a libero comune. Nel 910 Lor de Laffia tentò di farsi padrone della città ma, cacciato da un popolo che ambiva a mantenere l'indipendenza della libera repubblica, fu costretto a riparare prima a Ravenna e poi a Venezia. A Venezia, sembra che una ramo della famiglia discendente da Lor de Laffia mutò il nome in Faledro o Falerio, da cui discesero alcuni dogi. Nel nome di uno di questi, Ordelafo Faliero (doge dal 1102 al 1118) sembra poter rintracciare la discendenza dell'antico capitano di Forlì.
Di questo periodo le informazioni sono incerte e frammentarie. Tra il IX e X secolo si sa che, con il raggiungimento dell'indipendenza della città, questa poté a rafforzare il proprio potere politico ed economico: Forlì riuscì a strappare a Ravenna il controllo sulla Via del Sale, in direzione di Cervia (dove esistevano e tuttora esistono antiche saline). Forlì pagava foderi annuali all'imperatore.
Agli albori dell'anno 1000 gli Ordelaffi rientrano a Forlì dove riescono a reimpossessarsi dei loro antichi averi. Si ha traccia di un Ordelaffi, Scarpetta Ordelaffi, che nel 1044 diviene capitano del popolo e pacificatore di una Forlì dove si stanno acuendo i contrasti fra le principali famiglie nobili per il governo della città.
Nel 1096 Urbano II affiderà alle armi di Goffredo di Buglione il compito di liberare il Sacro Sepolcro indicendo la prima crociata. Alle città che invieranno uomini il pontefice concederà il privilegio di fregiare le insegne comunali della croce bianca in campo rosso e agli uomini impegnati verrà concessa la remissione dei peccati. Alla crociata, secondo le cronache, partecipano oltre 20 cavalieri forlivesi, tra cui alcuni Ordelaffi, Orgogliosi, Bradolini e Calboli, le principali e più antiche famiglie della città che in futuro più volte si scontreranno per il controllo della città. Da un rogito di un notaio, Guido da Imola databile all'anno 1100, il cui incipit recita Armigeri forlivienses ad bellum sacrum, si conoscono anche i nomi di alcuni di questi giovani inviati a liberare la Terra Santa: per gli Ordelaffi si hanno Alorio e Faledro; 2 sono i Calboli: Raniero e Fulcieri, mentre 3 sono gli Orgogliosi: Superbo, Argerio e Azzo. Il Bonoli così riporta i nomi dell'atto: Alorius Faledrus. Benciversus Corbellus. Aletus Berardus. Superbus Orgoliosus. Didus Brocconius. Berengarius Matius. Argerius Orgoliosus. Mazzonius Alegrettus. Rinaldus Arxendus. Ugonus Marinellus. Ranierus Calbulus. Fulcherius Calbulus. Faledrus Ordelaffus. Carolus Ottorenghus. Tiberius Brandolinus. Azzius Orgoliosus. Timidus Nasparius. Rumagna Surdius. Rusticerius Pelizzarus. Manuzzus Gottus. Nerus Capuccius. Laetus Turpinus.[2]. Aggiunge poi: "Oltre i suddetti, furono a quell'impresa altri forlivesi militanti o sotto le bandiere d'altri principi, o come venturieri; e tra gli altri vengono nominati Sigismondo Brandolini e Federico Teodoli".
La crociata a termine nel 1099 ed il popolo, alla notizia della conquista di Gerusalemme, scese per le strade a manifestare la gioi dell'avvenuta conquista e liberazione della Città Santa. Per la città si accendono fuochi per manifestare la gioia della fine della guerra. Uno di questi fuochi, non più sotto controllo, finirà per incenerire il tetto della chiesa di San Giovanni.
La morte del vecchio papa porta però altre gioie: viene eletto al soglio pontificio Rainero, originario di Santa Sofia (nel forlivese), con il nome di Pasquale II che era stato monaco nell'Abbazia di San Mercuriale.
Patto giurato tra Forlivesi e Ravennati nel 1138, in una copia eseguita dal notaio Ambrogio nel 1167
Poco si conosce del periodo nel quale il comune e le strutture comunali nascono e vengono a delinearsi e rafforzarsi. Secondo la tradizione Forlì si erge a libero comune nell'anno 889, ma non è possibile sapere di più. E molto frammentarie sono le poche notizie che riguardano la Forlì dei secoli successivi tanto che, per poter ricostruire la storia della città è necessario integrare le poche notizie pervenuteci e le informazioni tramandate con l'andamento storico delle città vicine.
La fase evolutiva dei liberi comuni di solito si è articolata in tre distinte fasi:
la fase consolare: durante tale fase il governo della città era affidato ad uno o più consoli che gestivano il comune, lo rappresentavano, guidavano le guerre e le battaglie, stipulavano trattati di pace e commerciali ed esercitavano la giustizia.
la fase podestarile: il comune era guidato da un podestà, di solito straniero, per poter guidare in maniera imparziale il governo della città e non essere coinvolto e quindi non partecipare alle dispute sorte fra le più importanti famiglie rivali. In carica per un anno, era retribuito per il proprio lavoro.
la fase popolare: il governo della città era guidato da 3 organi principali: il Capitano del popolo, il Consiglio delle arti ed il Consiglio del Popolo.
Da alcuni frammentari documenti, sebbene non sia possibile capire, anche se probabile, se a Forlì si siano susseguite le 3 forme evolutive di governo, si può sapere che nel 1138 (la più antica, per ora, testimonianza diretta di una Forlì libero comune) la città era autonoma e si gestiva a libero comune, anche se legata da patti economici e militari alla più potente città di Ravenna. Le leggi di Ravenna probabilmente furono estese anche a Forlì, sebbene però è ipotizzabile che la città, ben presto, si sia dotata di proprie leggi.
Da un altro documento del 1138, si sa che a Forlì governano dei Consoli, sebbene non se ne conosca né il numero né il nome.
Il primo elenco di consoli forlivesi si ha in un documento del 15 ottobre 1182, dal quale si apprende che, se non tutti almeno una grande quantità di loro, i consoli appartenevano al ceto dei liberi coltivatori o dei proprietari terrieri, probabilmente collegati o vincolati in qualche modo all'abbazia di San Mercuriale.
Ed è proprio il clero uno dei centri politici più importanti della città. Sebbene il potere della città fosse retto dai consoli, probabilmente le ingerenze del potere ecclesiastico dovevano essere notevoli ed il potere civico più volte doveva essere subordinato a quello del vescovo. In molti documenti, sebbene frammentari, risulta evidente questa sorta di ingerenza della chiesa negli affari cittadini, spiegabile anche con il fatto che le istituzioni cittadine dovevano essere ancora piuttosto fragili e non autorevoli. Un potere, quello civico, probabilmente solo formale, soprattutto nel periodo tra il 1160 ed il 1190, quando si registra come vescovo, per ben 30 anni, un certo vescovo Alessandro.

Fra le cariche pubbliche, significativa è quella del massaro, il gestore delle finanze del Comune. La sua attività è regolata dagli statuti e la sua gestione è strettamente controllata; al termine del mandato, il massaro è sottoposto a rendiconto. Il massaro è anche uno dei due detentori della chiave della cassa contenente i privilegi del Comune, di norma custodita in un convento. La cassa è dotata di doppia serratura: oltre a quella del massaro, quindi, per l'apertura occorre anche una seconda chiave, custodita di solito dal padre guardiano del convento stesso. L'apertura, poi, è consentita solo alla presenza dei rappresentanti del Consiglio generale del Comune[4].
Nel 1160 si registra una vittoriosa e quasi leggendaria incursione nel territorio bolognese. Bologna, più ricca e potente di Forlì, sta tentando l'apertura di una nuova via che conduca al mare senza dover passare attraverso la rivale forlivese. L'apertura di una nuova via stradale in direzione di Cervia sarebbe per Bologna un diretto approvvigionamento di beni dal mare, mentre per Forlì segnerebbe la perdita di importanti introiti provenienti dal pagamento di imposte. Il governo di Forlì decide perciò un'incursione nel bolognese per arrestare l'apertura della nuova via. Sebbene l'impresa possa sembrare quasi impossibile, la vittoria è conquistata da Forlì mentre risulta quasi umiliante la rotta di Bologna presso Toscanella (località tra Imola e Castel San Pietro).
Dal 1160, per quasi 20 anni, si registrano continue scaramucce tra Forlì e la vicina Faenza. In particolare, nel 1167 è da ricordare la battaglia per la difesa di Castel Leone (l'odierna Castiglione, frazione di Forlì), isolata fortificazione forlivese in territorio completamente faentino. Ad aiutare i forlivesi sarà decisivo l'intervento di Barbarossa.
Nel 1171, importante è la scaramuccia di Ponte San Procolo (oggi Ponte del Castello), presso Castel Bolognese. Bologna viene ancora sconfitta, ed inizia il prestigio del comune forlivese.
Chiesa e campanile di San Mercuriale. I quasi 75 metri del campanile sono un chiaro simbolo del potere della città, ed in particolare dell'autorità religiosa
Nel 1173 un furioso incendio danneggia buona parte della città. Sia la parte della città dentro le mura, sia le zone esterne vengono distrutte. Anche l'abbazia viene danneggiata. Se ne decide infatti la demolizione e se ne avvia la completa ricostruzione del complesso di San Mercuriale che avviene tra il 1178 ed il 1180. La nuova chiesa, ma soprattutto la poderosa mole del campanile, vuole essere un segno chiaro: la città è forte e vuole dimostrarlo. Il campanile, alto 72 metri, lo si vede svettare a chilometri di distanza nella piatta pianura. È un simbolo chiaro che la città vuole lanciare alle numerose avversarie che la circondano. E nel contempo è un chiaro segnale della chiesa locale: il potere ecclesiastico svetta sulla città.
Con l'avvento della morte del vescovo Alessandro, che per circa 30 anni aveva condizionato la crescita e lo sviluppo del potere civico, le cose per la città di Forlì cominciano gradualmente a cambiare. Nel 1194 appare la prima attestazione del potere podestarile: un certo Raniero Bocabadocca che, forestiero, si erge ad arbitro delle vicende cittadine. Poco più tardi, in linea con lo sviluppo civico riscontrabile nelle altre città, si registra la presenza di un Capitano del popolo che affianca e coadiuva l'attività del podestà. Il primo console di cui abbia traccia è nel 1198 un certo Robertus Romanus, che in quell'anno rimane ucciso nella piazza del comune a seguito di un tumulto popolare. Sempre nel 1198 papa Innocenzo III (eletto in quell'anno) ritiene sia giunto il momento di ripristinare l'ordine in Romagna. Il Capitano Carsidonio al comando delle truppe pontificie riesce a vincere la resistenza forlivese. Ma la spedizione papale avrà scarsa importanza e nel volgere di un breve periodo, le cronache parlano di nuovo di una Forlì libero comune.
Negli anni successivi si trovano tracce di un consiglio di saggi, nominato Consiglio dei 40 anziani, probabile espressione della classe artigiana e della più ricca classe mercantile.

Sul finire del XII secolo o nei primissimi anni del Duecento, Forlì riesce a togliere Cervia all'influenza ravennate. Il monopolio del sale, prodotto dalle antiche saline di Cervia, è ora completamente in mano a Forlì che ne può gestire in autonomia il commercio. L'aumento del potere e delle condizioni economiche consente l'espansione dell'abitato oltre la ristretta cinta muraria dell'Alto Medioevo, permette di inglobare nuove porzioni della città e l'edificazione di nuove mura.
Il XIII secolo segna per Forlì la definitiva uscita dall'anonimato dei secoli oscuri (per la scarsità di fonti): la città si espande, aumenta il proprio potere e, sebbene sia un periodo tormentato da lotte intestine tra le principali famiglie cittadine, riesce a diventare una protagonista, non solo locale, della storia d'Italia.
La pressoché costante vocazione ghibellina di Forlì la renderà fulcro di aspre guerre e battaglie tra l'impero e la Chiesa. Rimanendo sempre ghibellina, tranne nel periodo durante il quale sarà direttamente soggetta alla Chiesa, Forlì si troverà spesso in conflitto con le vicine città che, una alla volta, ma inesorabilmente, passeranno per il partito guelfo, lasciando Forlì isolata in un mare completamente guelfo. L'espansione demografica ed economica che aveva caratterizzato Forlì dalla seconda metà del 1100 condurrà anche al naturale aumento dell'influenza sui territori circostanti: questo si tradurrà inevitabilmente con lo scontro con le città vicine, rivali o potenziali alleate.
Nel 1202 Faenza, non potendo più tollerare un'enclave ghibellina, Castel Leone (Castiglione) nel proprio territorio di influenza, decide l'attacco alla roccaforte forlivese: Castel Leone, espugnata, verrà rasa al suolo.
Negli anni successivi, e per molto tempo ancora, si registrano continue battaglie per il controllo di Cervia. Sebbene Ravenna, come Forlì, sia in questa parte del Duecento alleata ghibellina, il controllo sulle saline è troppo importante per rinunciarvi in nome dell'amicizia ghibellina. Sebbene sempre alleate contro i guelfi, le scaramucce per il controllo sul sale sono sempre vive fra le due città.
Nel 1220, quasi a vendetta della distruzione di Castel Leone, Forlì decide un'incursione in territorio faentino. Da una parte questa azione ha lo scopo di intimorire gli avversari e diminuirne la potenza aggressiva; dall'altra ha soprattutto lo scopo di rendere più sicuri i confini in direzione di Faenza. In questo anno, Forlì attacca e distrugge i castelli di Còsina e Corleto, oggigiorno due frazioni del faentino, che minacciavano, causa la vicinanza a Forlì, la sicurezza del comune.
Nel 1222, un frate francescano proveniente dall'eremo di Montepaolo, tiene a Forlì la sua prima predica pubblica. Ne ottiene un successo tale che l'Ordine lo nomina predicatore e comincia ad inviarlo in Italia e Francia. Allora è noto come Antonio da Forlì, oggi è più conosciuto come Antonio da Padova.

Federico II privilegia il vessillo di Forlì dell'aquila imperiale nera, affresco risalente a metà Settecento di Giuseppe Marchetti

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