FORLI’ (segue)
La località dove Forlì sorge fu abitata sin dal Paleolitico,
come dimostrano i copiosi ritrovamenti di Monte Poggiolo, con migliaia di
reperti datati a circa 800.000 anni fa. Nel 2010, durante i lavori per la
costruzione del nuovo carcere cittadino, è stata trovata la più grande
necropoli preistorica dell'Emilia-Romagna, risalente a 4.000 anni fa, il che
dimostra che già l'area era stabilmente abitata a tale epoca[7].
La città in effetti è sorta su un antico insediamento
commerciale, sito sulla linea di confine che separava il territorio controllato
dai Lingoni da quello dei Senoni e chiamato dagli Etruschi Ficline (Figline),
cioè terra di vasai (ma anche di produzione laterizia), per le ceramiche che vi
venivano prodotte e che saranno famose anche nei secoli XIV-XVI[8]. Nel
Quattrocento, anzi, la produzione forlivese "batteva per fama e prestigio
quella della vicina Faenza, divenuta celebre solo dal secolo scorso in
poi"[9].
Il nome attuale è di origine romana, Forum Livii: il castrum
fu probabilmente fondato nel 188 a.C., secondo la tradizione, da Gaio Livio
Salinatore, figlio del console Marco Livio Salinatore che, nel 207 a.C.,
sconfisse l'esercito cartaginese guidato da Asdrubale nella battaglia del
Metauro. La città, dunque, ha celebrato nel 2012 i 22 secoli di storia. Della
città romana rimangono pochi resti, specialmente sotterranei (ponti, strade
lastricate, fondazioni). Il forum doveva essere all'altezza dell'attuale piazza
Melozzo, mentre è probabile l'esistenza di un castrum nella zona dei Romiti,
sulla via per Faenza. Il castrum chiamato Livia e il forum detto Livii
rifondarono l'etrusca Ficline, dando luogo a Forlì. Un importante pagus,
risalente agli anni in cui era Imperatore Costanzo II, è stato rinvenuto nei
pressi della località Pieveacquedotto, dove transitava l'acquedotto di Traiano.
Uno scavo condotto nel 2003-2004, in via Curte, ha messo in
luce importanti resti di epoca romana: si tratta di una sequenza abitativa che
va dall'età repubblicana all'età tardo antica. Il che ha permesso di capire
come poteva essere la vita nell'antica Forum Livii[10].
Caduto l'Impero Romano d'Occidente, dopo il breve dominio di
Odoacre, Forlì fece parte del regno degli Ostrogoti, poi dell'impero di
Bisanzio. Rimase bizantina ai tempi dell'invasione longobarda, nel VI secolo,
poi fece parte delle donazioni di Pipino il Breve alla Chiesa.
Nata, ovviamente per motivi di difesa, su un'isola alla
confluenza di due fiumi, Forlì fu però lungamente travagliata dalle
inondazioni, così, intorno al 1050, venne risistemato l'impianto dei corsi
d'acqua con vari lavori di ingegneria che allontanarono dal centro abitato il
rischio di nuovi allagamenti.
La città fu protagonista delle vicende del territorio
romagnolo durante il Medioevo: il complesso stemma allude a diversi momenti
della sua storia: la città ebbe dai Romani lo scudo vermiglio, su cui poi fu
posta, in ricordo della partecipazione dei Forlivesi alla Prima Crociata, una
croce bianca; un secondo scudo, bianco, attraversato dalla scritta LIBERTAS,
testimonia dei periodi in cui la città si erse a repubblica (la prima volta
nell'889, l'ultima nel 1405): i colori della città, pertanto, sono il bianco ed
il rosso; l'aquila sveva in campo d'oro fu invece concessa da Federico II, per
l'aiuto datogli nella presa di Faenza (1241), essendosi Forlì schierata dalla
parte dei ghibellini. Queste benemerenze consentirono ai forlivesi di
intercedere poi a favore dei faentini e di convincere Federico a risparmiare la
città di Faenza, che egli intendeva invece distruggere.
L'Imperatore elargì alla città di Forlì, nell'occasione,
anche un'ampia autonomia comunale, compreso il diritto di battere moneta.
Il passaggio dal libero comune alla signoria fu piuttosto
tormentato: emersero, fra gli altri, i tentativi di Simone Mastaguerra, Maghinardo
Pagani e Uguccione della Faggiola, ma il successo nel dominio cittadino arrise
alla dinastia della famiglia Ordelaffi, che resse, sia pure con qualche
interruzione, la città dalla fine del XIII fino all'inizio del XVI.
Nel 1353, Papa Innocenzo VI dalla cattività avignonese
incaricò un suo Vicario, il cardinale Egidio Albornoz, di riappropriarsi delle
Romagne che vennero messe a ferro e fuoco. Nel 1355, per sconfiggere
definitivamente la resistenza ghibellina guidata dagli Ordelaffi, Innocenzo VI lanciò
Crociata contro i Forlivesi capitanata da Luigi I d'Ungheria. La crociata si
concluse nel 1359 con un accordo tra gli Ordelaffi ed il papa, che rimise la
Romagna sotto la potestà dello Stato Pontificio.
Dal punto di vista tecnico, si può segnalare il fatto che
Forlì, nel XIV secolo, fu una delle prime città a dotarsi di orologio
meccanico, posto nella torre civica.
La Forlì medioevale vide anche la presenza di una fiorente
comunità di Ebrei: si ha notizia dell'esistenza d'una scuola ebraica in città fin
dal XIII secolo, mentre il più antico esempio italiano di immagine araldica
ebraica (1383) proviene da Forlì; inoltre, uno statuto civico forlivese del
1359 ci testimonia la stabilità della presenza degli Ebrei e dei loro banchi.
Ad esempio, è noto il fatto che, nel 1373, Bonaventura Consiglio e socio
prestarono 8.000 ducati ad Amedeo VI di Savoia, avendone come garanzia la
corona ed altri valori[11]. Va poi notato che, nel Medio Evo, gli Ebrei a Forlì
potevano possedere terreni e fabbricati. Con il Cinquecento, però, la
possibilità si restrinse ai soli fabbricati, anche a causa del passaggio della
città al dominio diretto dello Stato della Chiesa.[12]
Agli anni 1390 e 1393 risalgono due libri di preghiera
ebraici, illustrati, provenienti rispettivamente da Bertinoro e da Forlì,
conservati attualmente in Gran Bretagna[13].
Da ricordare è anche il fatto che a Forlì operò e morì il
rabbino Hillel da Verona, che con i suoi scritti poté influenzare anche
l'immaginario di Dante, ospite in città poco dopo la sua scomparsa.
Forlì fu, dunque, un importante centro di affari e di vita
culturale ebraica.
Da segnalare, a tal proposito, è l'importante congresso dei
delegati delle comunità ebraiche di Padova, di Ferrara, di Bologna, delle città
della Romagna e della Toscana, nonché di Roma, che fu convocato a Forlì il 18
maggio 1418: vi si presero decisioni sul comportamento (etico e sociale) che
gli Ebrei avrebbero dovuto tenere e si inviò una delegazione al Papa Martino V
per la conferma degli antichi privilegi e la concessione di nuovi.
Nel Medio Evo prende avvio anche quella che sarebbe
diventata un'importante tradizione nel campo della medicina. In effetti, Forlì,
come tutta la Romagna altomedioevale mantiene vive le conoscenze della cultura
classica, in particolare in campo medico, in quanto terra bizantina. Così che
gli stessi Carolingi "hanno potuto beneficiare delle conoscenze mediche
presenti nell'esarcato di Ravenna"[14]. Nei secoli successivi, poi,
troveremo medici forlivesi di grande rilievo, come ad esempio Iacopo della
Torre, più noto come Iacopo da Forlì.
L'11 aprile del 1425 Alberico (o Alberigo) da Barbiano apre
la prima scuola laica in Forlì: primo studente è Cristiano, il figlio del
pittore e storico Giovanni di Mastro Pedrino.
Durante il Rinascimento la città vantò molteplici intrecci
con la storia nazionale italiana: sua signora fu Caterina Sforza, che, vedova
di Girolamo Riario (nipote di Papa Sisto IV), sposò, nel 1497, Giovanni de'
Medici (detto "il Popolano"), matrimonio dal quale nacque, l'anno successivo,
Ludovico (poi Giovanni) detto Giovanni dalle Bande Nere, il famoso capitano di
ventura, padre di quel Cosimo I de' Medici che sarà il primo Granduca di
Toscana. Caterina, nonostante un'eroica resistenza nella rocca di Ravaldino, in
Forlì, fu sconfitta da Cesare Borgia nel piano di espansione dei possedimenti
papali in Romagna.
Dopo un effimero tentativo di ritorno degli Ordelaffi, il
Papa Giulio II, di passaggio a Forlì nel 1506, riuscì ad imporre, almeno
provvisoriamente, la pace tra i guelfi e i ghibellini.
Tornata sotto il dominio papale, Forlì costituì il centro
della Romagna pontificia. Il governo papale garantì alla città e ai suoi
abitanti un periodo di traquilla vita civile, soprattutto dopo l'istituzione
della magistratura dei Novanta Pacifici, voluta, nel 1540, da Giovanni
Guidiccioni. A questo proposito, Adamo Pasini scrive: "Qualunque sia il
giudizio che si vuol dare del governo che in quel secolo venne a consolidarsi,
sta di fatto che il cinquecento segna il sorgere della nostra aristocrazia,
della nostra edilizia, della nostra letteratura. Dire che sono morti per la
storia i tre secoli XVI, XVII e XVIII, per dedicare dei volumi ai secoli XIII -
XIV - XV, significa dare troppa importanza alla guerra civile e poca o nessuna
importanza all'economia, allo studio, al lavoro"[15]
A riprova di quanto dice Pasini, nel 1522 nacque a Forlì un
apposito Collegio che laureava alla carica di notaio[16].
Sono da ricordare i vescovi Pier Giovanni Aleotti
(1551-1563) ed Antonio Giannotti (1563-1578), la cui incisiva azione portò la
città ad essere "citata come esempio di ortodossia e di zelo
religioso"[17] ed influenzò la stessa scuola artistica forlivese,
ponendola in sostanziale anticipo perfino sull'evoluzione della scuola
romana[18].
Nel 1630, la città sfuggì alla peste, che pure aveva
devastato il resto d'Italia e la Romagna. La popolazione ne attribuì il merito
ad un intervento miracoloso della Madonna del Fuoco, in onore della quale venne
innalzata una colonna celebrativa nel Campo dell'Abate (oggi piazza Saffi).
Dal punto di vista generale, pur tra varie vicissitudini,
come il saccheggio operato dagli Austriaci nel 1708, la situazione politica
rimase sostanzialmente immutata fino all'Unità d'Italia, eccetto che per un
breve periodo di indipendenza politica dallo Stato Pontificio attorno al 1797,
quando Forlì divenne capoluogo del dipartimento del Rubicone nella nuova
divisione amministrativa dettata dalle truppe di Napoleone al seguace Regno
d'Italia. Tra le leggi imposte dal nuovo codice civile napoleonico c'era la
possibilità di divorzio e un cittadino di Forlì ne fece richiesta (prima causa
di divorzio a oltre 150 anni dalla legge attuale).
Inoltre, i funzionari napoleonici si occuparono di indagare
gli usi e costumi delle popolazioni sottomesse, producendo una notevole mole di
dati sulle tradizioni popolari di questa parte di Romagna. Un forlivese riuscì
a recuperare parte di quelle indagini (per la verità in gran parte provenienti
da Sarsina, ma in uso anche a Forlì) e ne pubblicò un testo che è uno dei primi
lavori sulle tradizioni romagnole, poi seguito dall'opera del Pergoli verso la
fine dell'Ottocento, che si occupò della raccolta di canti anche a Forlì e a
San Martino in strada (frazione di Forlì).
Nella prima metà del XIX secolo, la legazione pontificia di
Forlì, affidata ad un Cardinale legato, comprendeva anche le città di Cesena e
Rimini.
Nel gennaio 1832 la città viene saccheggiata e 21 suoi
cittadini uccisi durante le Stragi di Cesena e Forlì ad opera delle truppe
pontificie durante la repressione finale dei moti romagnoli.
È da ricordare, durante la Repubblica Romana del 1849,
l'iniziativa dei banchetti patriottici, che si tennero, a suo sostegno, a
Forlì, e fu l'unico caso in tutta Italia: si trattò di pubblici banchetti
patriottici, che videro una massiccia partecipazione di pubblico pagante[19].
Dal punto di vista culturale, il Rinascimento vede nascere e
fiorire, con Melozzo e Marco Palmezzano, la scuola forlivese d'arte, portata
avanti poi da autori come Francesco Menzocchi e Livio Agresti nel XVI secolo, e
dai loro epigoni dei secoli successivi. Si segnalano anche importanti
produzioni di maioliche e ceramiche: da ricordare almeno il nome di Leucadio
Solombrini, che il re Francesco I di Francia volle invitare ad aprire una
bottega presso la sua corte di Amboise.
Prosegue anche l'illustre tradizione medica forlivese, con
personaggi come Girolamo Mercuriali e Giovan Battista Morgagni.
Nella seconda metà del XIX secolo Forlì diventa il
"zitadòn" (cittadone) della Romagna: un centro grande rispetto alle
altre realtà urbane limitrofe, la cui prosperità deriva dall'agricoltura -
molto diffuso il tipico contratto di mezzadria - e dal commercio del sale
tramite la via diretta verso Cervia e le sue saline, nonché dal suo
posizionamento sulla strategica via Emilia, a metà strada fra Bologna e Rimini.
La città, però, conosce anche i primi fenomeni di industrializzazione: la
fabbrica di biliardi; la birreria di Gaetano Pasqui; le fornaci della prima
metà del XIX secolo; la Becchi, per la realizzazione di stufe in cotto divenute
poi celebri; la Società Anonima Bonavita per la produzione del feltro; le
importanti Officine Forlanini[20]. Dal punto di vista culturale, Forlì è una
città attiva, con presenza di alcune testate giornalistiche[21].
Non mancarono personalità di spicco durante il Risorgimento:
Aurelio Saffi, repubblicano mazziniano e Piero Maroncelli, amico di Silvio
Pellico e imprigionato come lui per il suo ideale di un'Italia unita e libera
da dominazioni straniere o religiose.
A riprova della modernizzazione in atto, il 21 maggio 1915
(appena prima dell'ingresso dell'Italia nella Prima Guerra Mondiale), nel luogo
dove ora insiste il polo universitario, entrò ufficialmente in funzione il
nuovo ospedale cittadino, intitolato a Giovan Battista Morgagni[22].
La città piange i suoi martiri della Grande Guerra e nel
primo dopoguerra dimostra una notevole vivacità intellettuale, ad esempio con
l'inaugurazione del Cenacolo Artistico Forlivese (1920). Ma è con l'ascesa del
Fascismo e la Seconda guerra mondiale che Forlì torna a far molto parlare di
sé. A 15 km dalla città, a Predappio, nasce Benito Mussolini: quando egli
diviene prima presidente del consiglio, poi duce, inevitabilmente Forlì gode di
una certa fama di ritorno, cominciando a essere presentata nella propaganda
ufficiale come "la città del Duce"[23]. Questo ha comportato
conseguenze negative negli anni del dopoguerra, quando si poté assistere, a mo'
di contrappasso, a quella che uno storico ha definita un'implicita conventio ad
tacendum: tutte le volte che non fosse proprio inevitabile citarla, Forlì non
doveva essere nemmeno menzionata[24]. Per esprimere il particolare stato
d'animo presente a Forlì nei decenni successivi alla guerra, Giorgio Bocca
parla di complesso del Duce[25].
Durante il regime, comunque, Forlì si sviluppò oltre il suo
ambito territoriale ed economico tradizionale: gli architetti del regime si
sbizzarrirono nel progettare nuovi edifici corrispondenti al gusto del momento,
come ad esempio la nuova stazione ferroviaria, il nuovo Palazzo delle Poste e
quello degli Uffici Statali (la cui architettura ricorda una "M",
come Mussolini) nella centrale piazza Saffi, viale Benito Mussolini (ora Viale
della Libertà), lungo il quale sorse l'Istituto Tecnico Statale, con la pianta
a forma di enorme "B" (come Benito)[26]. tutto questo fervore
edilizio qualifica Forlì, secondo Ulisse Tramonti (dell'Università di Firenze),
come "vetrina nazionale dell'architettura razionalista"[27].
Crebbero poi le industrie locali (Forlanini, Mangelli); nel
1936 venne inaugurato l'aeroporto "Luigi Ridolfi", allora il più
grande aeroporto militare d'Italia, scalo che, nel dopoguerra, fu a lungo polo
di traffici commerciali con i Paesi dell'Europa comunista.
La città pagò il suo conto di vite umane alla guerra,
sopportando inoltre la perdita di inestimabili tesori artistici, come la chiesa
di San Biagio o il teatro comunale; anche la Torre civica fu bombardata, per
poi venire ricostruita in seguito. Il campanile della Basilica di San
Mercuriale venne invece risparmiato dai tedeschi in ritirata, le voci del
popolo indicano per intercessione e supplica del parroco don Giuseppe Prati
detto, amabilmente, don Pippo. Certa è l'opera del vescovo di allora della
città, monsignor Giuseppe Rolla, che sicuramente pagò un prezzo molto
consistente in termini di vettovaglie e bestiame per l'esercito tedesco in
ritirata. Recentemente alcuni voci "nostalgiche" vorrebbero indicare
nell'intervento diretto di Benito Mussolini la causa del salvataggio del
campanile. Questa possibilità è in realtà remota. All'inizio del '900 lo stesso
Mussolini, fervente anticlericale, diede alle fiamme il portone della medesima
chiesa subendo anche una condanna riportata dalle cronache di allora.
Tra i momenti tragici della guerra, va anche ricordato
l'eccidio di Forlì, nel quale, presso l'aeroporto cittadino, furono uccise 42
persone, nel settembre del 1944. Altri eccidi furono consumati nel forlivese:
l'eccidio di San Tomè[28] e l'eccidio di Branzolino[29].
Forlì venne liberata relativamente presto, rispetto alle
altre zone del Nord Italia: il 9 novembre 1944, dopo un'accanita battaglia per
il valore simbolico che Forlì aveva in quanto "città del Duce", tanto
che Hitler aveva ordinato di non cederla facilmente, le truppe alleate britanniche
ed indiane entravano in città, provenienti da Cesena, con l'appoggio delle
brigate partigiane. Proprio in quanto città-simbolo, i britannici vollero
riservare a sé l'onore di entrare a Forlì, precedendo sia gli stessi partigiani
sia i Polacchi di Władysław Anders, che già avevano preso Predappio. Ancora
oggi è presente e visitabile, quasi di fronte al Cimitero Monumentale, il ben
curato Cimitero degli Indiani, a ricordo di quanti di loro persero la vita in
questa occasione.
Ad un mese dalla liberazione, il 10 dicembre del 1944, Forlì
fu sconvolta da un bombardamento dell'aviazione tedesca, che sperimentava per
la prima volta l'effetto su un centro abitato di un nuovo tipo di bomba, la
Grossladungsbombe SB 1000, con sviluppo esplosivo orizzontale anziché a "a
imbuto" (e con la relativa mancanza del cratere)[30]. A questo
bombardamento si deve, oltre a numerosi morti, la perdita della Chiesa di San
Biagio.
Primo sindaco della Forlì liberata fu Franco Agosto, cui
oggi è dedicato il Parco Urbano, polmone verde urbano sull'ansa che il fiume
Montone forma nei pressi di Porta Ravaldino.
Forlì è tra le Città decorate al Valor Militare per la
Guerra di Liberazione, insignita della Medaglia d'Argento al Valor Militare per
i sacrifici e il coraggio delle sue popolazioni e per la sua attività nella
lotta partigiana durante la seconda guerra mondiale[31]
Nel dopoguerra la città si è stabilizzata nelle sue attività
tradizionali legate al settore agricolo e artigianale, sviluppando una dinamica
realtà di piccole imprese artigianali o cooperative.
Forlì fu anche teatro di un omicidio targato Brigate Rosse.
Il 16 aprile 1988 (a dieci anni dall'assassinio di Aldo Moro, e proprio pochi
giorni dopo la nascita del nuovo governo presieduto da De Mita, che Ruffilli
aveva contribuito a creare), assassinarono il senatore Roberto Ruffilli nella
sua casa di Corso Diaz, nel rione Ravaldino.
Il 5 aprile 2009, intorno alle ore 22,20, fu avvertita una
scossa tellurica di magnitudo 4,7 tra le città di Forlì e Faenza, che anticipò
il terribile terremoto del 6 aprile 2009 de L'Aquila.
« D'oro, all'aquila spiegata di nero, coronata e membrata
del campo, tenente nell'artiglio destro uno scudetto ovale posto in banda di
rosso alla croce d'argento, e in quello sinistro uno scudetto pure ovale posto
in sbarra d'argento alla fascia dello stesso, bordata e caricata del motto
Libertas, il tutto di nero. Ornamenti esteriori da città. »
Il gonfalone comunale, con al centro lo stemma cittadino, è
diviso in due metà: la superiore bianca, l'inferiore rossa.
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