I MONUMENTI DI FORLI’
Il Palazzo
delle Poste e dei Telegrafi di Forlì è ubicato in Piazza Aurelio Saffi, sulla
quale risulta prospiciente il prospetto principale, lateralmente confina con il
Corso Giuseppe Mazzini e con la Piazzetta Don Pippo (già Piazzetta della
Posta), mentre il prospetto posteriore si affaccia sulla Via Guido Bonatti. La
Carta della Tutela Monumentale del Comune di Forlì classifica il fabbricato in
questione con tutela monumentale di tipo “ipso jure”. Il Piano Regolatore
vigente inserisce l'edificio in Zona A - Centro Storico. L'immobile, di
proprietà della Poste Italiane S.p.A., risulta catastalmente identificato al
N.C.E.U. del Comune di Forlì al Foglio 178, Mappali 114, 116 e 125.
Dopo
l'unificazione del Regno d'Italia le Poste furono ospitate da Palazzo Pettini,
sito in piazza del Duomo in alcuni locali di proprietà demaniale attigui a
quelli occupati dagli uffici del Regio Genio Civile e, in seguito, presso
alcuni ambienti ricavati al piano terra e al mezzanino del Palazzo dell'Intendenza
di Finanza, ubicato in Piazza Maggiore (attuale Piazza Aurelio Saffi)
all'angolo con Via Jacopo Allegretti (1885-1909); il primo Ufficio Telegrafico
fu realizzato nel 1857 all'interno della torre civica e in seguito trovò
collocazione provvisoria presso il Palazzo della Provincia, sito in via delle
Torri e presso il Palazzo Rolli, ubicato in piazza Maggiore, per poi unificarsi
al servizio postale nel 1889 presso la sede ricavata nel Palazzo
dell'Intendenza di Finanza.
Nel 1909 i
servizi postali e telegrafici si trasferirono in piazza XX Settembre.
Successivamente, alla fine degli anni venti, constatata l'assoluta
insufficienza dell'esistente edificio, il Ministero delle Comunicazioni
predispose un progetto per l'ampliamento dei locali che risultò tuttavia
inadeguato rispetto alle effettive esigenze rappresentate, in considerazione
anche della prevista costituzione degli uffici della Direzione Provinciale
delle Regie Poste. Si convenne pertanto di studiare la possibilità di ubicare
altrove gli uffici, pur mantenendoli in zona centrale, realizzando un nuovo
fabbricato.
Il palazzo
delle Poste come appariva nel 1933. La scultura venne rimossa immediatamente
per motivi estetici per essere collocata sopra un analogo edificio postale
progettato dal Bazzani a Pescara
Alla fine di
luglio 1930 il governo Mussolini dispose l'edificazione di vari uffici postali
centrali, tra cui quello di Forlì. Il Ministro delle Comunicazioni Costanzo
Ciano incaricò per il progetto e la direzione artistica dei lavori l'ingegnere
architetto Cesare Bazzani (1873-1939), accademico d'Italia e noto progettista
di numerosi edifici istituzionali, compresi diversi palazzi postali (Imperia,
San Remo, Faenza, Ascoli Piceno, Macerata, Terni, Viterbo, Rieti, Pescara,
Taranto, ecc.). Scartata la prima ipotesi di realizzare il fabbricato nell'area
delle ex case Baratti in Corso Vittorio Emanuele (attuale Corso della
Repubblica), presentando tale luogo un fronte troppo limitato per una razionale
distribuzione dei servizi, si decise, probabilmente su indicazione dello stesso
Capo del Governo, di erigere il palazzo sul lato nord della Piazza Saffi, in
corrispondenza della cosiddetta “Isola Castellini”, previa la demolizione degli
edifici esistenti.
Il bozzetto
del nuovo Palazzo delle Poste e dei Telegrafi di Forlì, con il preventivo
benestare del Duce, venne presentato dall'architetto Bazzani alle autorità
locali ed alla cittadinanza in data 22/12/1930. Il relativo progetto fu redatto
il 12/01/1931 ed approvato dal Ministro per le Comunicazioni Ciano con Decreto
Ministeriale del 17/01/1931. La successiva variante, di cui al progetto in data
07/10/1931, fu approvata dal medesimo con Decreto Ministeriale del 20/10/1931.
I decreti prefettizi del 20/02/1931 (occupazione temporanea) e del 18/11/1931
(occupazione permanente) disposero l'esproprio degli immobili di proprietà
Pantoli, Rolli, Landini, Danesi e Monti. La convenzione stipulata il
31/10/1931, fra il Ministero ed il Municipio di Forlì, stabilì la
partecipazione di quest'ultimo alle spese di costruzione del nuovo edificio
postale, per l'importo di lire 700'000 e l'acquisizione gratuita di alcune
aree, porzioni di piazze e strade, di proprietà del medesimo.
Nella
primavera del 1931 fu disposto lo sgombero di tutti gli ambienti espropriati,
per la gran parte affittati ad uso abitativo, il trasferimento di alcune
attività commerciali presso i locali messi a disposizione al piano terreno
dell'edificio del Monte di Pietà ed il pagamento di tutte le indennità di
esproprio spettanti ai proprietari, nonché di una somma, a titolo di
risarcimento, agli esercenti sfrattati. I lavori di demolizione degli edifici
espropriati, appaltati in data 17/06/1931 all'Impresa Teofilo Raimondi e C. di
Cesena, ebbero inizio nel luglio successivo e proseguirono per tutta l'estate. Nel
settembre del 1931 fu definita l'esatta ubicazione del nuovo palazzo,
prevedendone l'ulteriore arretramento rispetto alla linea dei fabbricati
demoliti, in modo tale da allargare la prospettiva della piazza, ottenere un
più ampio sbocco stradale lungo il Largo De Calboli ed una maggiore ampiezza
visionale sulle facciate monumentali della chiesa romanica di San Mercuriale e
del retrostante Palazzo Paolucci - De Calboli.
I lavori di
costruzione del nuovo edificio postale, assegnati all'Impresa Ettore Benini di
Forlì con contratto in data 29/08/1931, ebbero inizio nel novembre del 1931 ed
ultimazione, per la gran parte, nell'Ottobre del 1932. La direzione dei lavori
fu affidata alla Sezione Lavori di Bologna delle Ferrovie dello Stato, nella
persona dell'ingegnere Presutti, per conto del capo sezione ingegnere Agazzi.
Il palazzo venne inaugurato il 30/10/1932, alla presenza del Capo di Governo,
nel periodo di ricorrenze legate al decennale della Marcia su Roma. Il costo
dell'opera, per quanto riportato dai giornali dell'epoca, ammontò a lire
6'680'000, di cui lire 4'500'000 per lavori, lire 2'000'000 per espropriazioni
e lire 180'000 per arredamenti. L'immobile fu assunto in carico nella
consistenza patrimoniale della Amministrazione Postale e Telegrafica mediante
verbale di consegna del 03/04/1933, redatto dalla Sezione Lavori di Bologna
delle Ferrovie dello Stato. Da quella data, gli uffici della Direzione
Provinciale ed i servizi postali e telegrafici iniziarono l'attività presso la
nuova sede.
Il 25 agosto
1944, in occasione dei bombardamenti aerei che colpirono anche la città di
Forlì, il palazzo fu seriamente danneggiato, con particolare riferimento alle
strutture di copertura, al salone pubblico ed alle facciate prospicienti la
Piazza Aurelio Saffi e la Piazzetta della Posta. Parte degli uffici venne
trasferita, per un breve periodo, presso un immobile sito nella frazione di San
Martino in Strada e, successivamente, presso alcuni locali della sede del Monte
di Pietà, ubicata in Corso Giuseppe Garibaldi. I lavori di ricostruzione,
curati dal Genio Civile, iniziarono nel 1946 protraendosi fino al 1950.
Da un esame
della documentazione grafica, depositata presso l'Archivio di Stato di Terni e
presso l'Archivio Storico delle Ferrovie, si è appreso che almeno tre furono le
proposte redatte dall'architetto Bazzani per il nuovo Palazzo delle Poste. Il
progetto selezionato fu poi rielaborato più volte apportandovi rilevanti
modifiche dimensionali ed architettoniche. L'aggiunta di una campata laterale e
l'ulteriore elevazione delle torri conferirono all'edificio l'imponenza
celebrativa richiesta all'opera dello Stato, mentre la riduzione degli elementi
decorativi ed artistici ne rafforzò il carattere della sobrietà, più confacente
alla destinazione del palazzo. All'interno dell'edificio, il salone delle
sportellerie, previsto originariamente di forma rettangolare, come il relativo
velario, venne poi realizzato di forma semicircolare e sovrastato da una
copertura a semicupola con lucernari multipli e lacunari in cemento armato. Ne
conseguirono modifiche alle strutture, alla distribuzione dei locali adiacenti,
alla tipologia della sportelleria ed alle finiture generali della sala. Il
palazzo è in stile classico modernizzato, rientrando in quella serie di opere
di transizione che accompagnarono il Bazzani verso una “forzata” evoluzione
modernista, ancora più evidenziata dalla progettazione del vicino Palazzo degli
Uffici Statali (1934-38). Per quanto concerne la tipologia, il progettista
ripropose quella fissata nella seconda metà degli anni venti, caratterizzata da
un doppio ordine con arco a tutto sesto e torrette d'angolo, in un contesto di
rigide simmetrie, apportando le modifiche dettate dalle caratteristiche del
luogo.
I prospetti
sono contraddistinti dall'uso prevalente del laterizio arrotato a vista, come
omaggio contestualistico al colore della piazza e della limitrofa chiesa di San
Mercuriale, inframmezzato da fasce in travertino di Rapolano, quale espressione
della tradizione edilizia romana e nazionale ed in pietra artificiale con
finitura a graniglia o finto travertino.
Il
fabbricato è costruito su di un impianto di forma rettangolare con corte
centrale e composto da tre piani fuori terra (escluso il sottotetto e le
torrette) ed un seminterrato. L'edificio è completamente isolato ed ha le
dimensioni di 52x38 m circa, la corte ha le dimensioni di 34x15 m circa e
l'altezza massima, riferita al piano di calpestio del seminterrato, è di 36 m
circa. Il prospetto principale comprende, al piano rialzato, un profondo porticato
a nove archi da cui si accede alle sale del pubblico ed allo scalone
direzionale. Le colonne, provviste di nicchia ad arco ed occhio superiore, sono
rivestite in travertino e cotto, le pareti interne sono rivestite in
travertino, mentre la pavimentazione è realizzata a settori con marmi policromi
a disegni geometrici, le rampe a gradini sono in granito e la volta è a
stucchi. I rivestimenti dei paramenti d'angolo, rifiniti a bugna di diamante,
sono anch'essi in travertino.
Due colonne
ornamentali in granito rosa, su basamento in travertino, fiancheggiano sui due
lati il portico e sorreggono l'aquila bronzea. Una fontana ornamentale,
anch'essa in granito rosa e travertino, ideata dall'architetto Bazzani, doveva
essere posata al centro della pedana salvagente antistante il palazzo, a
completamento dell'opera. All'ultimo momento, in accordo col Comune, fu deciso
di collocarla nel piazzale antistante la stazione ferroviaria, in asse col
nuovo Viale Benito Mussolini (attuale Viale della Libertà), all'estremo opposto
del Monumento ai Caduti ed alla Vittoria, progettato dal medesimo Bazzani. La
fontana fu distrutta in occasione dei bombardamenti aerei del 1944. Nella parte
superiore del palazzo, interamente rivestita in travertino ed in mattoni a
vista, si aprono, in corrispondenza delle volte del porticato, nove grandi
arcate, sotto ognuna delle quali sono state realizzate due finestre
sovrapposte, di cui l'inferiore fornita di timpano e l'altra di arco. La
finestra centrale è più vasta delle altre, completa di ampio balcone in granito
e travertino, provvisto di portabandiera e sormontato da uno stemma marmoreo.
Le nove campate sono ordinate da colonne in mattoni a vista che sorreggono il
coronamento, evidenziato da una fascia in finto travertino, recante l'iscrizione
“Palazzo delle Poste e dei Telegrafi”.
La facciata
è delimitata superiormente da un cornicione, di discreto aggetto, costruito in
calcestruzzo con finitura a graniglia. L'attico, realizzato in mattoni a vista
con sovrastanti blocchi di travertino, fu maggiorato in fase successiva, contro
il parere del Bazzani, allo scopo di nascondere la falda di copertura in coppi,
che il progettista aveva volutamente reso visibile dalla piazza, in armonia con
gli altri edifici affacciati sulla medesima.
Due torrette
simmetriche, con arcate sui quattro lati, si ergono, leggermente arretrate,
agli angoli del fabbricato. Le facciate delle torri, in laterizio a vista,
ripropongono il motivo architettonico delle campate del porticato, con l'uso
prevalente della pietra artificiale per gli ornati in luogo del travertino. La
parte superiore è delimitata da un cornicione con base dentellata in finto
travertino. Le facciate laterali ed il prospetto posteriore, quest'ultimo
arricchito da un balcone centrale in granito e travertino, sono caratterizzate
da un maggiore uso della pietra artificiale e risultano complessivamente più
semplici.
Una delle
due aquile in bronzo
Il Palazzo
delle Poste e dei Telegrafi è ritenuto uno degli edifici forlivesi più ricchi,
sotto il profilo figurativo e dell'alto artigianato artistico, nonostante le
numerose perdite conseguenti agli eventi politici e bellici. Parecchi sono gli
artisti che hanno operato nell'ambito della realizzazione del fabbricato:
l'architetto e scultore Roberto de Cupis, gli scultori Bernardo Morescalchi,
Ugo Savorana e Mario Miserocchi, lo stuccatore Francesco Moschini, il pittore
Giovanni Marchini.
Osservando
il prospetto principale del palazzo sono visibili diverse opere in travertino:
due stemmi del Comune di Forlì posti sulle colonne d'angolo del portico, una
testa alata raffigurante Mercurio, collocata in corrispondenza del concio di
chiave dell'arcata centrale ed uno stemma sovrastante il balcone principale.
Quest'ultimo in origine era posto fra due fasci littori e recava l'emblema
sabaudo sormontato dalla corona reale. Due fasci littori, collocati
originariamente al centro del paramento bugnato delle colonne d'angolo del
portico, furono rimossi a seguito della caduta del regime. Due grandi fasci
littori erano collocati in corrispondenza delle arcate anteriori delle torri
all'inaugurazione del palazzo.
Due sculture
bronzee, raffiguranti l'aquila romana, sormontano le colonne in
travertino-granito poste lateralmente al palazzo. Tali sculture sostituirono
dopo circa un anno le aquile in travertino presenti all'inaugurazione
dell'edificio. Queste ultime risultano attualmente depositate presso l'area
esterna di un centro sportivo ubicato in Via Campo di Marte. Le aquile bronzee
sono state restaurate nel 2001. Di entrambe le opere non è certa
l'attribuzione.
Due gruppi
statuari bronzei realizzati dallo scultore carrarese Bernardo Morescalchi,
raffiguranti un cavallo con accanto un messaggero, dovevano sormontare le
estremità del coronamento della facciata, ma per motivi estetici furono rimossi
subito dopo la posa, avvenuta nella primavera del 1933, per essere collocati
sopra un analogo edificio postale progettato dal Bazzani a Pescara. È probabile
che le due sculture siano state distrutte dall'industria bellica come numerose
altre opere metalliche di quella città.
Osservando i
prospetti laterali, sono visibili uno stemma del Comune di Forlì (lato
Piazzetta Don Pippo) ed uno stemma sabaudo (lato Corso Giuseppe Mazzini),
entrambi in pietra artificiale, sovrastanti una lapide in travertino priva di
incisioni. Gli stemmi erano collocati originariamente fra una coppia di fasci
littori che furono rimossi alla caduta del regime.
Stemma di
Forlì, prospetto posteriore
Osservando
il prospetto posteriore, sono visibili uno stemma in travertino, posto in
corrispondenza del sopraluce relativo all'ingresso di servizio, originariamente
collocato fra due fasci littori e recante l'emblema sabaudo sormontato dalla
corona reale e due tondi scultorei, sempre in travertino, raffiguranti gli
stemmi del Comune e della Provincia di Forlì. Tre fasci littori in pietra
artificiale, collocati in origine all'interno del timpano triangolare delle
finestre poste al piano primo, furono rimossi alla caduta del Fascismo.
Teste di
leone che ornano il cornicione
Il cornicione
perimetrale è decorato da cinquantadue testine di leone realizzate in cemento
graniglia. Numerose di queste, risultando deteriorate, sono state rimosse
recentemente per evitare la pericolosa caduta di frammenti al suolo.
I due
balconi centrali sono provvisti di porta bandiera in ferro battuto decorato a
forma di caveja, simbolo tradizionale romagnolo, con anelli in rame e figura di
aquila ghibellina forlivese.
Il cancello
scorrevole posto all'ingresso dell'atrio pubblico, le finestre relative ai
piani scantinato e rialzato, i sopraluce ad arco relativi ai sei ingressi
all'edificio e le aperture anteriori delle torrette, sono forniti di inferriate
artistiche ideate da Roberto De Cupis ed eseguite dalla Bottega Matteucci di
Faenza, ai quali si deve anche la realizzazione delle ringhiere dello scalone
direzionale. Le inferriate collocate sul prospetto principale e le ringhiere
sono decorate con elementi in rame.
All'interno
dell'edificio, sistemata al centro del salone del pubblico, risulta di
particolare pregio la scultura bronzea raffigurante una figura femminile,
sorreggente un orologio su quadrante di onice (poi asportato), anch'essa
modellata dallo scultore Bernardo Morescalchi. Alle spalle della statua è
collocato un pannello di onice del Marocco. Risultano invece rimossi il busto
marmoreo del Duce, ideato da Roberto De Cupis, originariamente collocato nel
salone del pubblico ed i pannelli decorativi eseguiti dal pittore forlivese
Giovanni Marchini per i soffitti delle sale della Direzione e del Consiglio,
poste al primo piano dell'edificio.
Nella sala
della Direzione il Marchini dipinse al centro gli stemmi d'Italia e della
provincia di Forlì, collegati da un fascio littorio stilizzato, due grandi
cavalli raffiguranti la posta terrestre e la posta aerea, il tutto attorniato
dagli stemmi dei quattro circondari e dei comuni più importanti della
provincia. Nell'attigua sala del Consiglio dipinse una figura femminile
incoronata e avvolta nel tricolore, simboleggiante l'Italia, dalla quale si
dipartono le onde del genio spandendosi per tutto il mondo.
Le sale del
pubblico sono certamente gli ambienti più adorni del palazzo. Le pareti ed i
banconi degli sportelli sono rivestiti in marmo di Trani venato, i pavimenti
sono realizzati a settori con marmi colorati a disegni geometrici, i soffitti
sono decorati a stucchi. La struttura degli sportelli attualmente è di tipo
blindato con profili in alluminio e vetri anticrimine, ma in origine era
costruita in legno e disegnata in armonia con gli altri serramenti presenti nel
salone e nell'atrio di servizio. La struttura lignea originaria è restituita
dai grafici di progetto depositati presso l'Archivio di Stato di Forlì. Quella
ricostruita nel primo dopoguerra e sostituita negli anni sessanta, anch'essa in
legno, ma diversamente disegnata, è visibile in alcune fotografie dell'epoca
appartenenti ad una raccolta privata. Il casellario postale è sistemato
nell'apposita saletta accessibile sul lato destro dell'atrio, in posizione
frontale all'accettazione telegrafica (attuale sala consulenza). Il vecchio
casellario, interamente rivestito in legno, fu rimosso alla fine degli anni
cinquanta per essere sostituito con un manufatto metallico. In quel periodo
furono commemorati i postelegrafonici forlivesi caduti in guerra, trascrivendone
i nomi sulla targa marmorea sovrastante il casellario.
Gran parte
delle lampade di Murano installate in origine negli ambienti principali del
palazzo, delle quali resta agli atti un dettagliato riepilogo allegato al
citato verbale di consegna dell'edificio, furono distrutte od asportate. Fanno
eccezione le torcere luminose ed i rosoni a soffitto posti nel salone del
pubblico, le lampade a parete ed il lampadario a sospensione collocati nello
scalone direzionale.
In occasione
dei recenti lavori di restauro del portico, nell'ambito della realizzazione del
nuovo impianto di illuminazione, sono stati installati tre nuovi lampadari in
ferro battuto con vetri piombati, realizzati dalla ditta fratelli Nicoletti di
Forlì, sulla base dei disegni eseguiti dalla Bottega Ravaglioli di Modigliana
per le lanterne dell'Ufficio Postale di Predappio Nuova.
Le strutture
portanti verticali sono realizzate in cemento armato e in muratura di
laterizio, quelle orizzontali sono in cemento armato ed in latero-cemento. La
struttura di copertura a falde inclinate, suddivisa in quattro settori, è
realizzata con capriate e sovrastante doppia orditura in legno e tavelloni. La
copertura piana delle torrette è in latero-cemento. Il manto della copertura a
falde è realizzato con tegole portoghesi e coppi di diversa epoca e tipologia
(in origine solo coppi). Le coperture delle torrette e del salone pubblico sono
impermeabilizzate con guaina bituminosa. I canali di gronda posti in aggetto
sono costituiti da elementi prefabbricati in cemento-graniglia, anch'essi
impermeabilizzati con guaina. Le lattonerie (canali di gronda interni,
scossaline, converse, ecc.) sono in lamiera di ferro. I pluviali, del tipo
incassato, sono in ghisa; quelli esterni, relativi alla corte, sono in cemento.
La finitura prevalente dell'involucro esterno è il laterizio a vista, alternato
da rivestimenti in travertino ed in pietra artificiale. I paramenti del
sottoportico e quelli laterali bugnati a diamante sono in travertino. Le
facciate prospicienti il cortile interno sono intonacate. La pavimentazione
relativa alle due torrette è in mattonelle di graniglia, quella relativa alle
due chiostrine interne è in piastrelle di cemento. La pavimentazione del
sottoportico è in marmo, le rampe a gradini sono rivestite in granito. Il
marciapiede comunale è realizzato con piastrelle di cemento ricoperto da uno
strato di agglomerato bituminoso.
Gli infissi
esterni relativi ai piani scantinato e rialzato sono in ferro-vetro, con
eccezione di alcuni serramenti relativi alla sala retrosportelleria che
risultano in alluminio-vetro (in origine ferro-vetro). Gli infissi esterni
relativi ai piani primo e secondo sono in legno-vetro, con eccezione di alcuni
serramenti relativi al piano primo, prospicienti il cortile interno, che risultano
in alluminio-vetro (in origine legno-vetro). Le porte di accesso al piano della
torretta sono in legno. Il finestrino prospiciente la Via Guido Bonatti,
relativo al torrino del vano ascensore, è in ferro-vetro. Nel loggiato sono
presenti tre ingressi all'edificio, di cui due forniti di portoni in legno di
noce (civ. 27 e 29) ed uno centrale, relativo al salone pubblico, attrezzato
con un cancello scorrevole in ferro-vetro e protetto da inferriate artistiche
(civ. 28). L'ingresso al garage posto sulla Piazzetta Don Pippo (civ. 1) è
attrezzato con un serramento in alluminio-vetro e protetto esternamente con una
serranda in acciaio zincato (in origine ferro-vetro - protezione con inferriate
artistiche). Gli ingressi di servizio posti sulla Via Guido Bonatti (civ. 2) e
sul Corso Giuseppe Mazzini (civ. 2) sono forniti di portoni in legno.
La
consultazione dei documenti depositati presso l'Archivio di Stato di Forlì
(fondo Genio Civile – Danni di guerra) e presso l'archivio dell'Ufficio Lavori
P.T. di Bologna, ha permesso di fissare nel tempo le principali modifiche
apportate al fabbricato, in raffronto allo stato originario restituito dai
disegni architettonici e strutturali di liquidazione, in carico all'archivio
storico delle Ferrovie dello Stato.
L'edificio,
internamente, è stato interessato da vari lavori di sistemazione, adeguamento e
ridistribuzione dei servizi, che in taluni casi hanno determinato modifiche
strutturali. Negli anni 1960/70 fu realizzato un piano mezzanino, fra i piani
rialzato e primo, demolita una scala in cemento armato di collegamento al piano
sottotetto e trasferita una parte dei servizi igienici. Altri interventi di
ristrutturazione hanno comportato l'ampliamento o riduzione di vari locali, la
sostituzione di pavimenti e di serramenti, nonché la modifica delle strutture
di sportelleria oltre la quota del piano del bancone. Più recentemente, alla
fine degli anni 90, interventi di ammodernamento hanno interessato parte del
piano secondo, a seguito dello smantellamento della sala telegrafica. Nel 2003
l'ex sala smistamenti-sezione pacchi, posta al piano rialzato, è stata
ristrutturata per essere adibita a servizi di sportelleria e consulenza, in
base ai nuovi layout aziendali.
Per quanto
riguarda le parti esterne, si evidenziano il ridimensionamento di una apertura
di accesso ai locali di smistamento (piano di carico), sulla Via Guido Bonatti,
eseguito in armonia con le finestre poste al piano rialzato (Genio Civile
1946-50); la costruzione del torrino di copertura relativo al locale macchine del
nuovo ascensore, installato lungo il vano scala di servizio con accesso dalla
medesima Via Guido Bonatti (Ufficio Lavori P.T. 1960); la realizzazione di due
pensiline in ferro-vetro e la sostituzione di alcuni serramenti esterni
prospicienti la corte-chiostrine; la sostituzione del serramento relativo
all'ingresso al garage, sulla Piazzetta Don Pippo (Ufficio Lavori P.T.
1960/80). Non risultano invece eseguite opere di ristrutturazione esterna, a
seguito dei ripristini dei danni di guerra, fatta eccezione per alcuni
interventi di rifacimento del manto di copertura e per i recenti lavori di
pulizia e restauro del loggiato effettuati nel 2001.
Il palazzo di notte
Il Palazzo
degli Uffici Statali è un edificio che sorge nel centro di Forlì, all'angolo
tra via delle Torri e corso Mazzini.
Venne
costruito tra il 1935 e il 1936 sul progetto di Cesare Bazzani con lo scopo di
fornire una sede agli uffici dei ministeri delle finanze e dei lavori pubblici,
dell'agricoltura e, in parte, delle foreste. Al fine di completare e rendere
più elegante la scenografia di piazza Saffi, fu lo stesso Mussolini a imporre
ancora il Bazzani quale progettista, nonostante molti non avessero apprezzato
lo stile che l'architetto romano aveva scelto per la costruzione del Palazzo delle
Poste.
Il nuovo
progetto, condizionato dalla preventiva acquisizione e demolizione di diversi
antichi edifici di proprietà di influenti famiglie forlivesi (Montanari,
Valdesi, Pantoli), andò incontro a enormi ed impreviste difficoltà. I
proprietari, ben determinati a ottenere il massimo risarcimento dalla vendita
dei propri edifici, fecero ricorso ad amicizie e conoscenze altolocate,
compresi alcuni familiari di Mussolini. Dovevano essere inoltre vinte le
fortissime resistenze dei commercianti, che, con l'abbattimento dei propri
negozi, rischiavano di chiudere la loro attività per sempre.
Tutte queste
istanze vennero soddisfatte grazie alla promessa che si sarebbero aperti una
serie di locali ad uso commerciale sotto il loggiato del nuovo edificio e
quelle del Palazzo del Monte di Pietà. Il primo progetto, stilato nel 1933,
prevedeva il mantenimento dell'antico Palazzo Baratti, già Orceoli, situato
all'angolo tra Via delle Torri e via Biondini. Ma anche questo edificio, pur
essendo vincolato, venne poi espropriato e demolito per consentire la completa
esecuzione del progetto imposto dal duce. Per sbloccare la situazione, il genio
civile si era appellato al soprintendente di Bologna Carlo Calzecchi, il quale,
dietro sollecitazioni altolocate, prontamente aveva provveduto ad eliminare
l'edificio dall'elenco delle costruzioni storiche protette.
La
demolizione degli edifici che occupavano l'aria divenne un'ossessione per
Mussolini, tanto che, a metà del settembre del 1934, scrisse il seguente
telegramma all'allora ministro dei lavori pubblici, Araldo di Crollalanza:
"passando per folli o visto il cosiddetto palazzo Baratti ancora in piedi
stop Se necessario come sembra rinnovati gli ordini per demolirlo senza
indugi". Risolta la questione, Mussolini su pressioni del forlivese Manlio
Morgagni, presidente dell'agenzia Stefani, intervenne presso le autorità
politiche e amministrative della città affinché i lavori di costruzione
venissero affidati alla Ditta Benini, di cui Morgagni stesso stava per
diventare presidente.
Nella
progettazione del palazzo Cesare Bazzani ricercò una sorta di mediazione tra
l'architettura romana classica e l'architettura razionalista, come dimostra il
grande porticato per terra che ricorda, per dimensioni struttura, gli antichi
acquedotti.
L'edificio
venne inaugurato il 21 aprile 1937, in occasione delle celebrazioni per il
Natale di Roma. Ancora oggi colpisce la sua imponenza: 65.000 m³ e 300 stanze e
ambienti disposti su di una superficie di circa 4500 m². In cima al palazzo era
stata collocata una torretta, andata distrutta nel bombardamento del 25 agosto
1944[1].
Palazzo
Paulucci di Calboli dall'Aste è un grande edificio storico del centro di Forlì.
La
costruzione originaria è databile alla metà del settecento, ma nulla ad oggi si
conosce riguardo a chi abbia progettato l'intero complesso, risultato
dell'unione in epoche diverse di diversi corpi di fabbrica che estendevano su
una superficie di 1600 m².
Appartenne
ai Conti dell'Aste fino all'estinzione del casato, quindi al marchese Raniero Paulucci
di Calboli, protagonista della storia cittadina e di quella italiana. Nel 1921
il marchese rientrò in Italia, dopo aver ricoperto per circa 2 anni la carica
di ambasciatore italiano a Tokio. Questo rientro gli consentì di dedicarsi alla
ristrutturazione del palazzo che, secondo le sue intenzioni, doveva diventare
"La casa Fulcieri". Nel 1922, quando Mussolini salì al potere, il
marchese venne nominato senatore ed ambasciatore d'Italia a Madrid. In seguito
alle nozze tra Camilla, figlia del marchese, Giacomo barone, capo di gabinetto
di Mussolini, il palazzo acquisì ancora maggior lustro. Nel 1923 lo stesso
Benito Mussolini fu ospite in queste stanze e nel 1924 e viene accolto il
principe ereditario Umberto di Savoia.
La nascita
di un nipote spinse il marchese modificare il testamento, redatto qualche anno
prima, al fine di lasciare la casa di Forlì al pronipote e di donare alla città
un capitale di 300.000 lire (275.000 € circa del 2013) affinché la rendita di
questa somma fosse distribuita ai figli e ai discendenti dei mutilati e feriti
di guerra, in memoria del figlio morto in guerra.
La notevole
eredità destinata alla città rappresentava circa un terzo dei suoi beni mobili,
mentre la casa restava di proprietà della famiglia. Nel 1928 al termine dei
lavori di sistemazione del palazzo, il pittore riminese Gino Ravaioli realizzò
degli affreschi tuttora visibili in un vasto locale, un tempo destinato
biblioteca. Il 12 febbraio 1931, dopo una breve malattia, Raniero morì a Roma.
Al podestà di Forlì venne quindi comunicato il contenuto delle disposizioni
testamentarie con l'aggiunta della donazione delle 7 opere dello scultore
milanese Adolfo Wildt.
La facciata
del palazzo è straordinariamente essenziale e presenta un incantevole
equilibrio delle proporzioni.
All'interno
del palazzo, sono di pregio : l'androne principale e gli ambienti situati nella
parte centrale dell'edificio. Ancora oggi sono assenti tracce della ricchezza e
del fasto passati: capitelli, cornici e stucchi, alcuni dei quali realizzate al
tempo della costruzione dell'edificio. Una serie di soffitti a volta del piano
terra e del primo piano, sono invece dipinti simili alle decorazioni del
pittore Felice Giani.
La ricchezza
del palazzo consisteva soprattutto negli appariscenti arredi e collezioni di
opere d'arte raccolti del marchese. Le pareti della biblioteca, la quale
accoglieva nelle scaffalature in legno migliaia di inestimabili volumi
manoscritti, furono decorate da Gino Ravaioli. In particolare nellas stanza
centrale furono dipinte la fede, le scienze, le lettere e le arti, raffigurate
da personaggi illustri di ogni epoca, mentre, tra quattro grandi riquadri,il
pittore riminese rappresentò altrettanti episodi della storia della famiglia
Paolucci di Calboli. All'interno del palazzo vi si trova un cammino attribuito
probabilmente alla bottega del Canova.
All'interno
dell'edificio si trova un grandioso cancello in ferro battuto che divide
l'androne dal cortile del palazzo. Quest'ultimo ornato al centro da un pozzo di
gusto neo rinascimentale, realizzato su progetto dell'architetto romano
Florestano Di Fausto.
Il palazzo è
sede della Società filodrammatica del Talentoni, sorta nel 1876 e attiva fino
al 1894. Durante questo periodo il decoratore Annibale Mrabini affrescò diverse
stanze, nonché numerosi scenari per il teatro. Nel 1994, il palazzo fu oggetto
di un'interessante ricostruzione storica.
Palazzo
Piazza Paulucci, o Palazzo Paulucci, è un edificio storico della città di Forlì
che occupa tutto un lato di Piazza Ordelaffi. Il suo nome è legato a due
antiche e potenti famiglie nobiliari che ne furono proprietarie: i Piazza e i
Paulucci de' Calboli.
La
costruzione iniziò il 1º ottobre 1673, su ispirazione dei palazzi del Laterano
e Farnese a Roma, per opera di monsignor Camillo dei conti Piazza, vescovo di
Dragonia, durante il periodo di massimo splendore della sua famiglia. I lavori
continuarono col cardinale Giulio Piazza, per poi arrestarsi[2].
Portato in
dote dalla contessa Giulia Piazza quando sposò Giacomo Paulucci[3], il
complesso fu acquistato dal Comune di Forlì nel 1880 col fine di completarlo
per utilizzarlo[4].
Conclusi i
lavori, vi fu trasferito l'Archivio storico comunale[5] e in parte destinato a
Museo archeologico, poi a pubblica scuola, mentre nel 1908 gli ampi
seminterrati ospitarono la prima sede della cantina sociale forlivese, i cui
principali promotori furono Pio Manuzzi, Dante Gibertini ed Ercole Gaddi,
presidente del comizio agrario.
Nel 1924
matura il progetto di un nuovo cambio destinazione come sede del Tribunale. I
lavori, iniziati effettivamente nel 1932 su progetto dell'architetto Leonida
Emilio Rosetti, furono interrotti l'anno seguente su intervento di Benito
Mussolini perché, nel frattempo, sull'influenza delle linee guida tracciate
dall'architetto urbanista Marcello Piacentini, si era sviluppata una nuova
concezione architettonica del palazzo di Giustizia. Decidendo di dedicare a
quest'ultimo un progetto ex novo, analogamente a quanto avveniva in altre
importanti città[3], palazzo Piazza Paulucci fu perciò destinato a sede del
Palazzo del Governo a Forlì[6].
Palazzo
Paolucci in una stampa ottocentesca
Il progetto
venne inizialmente definito dall'architetto Cesare Bazzani, accademico
d'Italia, protetto dall'influente amicizia di Costanzo Ciano, padre di Galeazzo
(marito di Edda Mussolini), molto attivo a Forlì in quegli anni.
Nel 1936
iniziò il ripristino, ove possibile, delle vesti decorative originarie[7],
secondo una vera e propria progettazione in stile. In realtà, mentre i
prospetti esterni vennero completati secondo un arbitrio discreto, gli interni
furono pesantemente manomessi, come si può notare nella sala degli stucchi
dell'appartamento cardinalizio[6].
Alla morte
di Bazzani nel 1939, il lavori furono diretti dal fido collaboratore Italo
Mancini[8].
Bazzani
predispose anche un appartamento per i soggiorni forlivesi del Capo dello Stato
e per la cui decorazione incaricò nel 1939 la sua collaudata collaboratrice
romana Maria Biseo, con affreschi murali ispirati all'apologesi del pane.
Fra le opere
scultoree vanno ricordati i tre stemmi in pietra, realizzati dallo scultore
Giuseppe Casalini, situati sopra la finestra centrale, il secondo dei quali
conduce all'insegna dei Savoia, mentre gli altri due ai gonfaloni della
Provincia e del Comune. Le altre opere scultoree si devono a Gianna Nardi
Spada, che realizzò il pannello decorativo raffigurante la provincia di Forlì a
B. Boifava. Cesare Camporesi realizzò a stucco i pregevoli soffitti a
cassettoni.
Le
decorazioni poste sulle pareti del salone d'onore, non più visibili, furono
realizzate da Francesco Olivucci fra il 1937 ed il 1941. Non è noto come sia
avvenuta l'eliminazione di quest'opera, che doveva risultare enorme (oltre 150
metri quadri) e che richiese all'autore un grande impegno tecnico e creativo.
Dietro
approvazione di varie commissioni e lievemente corretto dallo stesso Mussolini,
l'Olivucci affrontava il tema dei "trionfi" del fascismo, in
particolare, la marcia su Roma, il varo della Carta del Lavoro, la conquista
dell'impero e il re imperatore, le forze armate[3].
Bazzani
progettò, reinventandolo, anche il giardino retrostante secondo lo schema dei
giardini delle ville romane del Cinquecento. Fa da fondale una scenografica
esedra, sull'asse dell'ingresso del palazzo, dove domina una statua in marmo di
Carrara raffigurante Giunone, opera dello scultore romano Publio Morbiducci[6].
Palazzo
Benzi
La sontuosa
facciata del palazzo risale al XVIII secolo. Il palazzo è attualmente
inutilizzato e in attesa di restauro, ma fu anticamente sede del 3º ordine regolare
femminile. Vi si trasferirono di seguito i conti Guarini i quali vi dimorarono
sino al 1815, poi fu abitato per molti anni dei conti Benzi, dai quali oggi il
palazzo trae il nome. Successivamente fu sede di una fabbrica di coperte di
seta, l'opificio Amaducci. Passò quindi nella proprietà della famiglia
Silingardi dalla quale fu poi acquistato dall'Opera nazionale balilla, dietro
indicazione del suo presidente Renato Ricci.
Nel 1926
l'edificio fu drasticamente rimaneggiato seguendo i gusti architettonici in
voga all'epoca. La facciata, pur mantenendo le linee settecentesche, venne
rimaneggiata e resa più sontuosa e regolare, con l'uso di pietra artificiale.
Il progetto fu portato a termine su disegno dell'Ingegnere Virginio Stramigioli
il quale, per l'esecuzione ornamentale esterna, ebbe come collaboratore lo
scultore Giuseppe Casalini mentre gli artisti Francesco Olivucci e Gino
Mandrone si occuparono delle decorazioni interne. In particolare, Olivucci
affrescò lo scalone realizzando le due opere il balilla ed il lavoratore.
Queste opere si affiancarono a quelle settecentesche preesistenti, opera di
Giuseppe Marchetti.
Palazzo
Benzi divenne così sede dell'Opera nazionale balilla, l'organo del Partito
Nazionale Fascista a carattere parascolastico e paramilitare. Nel 1933, su
progetto dell'architetto Cesare Valle, a completamento, con accesso da via
Fossato Vecchio, sorse all'interno della corte la prima palestra dell'Opera
nazionale balilla, una delle più grandi esistenti a quei tempi in regione. Sempre
nel 1933, completata la casa-stadio dei balilla su viale Mussolini, palazzo
Benzi cambiò uso per divenire la Casa della giovane italiana.
La palestra,
che misurava 29 × 13,50 m, si caratterizzava per la linearità delle forme,
nonché per l'uso innovativo del cemento armato che permetteva di rispondere a
esigenze particolari, tra le quali la realizzazione di una planimetria
completamente libera. Come accennato, il palazzo è attualmente in disuso in
attesa di un intervento di restauro.
Nel 1944, su
iniziativa di don Pietro Garbin, fondatore della comunità salesiana,
dell'istituto Orselli e dell'oratorio San Luigi, nell'edificio venne allestito
l'ospedale Don Bosco, gestito da volontari, con cui si tentò di far fronte alle
drammatiche necessità legate al momento bellico.
Palazzo
Benzi fu, nel secondo dopoguerra, la sede della Democrazia Cristiana mentre
negli anni settanta ospitò una discoteca.
Palazzo
Savorelli Prati
La
costruzione risale al 1700, ad opera di un architetto sconosciuto. Nel 1767
venne rilevato dalla famiglia Prati che lo acquistò dai Paulucci. Attualmente è
sede dell'Istituto Prati, ufficialmente ente Pio fondazione Prati, costituito
nel 1944 per volontà testamentaria della contessa Paola Savorelli
Muti-Papazzurri, la cui madre faceva parte della famiglia proprietaria del
palazzo, proveniente da Prato e stabilitisi a Forlì nel seicento.
La contessa
così scrisse sul suo testamento : ...con tutto il mio patrimonio voglio sia
fondata un'istituzione da costituirsi in ente autonomo che abbia per iscopo
l'assistenza a malati poveri a domicilio per mezzo di infermiere gratuite e di
sussidi...'.
Fin dai
primi anni l'Istituto svolse la propria opera caratitevole per mezzo delle
sorelle dei poveri di Santa Caterina da Siena, una congregazione di religiose scelto
dal vescovo di Forlì.
L'edificio
ha un aspetto molto severo, la facciata è semplice, e segue l'andamento della
strada. È costituito da una serie di mattoni a vista e dalla base a scarpa, che
si spinge in alto in un cordolo di arenaria.
Nella parete
dell'atrio, oltre a un busto di gesso inserito in una nicchia del muro che
ritrae la contessa Paola Savorelli Muti-Papazzurri Prati, su una stele murata
si trova un'epigrafe scritta in memoria della contessa. Dall'androne si
raggiunge la corte interna dotata di un porticato sorretto da alcuni pilastri
in cotto, sopra il quale poggia una loggetta retta da 2 colonne, costruite con
mattoni di forma circolare.
Sul muro di
fronte si apre un altro portone, rimasto incompleto nelle decorazioni,
attraverso il quale si entra in un altro vestibolo che serve da accesso
posteriore al palazzo. Da qui si accede in un'area, al quel tempo un giardino,
ora un parcheggio, dove si trova una nicchia, probabile residuo di un orto
dotato di volta a crociera, nel quale è situata una grande statua risalente al
XVIII secolo, in legno dipinto di bianco, raffigurante San Michele Arcangelo.
All'interno
del palazzo si sono salvate alcuni ornamenti ottocenteschi, in genere a
carattere mitologico. Il palazzo ha subito notevoli danneggiamenti nel corso
dei bombardamenti della Seconda guerra mondiale. Il 10 dicembre del 1944,
infatti, il bombardamento tedesco che sventrò la chiesa di San Biagio, colpì
duramente anche Palazzo Prati, causando gravi danni irrimediabili alla
collezione di dipinti, cristalli, ceramiche e mobili in stile Luigi XV.
Complessivamente
vennero distrutte 192 opere d'arte. Obiettivo del bombardamento nazista era
prospiciente l'edificio, il Palazzo merenda, un edificio che ospitava i
quartieri generali degli alleati, i quali un mese e un giorno prima avevano
liberato Forlì. Palazzo merenda, insieme alle tantissime opere d'arte in esso
custodito, venne in gran parte distrutto e ricostruito utilizzando però il
cemento armato.
Attualmente
la collezione del palazzo prati include solo 74 opere sopravvissute,
prevalentemente di ambito regionale, Veneto e Romano, databili dalla metà del
XV secolo fino alla fine del XIX. Oltre ai dipinti il palazzo custodisce un
insieme di mobili (tavoli, sedie, poltrone, divani, cassettoni), di maioliche
(piatti, vassoi, coppe, coperchi) e lampadari di artigianato italiano.
Importantissimo è l'archivio storico dell'Istituto che consiste di 1250 unità
archivistiche tra registri, buste e fascicoli, datate dal 1320 al 1944 e
situate su scaffali nel locale che ospita anche la biblioteca, una piccola
collezione di monete (dall'età romana fino alla fine del XVIII secolo) e la
raccolta di stampe, anche quest'ultima molto danneggiata dal bombardamento del
1944. Si tratta di 23 fondi archivistici in tutto, di cui 10 di famiglie e 13
di enti civili, militari e religiosi.
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