FORLI’ (parte sesta)
Durante il Rinascimento, la città vantò molteplici intrecci
con la storia nazionale italiana: sua signora fu Caterina Sforza, che, vedova
di Girolamo Riario (nipote di Papa Sisto IV), sposò, nel 1497, Giovanni de'
Medici (detto "il Popolano"), matrimonio dal quale nacque, l'anno
successivo, Ludovico (poi Giovanni) detto Giovanni dalle Bande Nere, il famoso
capitano di ventura, padre di quel Cosimo I de' Medici che sarà il primo
Granduca di Toscana. Caterina, nonostante un'eroica resistenza nella rocca di
Ravaldino, in Forlì, fu sconfitta da Cesare Borgia nel piano di espansione dei
possedimenti papali in Romagna.
Dopo un effimero tentativo di ritorno degli Ordelaffi, il
Papa Giulio II, di passaggio a Forlì nel 1506, riuscì ad imporre, almeno
provvisoriamente, la pace tra i guelfi e i ghibellini.
Il 5 aprile 1504 Forlì si sottomise legato pontificio
Giovanni Sacchi, vescovo di Ragusa, dopo un breve tentativo, fallito, di
Lodovico Ordelaffi di riprendere il potere e il 25 giugno dello stesso anno
Giulio II emanò 2 bolle, una per liberare la città ad ogni vincolo di fedeltà
nei confronti dei precedenti signori, e l'altra per definire le condizioni di
sudditanza al governo della Chiesa. Nei primi anni del Cinquecento la Santa
sede si limitò ad affermare la propria supremazia esigendo un censo annuo di
1000 fiorini, riservandosi la facoltà di imporre nuovi tributi e sottoponendo
il reggimento di Forlì al controllo del governatore. La comunità perse dunque
l'autonomia politica ma mantiene il diritto di disporre delle proprie entrate.
Nonostante Forlì fosse ritornata a dipendere direttamente dalla Santa sede, in
realtà i primi quarant'anni del Cinquecento furono caratterizzati da un'estrema
instabilità politica provocata dalle lotte di parte. Le due bolle papali
emanate avrebbero dovuto estendere a tutti i membri dei maggiori Casati
l'accesso agli organi istituzionali del governo locale questo tuttavia non
evitò che si riorganizzassero subito le fazioni dei ghibellini Numai e dei
guelfi Morattini i quali, dopo la scacciata degli Ordelaffi, ambivano al
governo della città. Nanni Morattini, che con la sua parte aveva favorito la
sottomissione della città alla chiesa, pretendeva di avere la supremazia sulle
altre famiglie forlivesi e iniziò a contrastare il potere delegato Sacchi,
cacciando dalla città le truppe papali comandate da Giovanni Sassatelli. Giulio
2º reagì facendo arrestare un Morattini inviato a Roma come ambasciatore ed
esiliando Nanni Morattini per due mesi a Cesena.
I Numai si ribellarono all'egemonia degli avversari
costituendosi nel 1505 in fraternita con un atto pubblico, dominando la città
dopo aver fatto bandire la fazione dei Morattini dal governatore. La reciproca
lealtà tra gli aderenti alle parti venne giurata sul Vangelo alla presenza dei
sacerdoti e notai.
I Morattini riuscirono a rientrare a Forlì nel 1506, grazie
alla crisi provocata dalla fazione dei Numai da una faida interna tra i Berti
ed i Marcobelli. Queste 2 famiglie si contrapponevano cercando entrambe di
conquistare l'egemonia nel proprio schieramento alleandosi rispettivamente agli
ghibellini e ha i guelfi della Valle del Lamone, in territorio faentino. La
faida rovesciò gli equilibri delle forze che si contendevano il controllo della
città. Giacomo berti, di per sé entrambi i figli per vendetta dell'uccisione di
Berardo Marcobelli, si unì ai Morattini, favorendo il loro ritorno nel giugno
del 1506. I Numai dovettero andare in esilio fino al 14 ottobre, quando Giulio
II ratificò la pace giurata solennemente tra le due parti già nel marzo del
1507, tuttavia, dopo l'uccisione di Tommaso Numai, i ghibellini temettero di
nuovo di essere schiacciati dagli avversari e cercarono scampo fuggendo da
Forlì. I fuorusciti, appoggiati da fiorentini e veneziani, in lotta contro il
papa, tentarono ripetutamente, senza successo, di assalire la città, finché nel
dicembre 1508 il legato impose il loro rientro è una nuova pace giurata fra le
fazioni.
Gli scontri tra guelfi e ghibellini ripresero nell'aprile
del 1512, dopo la vittoria delle truppe francesi a Ravenna contro gli spagnoli,
alleati di Giulio 2º. Alla notizia del terribile saccheggio delle città a
seguito di questa battaglia, anche Forlì si spopolò e la gente cercò rifugio
sui monti, soprattutto nei castelli di Dovadola e Castrocaro, in territorio
fiorentino. I Numai per ostacolare il ritorno dei Morattini, si schierarono con
i francesi e assistettero senza opporsi alla devastazione della città. Il 7
maggio, mentre le truppe si allontanavano, si scatenò il furore dei contadini
che le affrontarono in battaglia infliggendo loro gravi perdite.
I Morattini rientrarono Forlì, devastarono le case dei
ghibellini ed espulsero i Numai. In settembre questi fece un'incursione per
vendicarsi dei guelfi e riuscirono a penetrare in città il 26 dicembre in
Duomo, durante il vespro, la famiglia Ettori, alleati dei Morattini, uccise
alcuni ghibellini. L'intervento diretto nelle lotte di parte di Giovanni Ruffo
Teodoli, arcivescovo di Cosenza e parenti delle vittime dell'agguato, provocò
l'esilio degli Ettori. L'arcivescovo fece distruggere il loro palazzo, e riuscì
a far condannare dal legato pontificio 2 esponenti della famiglia Martinini:
Sebastiano e Girolamo. Il primo fu decapitato nel febbraio 1513, mentre 2º fu
rilasciato dopo una lunga detenzione.
Con la morte di Giulio II, le lotte di parte si riacutizzano
in tutta la Romagna, manifestandosi con violenze e rappresaglie continua,
aggravando le difficoltà del governo centrale che non usciva controllare gli
equilibri di potere e a consolidare il proprio dominio nella regione. Le
famiglie guelfi è ghibellini si aggregarono e si scontrarono nelle città e nei
centri minori del contado. I conflitti limitati e locali si estesero fino a
coinvolgere in una rete di solidarietà e opposizioni la maggior parte delle
comunità.
Attorno alla frazione guelfa si concentrò la nobiltà di
origine feudale che avanzava pretese di autonomia dal pontefice nei propri
piccoli Stati, in gran parte disseminati sull'Appennino e che si legò
politicamente, nei primi decenni del Cinquecento ha i francesi e agli Estensi
il ghibellini erano spesso rappresentati da membri delle oligarchie cittadine.
Non sempre però queste differenze sono distinguibili con chiarezza, così come
non lo sono le motivazioni degli interventi pontifici a favore di un reparto
dell'altra. Infatti i rappresentanti del Papa erano spesso coinvolti
personalmente nelle lotte tra gli schieramenti di famiglie e giocavano la
propria influenza per far prevalere una fazione sull'altra nella comunità.
Forlì ha risentito molto di questa instabilità che si è protratta per buona
parte del cinquecento a causa degli scontri particolarmente violenti.
I ripetuti tentativi del governo papale di evitare i
conflitti a Forlì allargando il numero dei membri del consiglio maggiore furono
inutili perché molte famiglie rimasero escluse e quindi continuò l'alternarsi
delle rappresaglie, inasprite anche vari contraddittori atteggiamenti di legati
e presidenti, sensibili alle pressioni di personaggi influenti come
l'arcivescovo ghibellino Teodoli. Le Paci che furono stipulate solennemente nel
luglio nel settembre del 1513 fra i due parentadi erano già infrante l'anno
seguente
Tornata sotto il dominio papale, Forlì costituì il centro
della Romagna pontificia. Il governo papale garantì alla città e ai suoi
abitanti un periodo di tranquilla vita civile. A questo proposito, Adamo Pasini
scrive: "Qualunque sia il giudizio che si vuol dare del governo che in
quel secolo venne a consolidarsi, sta di fatto che il cinquecento segna il
sorgere della nostra aristocrazia, della nostra edilizia, della nostra
letteratura. Dire che sono morti per la storia i tre secoli XVI, XVII e XVIII,
per dedicare dei volumi ai secoli XIII - XIV - XV, significa dare troppa
importanza alla guerra civile e poca o nessuna importanza all'economia, allo
studio, al lavoro
A riprova di quanto dice Pasini, nel 1522 nacque a Forlì un
apposito Collegio che laureava alla carica di notaio. Nel 1574, invece, venne
fondata, o forse rifondata, la prestigiosa Accademia dei Filergiti, attivo
centro di promozione degli studi[10].
Nel 1630, la città sfuggì alla peste, che pure aveva
devastato il resto d'Italia e la Romagna. La popolazione ne attribuì il merito
ad un intervento miracoloso della Madonna del Fuoco, in onore della quale venne
innalzata una colonna celebrativa nel Campo dell'Abate (oggi Piazza Saffi).
Pur tra varie vicissitudini, come il saccheggio operato
dagli austriaci nel 1708, la situazione rimase sostanzialmente immutata in pratica
fino all'Unità d'Italia, eccetto che per un breve periodo di indipendenza
politica dalla Chiesa attorno al 1797, quando divenne capoluogo del
dipartimento del Rubicone nella nuova divisione amministrativa dettata dalle
truppe di Napoleone al seguace Regno d'Italia. Tra le leggi imposte dal nuovo
codice civile napoleonico c'era la possibilità di divorzio e un cittadino di
Forlì ne fece richiesta (prima causa di divorzio a oltre 150 anni dalla legge
attuale). Inoltre, i funzionari napoleonici si occuparono di indagare gli usi e
costumi delle popolazioni sottomesse, producendo una notevole mole di dati
sulle tradizioni popolari di questa parte di Romagna. Un forlivese riuscì a
recuperare parte di quelle indagini (per la verità in gran parte provenienti da
Sarsina, ma in uso anche a Forlì) e ne pubblicò un testo che è uno dei primi
lavori sulle tradizioni romagnole, poi seguito dall'opera del Pergoli verso la
fine dell'Ottocento, che si occupò della raccolta di canti anche a Forlì e a
San Martino in strada (frazione di Forlì).
Dal punto di vista culturale, prosegue nel XVI secolo la
scuola forlivese di pittura, con autori come Francesco Menzocchi e Livio
Agresti, ma anche con i loro epigoni dei secoli successivi.
Alla fine del secolo la città cadde di nuovo in mani
straniere: nel giugno del 1796 venne conquistata dalle truppe napoleoniche.
Napoleone stesso vi fece un trionfale ingresso il 4 febbraio 1797, scelta non
casuale poiché era la festa della Madonna del Fuoco, patrona cittadina. Data la
sua posizione geografica al centro della Romagna, Forlì fu scelta come
capoluogo del Dipartimento del Rubicone, nella nuova circoscrizione
amministrativa dell'effimero Regno d'Italia napoleonico.
Tra le leggi imposte dal nuovo codice civile napoleonico vi
fu quella istitutiva del divorzio. Un cittadino di Forlì ne fece richiesta: fu
la prima causa di divorzio in Romagna, oltre 150 anni prima della legge del
1970.
I funzionari napoleonici si occuparono di indagare gli usi e
costumi delle popolazioni sottomesse, producendo una notevole mole di dati
sulle tradizioni popolari di questa parte di Romagna. Il forlivese Michele
Placucci riuscì a recuperare parte di quelle indagini (per la verità in gran
parte provenienti da Sarsina, ma in uso anche a Forlì) e ne pubblicò un testo
che è uno dei primi lavori sulle tradizioni romagnole: Usj e pregiudizj de'
contadini della Romagna (1818)[11].
Subito dopo la Restaurazione, sorge per la prima volta il
problema su quale città, tra Forlì e Ravenna, meriti il titolo di capoluogo
della Legazione di Romagna. Deve prevalere la centralità geografica e
l'importanza acquisita nella storia medievale e moderna della città di San
Mercuriale oppure la gloriosa storia della città bizantina?
Ne nasce una dura polemica che il Pontefice risolve, nel 1816,
con una mediazione: nascono sia la Legazione apostolica di Forlì sia quella di
Ravenna.
Il 1831 è l'"anno dell'anarchia" per Forlì. Pochi
mesi dopo che gli austriaci ebbero lasciato la città, i rivoluzionari ripresero
vigore. Da Roma fu inviato un esercito di cinquemila soldati per sedare la
rivolta. Il 21 gennaio 1832 la rivolta viene repressa nel sangue: 21 morti
rimangono sul terreno. Il cardinal legato Giuseppe Albani chiama le truppe
austriache, di stanza a Ferrara per ristabilire l'ordine.
Nel 1848, i circoli popolari e patriottici della Romagna,
riuniti a Forlì, approvarono il Programma formulato dall'Assemblea dei circoli
adunata in seduta generale in Forlì, steso da Aurelio Saffi, chiedendo al Papa
la costituzione.
Nella seconda metà del XIX secolo, Forlì è il maggior centro
urbano della Romagna ed è nota come "e' zitadòn" (il cittadone), la
cui prosperità deriva in larga parte dall'agricoltura - molto diffuso il tipico
contratto di mezzadria - e dal commercio del sale (tramite la via diretta verso
Cervia e le sue saline[12]), nonché dal suo posizionamento sulla strategica via
Emilia, a metà strada fra Bologna ed il mare Adriatico.
Sorgono, in questo secolo, anche diverse industrie, molte
delle quali avranno in seguito grande prestigio: la fabbrica di biliardi
(1830); la birreria di Gaetano Pasqui (1835), imprenditore noto anche per
essere stato il primo a coltivare luppolo in Italia; le fornaci, che rinnovano
l'antica tradizione forlivese della produzione di laterizi; la Becchi, per la
realizzazione di stufe in cotto divenute poi celebri, fondata ufficialmente nel
1858, anche se la produzione è già iniziata nel 1850; la Società Anonima
Bonavita per la produzione del feltro, nel suo genere unica in Italia; le
Officine Forlanini, le quali, ancora negli anni venti del Novecento sono, tra
Bologna ed Ancona, l'unico stabilimento metallurgico di una certa
importanza[13].
Non mancano personalità di spicco durante il Risorgimento:
Aurelio Saffi, repubblicano mazziniano; Piero Maroncelli, amico di Silvio Pellico
e imprigionato anch'egli per il suo ideale di un'Italia unita e libera da
dominazioni straniere o religiose; i garibaldini Antonio Fratti, Tito Pasqui e
Achille Cantoni, quest'ultimo preso da Garibaldi come protagonista del proprio
romanzo storico Cantoni, il volontario.
È da ricordare, durante la Repubblica Romana del 1849,
l'iniziativa dei banchetti patriottici, che si tengono, a suo sostegno, a
Forlì, ed è l'unico caso in tutta l'Italia: si tratta di pubblici banchetti
patriottici, che vedono una massiccia partecipazione di pubblico pagante, segno
del fervore politico dei forlivesi[14].
Nel 1852, viene fondata la polizia municipale, col nome di
"Corpo delle Guardie Municipali".
La città piange i suoi martiri della Grande Guerra, ma è con
l'ascesa del Fascismo e la seconda guerra mondiale che Forlì torna a far
parlare di sé. A 15 km dalla città, a Predappio, nasce Benito Mussolini: quando
egli diviene prima presidente del consiglio, poi duce, inevitabilmente Forlì
gode di una certa fama di ritorno, cominciando a essere presentata nella
propaganda ufficiale come "la città del Duce"[15]. Questo ha,
purtroppo, comportato conseguenze negative negli anni del dopoguerra, quando si
poté assistere, a mo' di contrappasso, a quella che uno storico ha definita un'implicita
conventio ad tacendum: tutte le volte che non fosse proprio inevitabile
citarla, Forlì non doveva essere nemmeno menzionata. Solamente con gli inizi
del nuovo secolo, il XXI, il presupposto per cui parlare di Forlì sarebbe
sintomo di nostalgie fasciste sta cominciando a cadere.
Durante il regime, comunque, Forlì si sviluppa oltre il suo
ambito territoriale ed economico tradizionale: le porte e le mura antiche sono
buttate giù per lasciar spazio ai nuovi viali delle circonvallazioni e
permettere la costruzione di nuovi quartieri all'esterno del pur ampio centro
storico; gli architetti del regime si sbizzarrirono nel progettare nuovi
edifici e agglomerati corrispondenti al gusto del momento (nuova stazione
ferroviaria, nuovo palazzo delle Poste e degli uffici statali nella centrale
piazza Saffi, viale Benito Mussolini - ora viale della Libertà); crescono le
industrie locali (Forlanini, Mangelli); nel 1936 viene inaugurato l'aeroporto
"L. Ridolfi". La popolazione tuttavia è in maggioranza di simpatie repubblicane,
socialiste o comuniste: negli anni della guerra anche molti Forlivesi
partecipano a bande partigiane: sull'appennino era stabilita l'8ª brigata
Garibaldi; famosa la banda di Silvio Corbari e Iris Versari: catturati e
fucilati insieme ai fratelli Spazzoli, i cui corpi rimasero esposti, come
monito, appesi ai lampioni di piazza Saffi. La città pagò il suo conto di vite
umane alla guerra, sopportando inoltre la perdita di inestimabili tesori
artistici, come la chiesa di San Biagio o il teatro comunale; anche la Torre
civica fu bombardata, per poi venire ricostruita in seguito. Il campanile della
Basilica di San Mercuriale venne invece risparmiato, nonostante le mine già
predisposte alla base, dai tedeschi in ritirata, alcuni pensano su precisa richiesta
del Duce stesso, ma certamente anche per la vigorosa opera del parroco
dell'epoca, che tutti i Forlivesi ricordano affettuosamente come don Pippo.
Tra i momenti tragici della guerra, va anche ricordato
l'eccidio di Forlì, nel quale, presso l'aeroporto cittadino, furono uccise 42
persone, nel settembre del 1944.
Forlì venne liberata relativamente presto, rispetto alle
altre zone del Nord Italia: il 9 novembre 1944 dopo una accanita battaglia per
il valore simbolico che Forlì aveva in quanto "città del Duce", tanto
che Hitler aveva ordinato di non cederla facilmente, le truppe alleate
britanniche ed indiane entravano in città, con l'appoggio delle brigate
partigiane[16]. Ancora oggi è presente e visitabile, quasi di fronte al
Cimitero Monumentale, il ben curato Cimitero degli Indiani, a ricordo di quanti
di loro persero la vita in questa occasione.
Ad un mese dalla liberazione, il 10 dicembre del 1944, Forlì
fu sconvolta da un bombardamento dell'aviazione tedesca, che sperimentava per
la prima volta l'effetto su un centro abitato di un nuovo tipo di bomba, la
Grossladungsbombe SB 1000, con sviluppo esplosivo orizzontale anziché a "a
imbuto" (e con la relativa mancanza del cratere)[17].
Primo sindaco della Forlì liberata fu Franco Agosto, cui
oggi è dedicato il Parco Urbano, polmone verde urbano sull'ansa che il fiume
Montone forma nei pressi di Porta Ravaldino. Per il coraggio dimostrato dalla
popolazione, il Comune è stato decorato con la medaglia d'argento al valore
militare.
Nel dopoguerra la città si è stabilizzata nelle sue attività
tradizionali legate al settore agricolo e artigianale, sviluppando una dinamica
realtà di piccole imprese artigianali o cooperative. Le sfide attuali che
affronta la comunità sono due: l'immigrazione dall'estero, fenomeno del tutto
sconosciuto, come in molte parti d'Italia, fino a non molti anni fa, e la
creazione del Polo di Forlì, parte dell'Università di Bologna, che ospita varie
facoltà (scienze politiche, economia, ingegneria, scuola per interpreti e
traduttori), in continua espansione.
Nel 1946, alle prime elezioni politiche e amministrative
tenutesi dopo il ventennio fascista, Forlì, come molte altre città della
Romagna, vede uscire dalle urne un risultato che assegna al PCI la maggioranza
relativa col 34,2 % e conferma la forza del PRI con il 32,5 %.
Rimangono sul 10% i socialisti e sul 15% i democristiani ben
lontani dai risultati nazionali.
La lista PCI-PSIUP ha la maggioranza relativa in consiglio
comunale ma all'inizio la maggioranza è formata da tutti i partiti dell'arco
costituzionale, poi, nel 1948 la DC, il PRI e i partiti di centro usciranno
dalla giunta. In questo periodo è sindaco Franco Agosto (PCI) sotto cui si
compie gran parte della ricostruzione dopo i danni della guerra e il cui nome è
ancora ricordato con molto rispetto a Forlì per le buone capacità di
amministratore dimostrate.
La maggioranza socialcomunista però non ottiene dei
risultati molto lusinghieri alle politiche del 1948 (43,3 % al fronte popolare
contro il 47 % del 1946) e la campagna elettorale per le amministrative del
1951 si svolge con la certezza della sconfitta della maggioranza.
Infatti così avviene: il PRI e i suoi alleati arrivano al
51,2 % (ottenendo il 65% dei seggi grazie al premio di maggioranza che
prevedeva la legge elettorale in vigore) mentre la sinistra si ferma al 44,2 %.
Si forma allora una giunta di centro con sindaci
repubblicani, dal 1951 al 1952 Mario Colletto poi fino al 1956 Franco Simoncini
ed infine Icilio Missiroli, che porta a termine la ricostruzione e amministra il
boom economico che investe anche Forlì alla fine degli anni cinquanta.
Però negli anni, tornando al sistema elettorale
proporzionale senza premio di maggioranza, la presenza dell'opposizione nei
banchi del consiglio comunale diventa sempre più consistente e la maggioranza
si assottiglia tanto che alle amministrative del 1960 il PRI con 10 seggi, la
dc con 8 e i socialdemocratici con 1 non hanno la forza necessaria per
raggiungere i 21 seggi necessari per re il controllo del consiglio comunale.
Missiroli, dopo aver tentato un allargamento a destra, risolve la situazione
varando la prima giunta di centro sinistra includendo il PSI che con 4
consiglieri permette la creazione di una stabile maggioranza.
Questa ridefinizione della maggioranza però è solo un palliativo
per la giunta Missiroli, infatti il PCI avanza ancora e alle politiche del 1963
giunge al 39% e alle amministrative seguenti arriva a 17 consiglieri (su 40)
con il 40,1% dei suffragi.
Così alla votazione sul bilancio del 1965, a causa del voto
contrario del PCI, del MSI e della destra liberale, la maggioranza si
disintegra e si va a nuove elezioni. Queste vedono un'ulteriore avanzata del
PCI che avrebbe i seggi per formare una maggioranza col Psi, ma questi
rifiutarono, costringendo così il governo a nominare un commissario
prefettizio.
Così iniziano i 4 anni di commissariamento ricordati ancora
oggi come un'epoca di stagnazione durante la quale l'assenza di un governo
impedì che si dessero per un lustro risposte valide alle aspettative e alle
esigenze di una città in forte crescita sociale ed economica, ma ancora in
molte zone di periferia arretrata e contadina, come era Forlì in quegli anni.
Durante i 4 anni si votò per 3 volte senza modificare lo
stallo a causa dell'assenza di una maggioranza alternativa a quella PCI-PSI che
però non si riusciva a formare per il rifiuto dei socialisti.
Poi nel 1970 i socialisti ruppero gli indugi e accettarono
un patto di alleanza col PCI e il PSIUP che permise alla sinistra di vincere le
elezioni del 7-8 giugno (PCI al 42,2%, PSI al 5,7%, PSIUP al 2,8% mentre la DC
era al 18% e i repubblicani al 21%) e formare così una stabile maggioranza con
21 seggi su 40.
La giunta di sinistra fu guidata da Angelo Satanassi del PCI
il quale come i due predecessori è ricordato con affetto a Forlì essendo stato
il primo a affrontare il problema della povertà delle periferie che in un
decennio vennero portate al livello delle condizioni di vita delle altre parti
della città e per la sua vicinanza alla gente comune.
La maggioranza fu riconfermata nel 1975 con un grande
successo del PCI che toccò il massimo storico col 47,7%.
Nel secondo mandato Satanassi affrontò invece la gravissima
crisi del polo industriale di Forlì che patì le difficoltà dell'industria
pesante a fine anni settanta e lasciò sul lastrico migliaia di operai
licenziati.
Nel 1979 Satanassi fu eletto alla Camera e lasciò il posto
di sindaco a Giorgio Zanniboni, anch'egli del PCI. Nonostante la grave crisi
economica presente in città e le difficoltà nazionali della sinistra Zanniboni
fu rieletto nel 1980 e poi ancora nel 1985 (col PCI al 44,3% e il PSI all'8,2%
stabili come maggioranza e la DC e il PRI lontani, rispettivamente al 19,5% e
al 16,9%)
Questo secondo mandato che avrebbe potuto essere difficile
per il sindaco in carica a causa dello scontro nazionale tra il PSI craxiano e
il PCI che si ripercuoteva anche a livello locale con la crisi di alcune giunte
di sinistra fatte cadere dal PSI, si rivelò invece molto facile sul piano
politico con la maggioranza molto salda e addirittura allargata al PRI e molto
felice per la città che, uscita della crisi economica, mutata da città
prevalentemente contadina e operaia a città del terziario e dei servizi,
raggiunse un forte grado di prosperità economica sostenuto anche da un alto
livello di servizi.
Alle amministrative del 1990 venne eletto l'ultimo sindaco
comunista, Sauro Sedioli (il quale già l'anno prima aveva sostituito Zanniboni
passato ad altri incarichi) sostenuto dalla medesima maggioranza del
predecessore. La maggioranza, confermatasi alle politiche del 1992 con ampio
margine (PDS al 31,3%, PRI al 15,7%, e Psi all'8%), riuscì a sopravvivere
indenne a tangentopoli nonostante lo sbriciolamento dei socialisti e la crisi
dei repubblicani e chiuse il mandato sostanzialmente integra con pochi
componenti inquisiti e quasi tutti quelli inquisiti scagionati delle accuse.
Nel 1995 si votò per la prima volta con il nuovo sistema
elettorale e la coalizione di sinistra sostenuta anche dai resti del PRI
guidata da Franco Rusticali ottenne la vittoria con un ampio margine.
Nel 1999 Rusticali fu rieletto col 56.7 % battendo vari
candidati tra cui Stefano Gagliardi di Forza Italia fermo al 18,9 %, un
candidato di Alleanza Nazionale che ottenne il 10 % e uno della Lega Nord, il
futuro segretario della Lega Nord Romagna e deputato Gianluca Pini che si fermò
appena al 2%. Anche in questo caso il PRI (oramai sceso al 6,6%) dei voti
sostenne la coalizione di centro-sinistra mentre i Verdi e Rifondazione
Comunista si presentarono con due liste separate ottenendo rispettivamente il
4,5 e il 3,8% dei voti.
Durante il periodo della seconda giunta Rusticali, l'Azienda
Sanitaria Locale di Forlì iniziò la costruzione del nuovo ospedale di Forlì,
ritenuto uno dei più avanzati in Italia, completata nel 2004.
Nel 2004 il centro-sinistra ha candidato Nadia Masini (DS)
contro il noto giornalista sportivo Marino Bartoletti candidato del centro
destra. La Masini ha vinto col 58,7 % contro il 36 % di Bartoletti.
La giunta Masini è ricordata per gli scontri interni alla
maggioranza che hanno provocato la fuoriuscita dei Verdi e del PRI dalla
maggioranza stessa nonché per le divisioni sorte all'interno del partito del
sindaco (il PD) poi sfociate nelle primarie del 2008. Per quanto riguarda il
governo della città la giunta si è impegnata nella promozione su scala
nazionale di Forlì ad esempio con la creazione del complesso museale del S.
Domenico. È da ricordare anche l'impegno per il miglioramento della viabilità
cittadina e l'avvio del lavori del sistema tangenziale.
Le elezioni 2008 hanno visto a Forlì confermarsi la forza
del PD al 46,26 % e le difficoltà del PDL al 29,54 % mentre hanno visto una
forte avanzata della Lega Nord al 6,66 % (+ 3 %) e dell'Italia dei Valori al
4,25 % (+ 2,5 %) e la contemporanea scomparsa della sinistra radicale ferma al
2,7 %.
Per decidere il candidato sindaco per le comunali 2009 il PD
ha svolto le primarie tra Nadia Masini e Roberto Balzani. Dopo una campagna
elettorale abbastanza accesa ha trionfato per 44 voti Balzani.
Il centro destra ha opposto a Balzani Alessandro Rondoni
giornalista vicino a Comunione e Liberazione sostenuto da PDL, Lega, UDC e
Fiamma Tricolore.
Nonostante i toni pacati dei 2 sfidanti la campagna
elettorale è stata molto accesa con duri scontri su tematiche che spaziavano
dal centro storico, alla sicurezza, all'immigrazione passando per le accuse di
stalinismo, disonestà, fascismo e razzismo che le forze in campo si sono
lanciate.
Dopo aver mancato la vittoria al primo turno per 600 voti
fermandosi al 49,4 % contro il 40,3 % del rivale, Roberto Balzani ha vinto il
ballottaggio col 55%.
In consiglio comunale la maggioranza è composta da 22 seggi
del PD e 2 dell'IDV mentre l'opposizione conta 9 seggi del PDL, 3 della Lega
Nord, 3 dell'UDC e 1 della lista civica DestinAzione Forlì.
Alle elezioni europee invece si è confermata la maggioranza
relativa del PD calato però al 40,3%, la crescita della Lega al 10 % e dell'IDV
al 6,7% mentre il PDL e l'UDC sono rimasti stabili e la sinistra radicale è
ricomparsa oltre il 3 % raggiungendo nell'insieme delle due liste il 4,14 %.
Le regionali 2010 hanno sostanzialmente confermato questa
situazione col PD stabile al 40,2%, la sinistra e l'IDV in leggero calo
rispettivamente al 6,4% e al 3,8% mentre a destra sono scesi il PDL (al 27,5%)
e l'UDC (al 3,3%) con il contestuale rafforzamento della Lega al 13,1%. Una
forte affermazione è stata ottenuta dalla lista DestinAzione Forlì collegata al
Movimento 5 stelle-Beppe Grillo che ha toccato il 5,6% dei consensi.
Negli ultimi anni si è consumato anche il lento declino del
Partito Repubblicano che, indebolito dalle continue fuoriuscite verso Forza
Italia o i Democratici di Sinistra e scissione delle sue diverse anime in seno
allo scontro tra destra e sinistra interne, è crollato vertiginosamente nei
consensi scendendo al 4,9% del 2004 e al 2,3% del 2009 perdendo anche, per la
prima volta dopo 63 anni, la presenza in consiglio comunale.
Forlì sorge nella pianura padana, più precisamente in
Romagna, a 5 km di distanza dalle prime colline del Preappennino
Tosco-Romagnolo e a circa 26 km dalla riviera adriatica. La periferia è bagnata
dal fiume Montone, che presso il quartiere Vecchiazzano riceve le acque del
fiume Rabbi, per poi lambire le mura urbane presso Porta Schiavonia, e dal
fiume Ronco che attraversa l'omonimo quartiere periferico della città.
Nel bacino dei Fiumi Uniti le rocce tendono a divenire
sempre più recenti procedendo da monte verso valle. Quelle più antiche di
origine locale sono, infatti, rappresentate dal macigno, una potente
successione di banchi arenarici con intercalazioni marnose, formatisi tra i 37
e i 18 milioni di anni fa, affiorante nel crinale appenninico. Nella montagna e
nella collina domina invece la formazione marnoso-arenarica, sedimentatasi tra
i 15 e i 7 milioni di anni fa. Durante l'accumulo di questa formazione, dello
spessore di 5300 m, la profondità del fondo marino veniva mantenuta
praticamente costante da una progressiva subsidenza.
Verso la fine del miocene medio, cessata la subsidenza, il
braccio di mare in esame tende a colmarsi, inizia al di sotto delle profondità
marine il corrugamento delle rocce sedimentate e pervengono nelle aree
romagnole le prime coltri alloctone. Esse prendono nome di liguridi, perché il
loro nucleo principale si è formato nel dominio ligure durante il cretaceo.
Queste rocce, a casa dei successivi movimenti, sono ridotte in uno stato
caotico e hanno trascinato con sé anche formazioni più recenti depositatisi su
di esse durante le varie stasi del movimento. Nel Comune di Forlì solo un
modesto lembo alloctono affiora attualmente sulla riva destra del fiume Ronco.
Nel miocene superiore, circa di 5 milioni di anni fa,
l'orogenesi e il concomitante abbassamento del livello marino, conseguente al
disseccamento del Mediterraneo in seguito alla chiusura dello stretto di
Gibilterra, hanno determinato una vasta emersione di terre. Le aree montane e
collinari erano solcate da corsi d'acqua, che hanno dato origine ai depositi
deltizi che si trovano a monte del Comune di Forlì al confine con quello di
Predappio. Laghi e lagune occupavano le parti più depresse del territorio e,
specie queste ultime, erano soggette a forti e prolungate evaporazioni, che
hanno dato origine alle rocce della formazione gessoso-solfifera, tipiche
ancora oggi delle zone collinari. Nelle terre emerse vi verdeggiava una ricca
flora, ed era popolata da cavalli, carnivori, insettivori, scimmie, uccelli e
rettili, tutti animali di cui sono pervenute resti fossili.
All'inizio del Pliocene, ristabilitesi definitivamente le comunicazioni
tra Mediterraneo e oceano Atlantico, un mare ricco di vita vegetale, il mare è
tornato ad avanzare fino alle attuali aree di bassa collina ed ha abbandonato
sedimenti argillosi e sabbiosi a seconda dei luoghi e delle profondità. In
questo periodo si è depositato anche lo spungone, pietra tipica locale,
costituita da un calcare del Pliocene inferiore medio, prodotto da una
scogliera sottomarina ricca di vita.
Durante il Pliocene superiore e gran parte del pleistocene
inferiore, con cui inizia circa 1,8 milioni di anni fa l'era quaternaria,
continua nella bassa collina la sedimentazione dell'argille marine il cui
inizio della nuova era è indicato dalla comparsa di fossili, testimoniante il
raffreddamento del Mediterraneo. Successivamente la profondità del mare è
progressivamente diminuito fino a dare luogo nella zona precollinare, tra 1,45
e 1,1 milioni di anni fa, alla spiaggia delle sabbie gialle, interrotta qua e
là dai delta dei fiumi appenninici. Sulle terre emerse allora crescevano
rigogliose vegetazioni arboree e il mare era ricco di molluschi e di altri
organismi. Alla fine del pleistocene inferiore lungo questa costa vivevano gli
homo erectus, che hanno lasciato numerosi reperti nella zona del Monte
Poggiolo.
Alla fine del pleistocene medio, su una superficie di
erosione raccordante la pianura all'antica superficie collinare, si è venuto
formando un livello di limi di origine eolica, definiti loess,[6] attribuibile
alla glaciazione rissiana, terminata circa 150.000 anni fa. L'ambiente era allora
arido e piuttosto freddo, ed il suolo coperto da piante erbacee e da rari
alberi, grossi erbivori (elefanti, rinoceronti, bisonti) che erano preda di
piccoli gruppi di cacciatori nomadi.
Durante l'ultima parte dell'era quaternaria i fenomeni
erosivi hanno completato il modellamento attuale del rilievo collinare e
montano, in cui dominano forme di tipo piramidale negli affioramenti della
formazione marnoso-arenacea e dolci ondulazioni della collina argillosa, spesso
interrotte da ripidi ventagli di vallecole dei calanchi. Contemporaneamente
nella pianura si sono formate potenti coltri alluvionali in seguito al deposito
di sedimenti erosivi dei rilievi e trasportati dei fiumi nelle parti depresse
del territorio. Al di sotto di Forlì, il loro spessore è superiore a 200 m.
Anche nelle pendici collinari montane i corsi d'acqua hanno lasciato tracce
della loro attività di sedimentazione.
Il clima di Forlì è condizionato dalla sua posizione
geografica, vicina alla costa del mare Adriatico, al margine meridionale della
Pianura padana e a ridosso del crinale appenninico, il quale, insieme ai
contrafforti montani tra le valli, orientate da sud-ovest a nord-est, influenza
notevolmente l'andamento dei venti al suolo.
Il mese più freddo, gennaio, ha una temperatura media di 3,1
°C, mentre quello più caldo, luglio, ha una temperatura media di 24,7 °C. La
temperatura più alta registrata a Forlì è stata di +39,3 °C nel 2000 mentre
quella più bassa è di -19,0 °C registrata nel gennaio del 1985.
L'escursione annua, data dalla differenza tra la temperatura
media del mese più caldo è quello del mese più freddo, oscilla tra i 18 ed i 23
°C.
Le precipitazioni medie annue di Forlì sono all'incirca di
745 mm di pioggia, ed il numero di giorni piovosi è in media di 75. Le piogge sono
distribuite in modo piuttosto regolare durante l'anno, con valori massimi in
novembre (79 mm) e minimi in gennaio (38 mm), febbraio e luglio (40 mm).
Il fenomeno della nebbia si presenta regolarmente ogni anno,
soprattutto nei mesi invernali, o a fine autunno, manifestandosi a diversi
livelli di intensità e di frequenza con prevalente accentuazione delle zone di
pianura nelle depressioni morfologiche e diradandosi più a sud a partire dalle
propaggini appenniniche.
A Forlì predominano i venti di nord-ovest, di est e di
sud-ovest. In primavera, in estate e l'autunno prevalgono venti da est, in
inverno quelli da nord-ovest.
La Venere di Schiavonia, dal nome del rione cittadino presso
la quale fu rinvenuta. È il reperto più prezioso di età romana rinvenuto in
città
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