Le Architetture civili a Forlì ed altri informazioni
Casa Palmeggiani
Case Maldenti
Palazzo dell'ex collegio aeronautico
Palazzo delle Poste
Palazzo degli uffici statali
Palazzo Hercolani
Palazzo Paolucci de Calboli
Palazzo Paulucci di Calboli dall'Aste
Palazzo Piazza Paulucci
Palazzo Sangiorgi
Palazzo Merlini
Palazzo Morattini
Palazzo Sassi Masini
Palazzo dei Signori della Missione
Palazzo Benzi
Palazzo Savorelli Prati
Palazzo Monsignani
Nel Novecento, larga parte dell'architettura forlivese è stata segnata dagli interventi del fascismo. Per questo, la città partecipa, come capofila, al progetto europeo "ATRIUM", che ha "come obiettivo principale quello di indagare e gestire il patrimonio architettonico, archivistico ed immateriale dei regimi del ‘900, per la costruzione di un itinerario culturale transazionale, con l'obiettivo di ottenere il riconoscimento di “Rotta Culturale europea""[32].
Un posto a sé, per l'importanza sia religiosa sia civile, meritano i cimiteri:
Cimitero Monumentale di Forlì
Cimitero degli Indiani
Cimitero degli inglesi
Le Mura
Resti della cinta muraria
Come in numerose altre città italiane, a Forlì le mura cittadine furono quasi totalmente rase al suolo all'inizio del '900 per poter liberare nuovi spazi da dedicare all'edilizia e permettere lo sviluppo della città al di fuori dell'antico nucleo cittadino. La demolizione delle mura fu quasi totale, e solo alcuni tratti dell'antica cinta muraria tuttora sopravvivono. Lo spazio liberato ha fornito la superficie per l'edificazione di tratti stradali che oggi costituiscono i viali di circonvallazione.
Porta Schiavonia, l'unica ad essere sopravvissuta
Sebbene non ne sia rimasta traccia, è ovvio pensare che la Forlì dell'epoca romana fosse cinta da una cerchia difensiva e che fosse possibile accedere all'interno della città attraverso specifiche porte o quantomeno attraverso valichi sorvegliati. Non è possibile indagare sia l'evoluzione che la struttura della primitiva cerchia difensiva, così come non è possibile identificare il sistema difensivo nell'alto medioevo, se non ipotizzare, tramite i toponimi locali sopravvissuti, il percorso delle mura e la localizzazione delle porte medievali. Per citare un esempio, la tradizione tramanda il nome di porta Merlonia, vivente nel nome della via che da essa prese il nome, probabile porta della cerchia muraria altomedievale. È comunque necessario precisare che, con il passare delle epoche e a seconda delle esigenze del momento, era abbastanza comune aprire nuove porte e chiuderne altre, a seconda delle necessità. Così facendo di molte porte si è perso il ricordo, di altre rimane il toponimo e solo delle più importanti e delle più fortunate permane il nome, la descrizione o la struttura.
Secondo la Descriptio Romandiolae del cardinale Anglico de Grimoard nella città di Forlì sunt quatuor porte magistre, que custodiuntur: Ravaldini, Cudignorum, San Petri, Clavanie... Ma nella toponomastica antica di Forlì si comprendevano i nomi di altre porte che Francesco Ordelaffi fece abbattere o rinforzare: Porta Merlonia, Porta San Biagio (poi chiamata Santa Chiara e chiusa nel 1356 da Francesco Ordelaffi) e Porta della Rotta, tutte queste facenti parte dell'antico circuito difensivo romano. In epoca alto-medievale, con l'ampliamento della cinta muraria, vennero aperte nuove porte. Vengono tramandati i nomi di Porta Liviense, Porta di Santa Croce e Porta San Mercuriale.
Le porte che si aprivano ad occidente del ponte dei Morattini, in direzione Faenza, erano due: Porta Liviense (detta anche Valeriana), che sorgeva in fondo a via dei Battuti Verdi e attraverso la quale passava l'antica via Consolare, e Porta Schiavonia. La prima venne chiusa da Francesco Ordelaffi nel 1356 durante l'assedio dell'Albornoz e, in tale occasione, venne anche abbattuto il ponte che varcava il fiume Montone. Né la porta né il ponte furono mai più riaperti, così l'antico percorso della strada consolare fu dirottato in direzione di Porta Schiavonia.
Le porte più importanti, che hanno segnato la storia della città e sono legate alla cinta muraria eretta tra la metà del XV secolo e gli inizi del XVI sono quattro: Porta Schiavonia, Porta San Pietro, Porta Cotogni e Porta Ravaldino. Di queste, solo Porta Schiavonia è arrivata ai nostri giorni.
Porta San Pietro
Barriera Mazzini, primi del '900
Porta San Pietro
Collocata sulla strada per Ravenna, sorgeva in fondo all'attuale Corso Giuseppe Mazzini, un tempo chiamato Borgo San Pietro. Presentava una vera e propria rocca fortificata e in questa furono tenuti prigionieri Caterina Sforza e i suoi figli dai congiurati che avevano assassinato Girolamo Riario.
La porta si apriva su uno dei contrafforti delle mura e la rocca, posta al suo fianco, rafforzava la sorveglianza sulla porta. La rocchetta, di cui si ignora la data di costruzione, era il baluardo del lato settentrionale della città e già nel XIV secolo la porta si ergeva con il nome derivante dalla vicina chiesa di San Pietro in Scottis, oggi scomparsa. Nel 1360 la porta fu parzialmente demolita dall'arrivo dell'Albornoz, mentre rimaneva attiva la rocchetta che ospitò Caterina Sforza nel 1488 dopo l'uccisione di Riario ordita dalla famiglia Orselli. Ulteriormente atterrata poi nel 1741,[33] rimase intatto solo il mastio della rocchetta. Si sa che nel 1764 la porta vera e propria era murata e l'ingresso avveniva direttamente attraverso un'apertura effettuata nella rocca che fungeva da porta civica. Nel 1862 gli ultimi avanzi della porta e la rocchetta furono demoliti per far posto alla nuova porta urbana, definita Barriera Mazzini, che l'ingegnere Callimaco Missirini, costruitala a spese del comune, disegnò in forme neoclassiche e che fu aperta al transito il 5 giugno 1864. Venne utilizzata come sala d'attesa per la tramvia che univa Ravenna a Meldola e, dal 1901, fu usata come ufficio postale. Questa porta fu completamente rasa al suolo nel primo bombardamento aereo subito dalla città nella seconda guerra mondiale il 19 maggio 1944[34] e non venne più ricostruita.
È importante notare come in tempi più antichi l'uscita in direzione di Ravenna avveniva tramite la Porta di Santa Chiara, di cui oggi rimane solo un piazzale ad essa dedicato.
Porta Cotogni
La porta sorgeva su quella che era chiamata Strada petrosa - poi Borgo Cotogni, più recentemente Corso Vittorio Emanuele e attualmente Corso della Repubblica - ed era a sorveglianza della strada in direzione di Cesena. Fino ai primi anni del XX secolo ospitava la porta daziaria, per poi essere sostituita, durante il Ventennio, dagli edifici gemelli Bazzani e Benini.
Le cronache ricordano come spesso le parate e i solenni ingressi in città avvenivano per porta Cotogni; fra questi l'ingresso di Giulio II e dei Riario. Fino al 1825 presso la porta era collocato il busto del cardinale Stefano Augustini, ora collocato presso la pinacoteca.
La Barriera e gli annessi fabbricati vennero costruiti su disegno dell'architetto Giacomo Santarelli nel 1825, in seguito alla demolizione dell'antica Porta Cotogni, ed assunse il nome di Barriera Vittorio Emanuele con funzione di porta daziaria.
Nel 1906, con l'avvio degli scavi per la costruzione degli impianti dell'acquedotto, vennero scoperti i resti e le fondamenta del torrione e delle aree vicine fortificate.
Porta Ravaldino
Porta Ravaldino
Era la porta che si apriva in direzione di San Martino in Strada e, da lì, verso Firenze. La porta si trovava alla fine dell'attuale Corso Diaz, ma fino al '300 la cinta muraria era più arretrata e quindi la porta si trovava circa a metà dell'attuale corso e si chiamava Porta Merlonia. Tra Ottocento e Novecento ebbe anche il nome di Barriera Aurelio Saffi.
Al termine di corso Diaz, sul lato sinistro, sorgeva una rocca, detta Rocca Vecchia, perché in seguito demolita ad eccezione di un torrione che sopravvisse fino al '600. È probabile che fosse chiamato anche Ravaldino, da cui il nome della porta e della rocca, che tuttora esiste, e che si chiama Rocca di Ravaldino. Fonti diverse[35] affermano che il nome deriverebbe dal castello che sorgeva nell'attuale frazione di Ravaldino in Monte, a circa 10 km dalla città.
Secondo la cronaca del Novacula la porta fu edificata nel 1494 per volere di Caterina Sforza che investì il consiglio degli anziani dell'esecuzione dell'opera. La costruzione della porta, con la tracciatura di un fosso che giungeva fino alla Torre dei quadri, si rese necessaria in occasione del campo posto dai francesi presso San Martino ed in altre frazioni vicine.
La porta fu poi lasciata andare in disuso e, non più soggetta a manutenzione, cominciò a crollare. Nel terremoto del 1870 subì ulteriori danni e, diventata pericolante nonché pericolosa, se ne decise l'atterramento della parte centrale. Vennero lasciati in piedi i fabbricati necessari a mantenere attivi gli uffici daziari, sostituiti dalla nuova barriera, chiamata Barriera Saffi, edificata nel 1874 su disegno dell'ingegnere Gustavo Guerrini.
A cavallo poi degli anni trenta, fu demolita anche la barriera per sistemare il palazzo secondo le linee del piano regolatore che prevedevano un ampliamento della città oltre i confini della vecchia cinta.
Porta Schiavonia prima del 1903. La fotografia risale a prima di quell'anno perché la città è ancora cinta dalle sue mura che furono abbattute nel 1903
Porta Schiavonia
Unica porta sopravvissuta al tempo sorvegliava la strada in direzione di Faenza. In passato era affiancata da torrioni che la proteggevano. È probabile che sorga sul luogo dove anche l'antica città romana apriva la propria strada in direzione di Faenza, anche se è stata più volte rimaneggiata e riedificata. L'attuale struttura risale al 1743 anche se nei primi del Novecento ne sono state abbattute alcune strutture come l'androne retrostante.
Altri luoghi d'interesse
Piazza Aurelio Saffi[
Abbazia di San Mercuriale
Forlì, Piazza Saffi
Ai tempi del forum romano, la piazza Aurelio Saffi era solo un largo spazio ai confini della centuriazione, lungo la via Emilia verso Rimini.
Diventa, come è tutt'oggi, luogo centrale della città nel Medioevo, con il nome di Campo dell'Abate (il riferimento è all'Abbazia di San Mercuriale) e poi di piazza Maggiore.
Dopo l'unificazione d'Italia, viene dedicata a Vittorio Emanuele II e di seguito ad Aurelio Saffi, sostituendo la colonna della Madonna (spostata presso il duomo) con un monumento dedicato a Saffi. Al termine della seconda guerra mondiale, durante la permanenza delle truppe anglo-americane a Forlì (successiva alla liberazione della città dai nazi-fascisti), la piazza è ribattezzata St. Andrew's Square ("piazza di S. Andrea"). Con il ritorno alla normalità, i danni della guerra furono risanati e fu ripristinato il monumento a Saffi andato distrutto durante i bombardamenti.
Il risultato è una piazza che Antonio Paolucci ha definito "uno scenario metafisico alla Giorgio De Chirico".
Sulla piazza si affacciano:
La romanica Chiesa di San Mercuriale, che costituisce, insieme con il suo altissimo campanile, il monumento simbolo della città
Il Palazzo delle Poste
Il Palazzo Comunale, dalle mura dense di storia e di arte
Il Palazzo del Podestà
Il Palazzo Albertini.
Via delle Torri[modifica | modifica wikitesto]
Si tratta della strada che collega piazza Saffi con piazza Ordelaffi e piazza del Duomo, costeggiando il lato settentrionale del Palazzo del Comune. Percorrerla verso oriente, concede una suggestiva vista sull'Abbazia di San Mercuriale, mentre, nell'altro senso, la via prospetta sulla Chiesa del Corpus Domini, con l'attiguo Monastero.
Presso il Palazzo della Prefettura, sullo stesso lato, la via si apre sulla piazza delle Erbe, con il suo mercato agricolo alimentare
Piazza Ordelaffi, con l'illuminazione tricolore di palazzo Piazza Paulucci.
Piazza del Duomo/piazza Ordelaffi: i due spiazzi contigui sono sovrastati dalla fabbrica del Duomo, già chiesa di Santa Croce, la cattedrale cittadina.
A nord di piazza Ordelaffi si trova l'imponente palazzo Piazza Paulucci o Paulucci-Piazza, dal nome delle due antiche famiglie nobiliari già sue proprietarie, ora sede della Prefettura: si tratta di un palazzo del XVII secolo costruito in modo da ricordare il Palazzo del Laterano e il Palazzo Farnese, a Roma.
Al centro di piazza del Duomo si erge la colonna votiva della Madonna del Fuoco, protettrice della città; fu eretta originariamente in piazza Saffi, da dove fu spostata alla fine dell'Ottocento per lasciar posto al monumento commemorativo del patriota forlivese Aurelio Saffi.
Il 1º maggio 2007, una parte di piazza del Duomo ha preso il nome di piazza Giovanni Paolo II, in ricordo della visita che il Papa fece a Forlì l'8 maggio 1986.
Il Corso della Repubblica, forse la principale strada moderna della città, costituisce il ramo della via Emilia verso est interno al centro storico. È la spina dorsale del rione chiamato tradizionalmente "Borgo Cotogni" per un antico insediamento dei Goti (da "Gotogni") che vi si erano stanziati nel V secolo. Appare come un lungo rettilineo di aspetto moderno, al termine del quale si scorge l'obelisco del monumento ai caduti di piazzale della Vittoria. Negli anni 30 si chiamava corso Vittorio Emanuele.
Proprio all'inizio del corso, quasi ancora in piazza Saffi, si nota la bella mole, di pianta ellittica, della Chiesa di Santa Maria della Visitazione, meglio conosciuta come Chiesa del Suffragio.
Vi sorge anche, poco più avanti sul lato opposto, la barocca chiesa di Santa Lucia, protettrice della vista e festeggiata il 13 dicembre.
Vi si affacciano anche la biblioteca comunale (con la raccolta storica Piancastelli)[37] e la sede dei principali musei comunali, compresa la pinacoteca nell'imponente palazzo Merenda, già sede dell'antico ospedale cittadino. Sempre nel palazzo del Merenda nelle sale dell'armeria Albicini sono visibili affreschi (1924) del pittore forlivese Francesco Olivucci (1899-1984).
In Corso della Repubblica si trova anche la prestigiosa Scuola superiore di lingue moderne per interpreti e traduttori, facoltà dell'Università di Bologna.
Forse l'unico complesso realizzato a Forlì nel Dopoguerra da un maestro internazionale dell'architettura è L'Hotel della Città et de la Ville con il Centro Studi Fondazione Livio e Maria Garzanti. È opera dell'architetto milanese Giò Ponti su incarico di Aldo Garzanti, il famoso editore. Progettato nel 1953 e terminato nel 1957 è, con i suoi spioventi invertiti, le finestre esagonali, gli spazi aperti ed il respiro fra i corpi, un'icona degli anni cinquanta.
Questo corso, via di porticati e negozi, congiunge piazza Saffi con la via Ravegnana (per Ravenna), verso nord, dove un tempo sorgeva la Porta di San Pietro. L'antica chiesa, ora scomparsa, di San Pietro in Scottis, rifugio per pellegrini scozzesi, dà nome al rione "San Pietro".
Appena imboccato il Corso, provenendo da piazza Saffi, dopo il Palazzo degli Uffici Statali si trova, in una via a sinistra, la Torre Numai, ricordo di un'antica famiglia nobiliare.
Importante è la Chiesa del Carmine, che ospita il convento dei carmelitani: l'ingresso presenta un pregevole fregio in marmo d'Istria, in origine abbellimento dell'entrata del Duomo.
Si tratta del corso più lungo, che da piazza Saffi arriva a Porta Schiavonia e costituisce la parte di via Emilia verso ovest, cioè verso Faenza e Bologna, attraversando la zona più antica della città, dove notevoli palazzi signorili si sono conservati fino a oggi. È la strada più antica della città, attorno alla quale Forlì ha cominciato a svilupparsi. Il nome "Schiavonia", ampliato tuttora all'intero rione (il vecchio "Borgo Schiavonia"), deriva dal ricordo degli schiavi forlivesi deportati in Spagna dal barbaro Alarico e liberati dal vescovo Mercuriale. Per magnificare l'epopea risorgimentale, su proposta dell'onorevole forlivese Tito Pasqui, il corso fu poi dedicato a Giuseppe Garibaldi.
Chiesa di Sant'Antonio Vecchio
Questo corso porta da piazza Saffi al piazzale di Porta Ravaldino (porta non più esistente), e al viale dell'Appennino che, verso sud, collega la città a Predappio e Castrocaro Terme, dirigendosi poi a Firenze. È l'asse portante del rione "Ravaldino", nome di origine incerta, ma noto fin dal Medioevo. Esiste, nelle prime colline forlivesi, anche una località chiamata "Ravaldino in Monte".
Vicino al centro sorge il palazzo Orsi Mangelli
Sempre all'inizio del Corso, si trova il Teatro Comunale intitolato al drammaturgo forlivese Diego Fabbri.
Più avanti, si trova la Chiesa di Sant'Antonio Vecchio (secolo X), oggi Sacrario dei Caduti
Interessante è anche la Chiesa di Sant'Antonio Abate in Ravaldino, degli inizi del XVIII secolo, che ospita, tra altri bei dipinti e statue lignee, una Visitazione di Marco Palmezzano; si segnala anche un organo di Alessio Verati.
Il tratto finale affianca la possente Rocca di Ravaldino, cittadella centrale nel sistema difensivo delle mura medievali già ai tempi degli Ordelaffi e centro di governo, in particolare sotto Caterina Sforza: la Rocca fu il principale teatro dello scontro con le truppe francesi e pontificie di Cesare Borgia. Ne L'Arte della Guerra, Machiavelli descrive la Rocca così: "Era tutta quella fortezza piena di luoghi da ritirarsi dall'uno nell'altro, perché vi era prima la cittadella, da quella alla rocca era uno fosso, in modo che vi si passava per uno ponte levatoio; la rocca era partita in tre parti, e ogni parte era divisa con fossi e con acque dall'altra, e con ponti da quello luogo a quell'altro si passava".
In questa via abitava il senatore Roberto Ruffilli dove nella sua casa venne ucciso dalle brigate rosse del partito comunista combattente.
Proseguendo per corso della Repubblica da piazza Aurelio Saffi si arriva al piazzale della Vittoria, che funge sia da grande rotatoria sia da svincolo tra Corso della Repubblica, Viale Roma, Via Corridoni, Viale Matteotti e Viale della Libertà. Al centro emerge su un'alta colonna il monumento ai caduti, costruito nel 1932. Sul piazzale si affaccia il palazzo dell'ex collegio aeronautico, in stile razionalista, ora adibito a scuole. Ai due lati dell'imbocco di corso della Repubblica vi sono le Palazzine gemelle, costruite nel 1933. Vi si affaccia anche la facoltà di economia dell'Università di Bologna e l'istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. Dal piazzale inoltre, si accede all'ingresso monumentale del parco della Resistenza.
Proseguendo dal piazzale della Vittoria verso la stazione ferroviaria si attraversa il viale della Libertà. Con una larghezza di quaranta metri e l'orientamento perpendicolare alla Via Emilia, presenta una nutrita rappresentanza di edifici che costituiscono importanti esempi dei vari stili architettonici del Ventennio.
Palazzi di interesse architettonico ubicati sul viale:
Case economiche per i postelegrafonici
Case economiche dei ferrovieri
Villino Boni
Scuola primaria Edmondo De Amicis
Sede dell'Istituto tecnico industriale
Ex Casa del Balilla
Palazzo dell'ex collegio aeronautico
Prima dell'abbattimento della cinta muraria una consistente area a ridosso delle mura formava un anello, interno le mura stesse, quasi completo a 360°, di verde pubblico destinato alla coltivazione. Questi orti, presenti nel medioevo, dovevano fornire l'area necessaria per essere coltivati e quindi produrre il sostentamento necessario in caso di eventuale assedio della città. Quest'area verde per la città si è sempre mantenuta fino all'inizio del novecento quando, decidendo di ampliare città oltre le mura, cominciarono ad essere edificate. Oggi di questi orti rimangono solo pochi tratti.
Il territorio comunale e cittadino è comunque decisamente ricco di piccole aree verdi e di quattro grandi parchi pubblici:
Parco di via Dragoni
Parco della Resistenza
Parco Urbano Franco Agosto
Parco Paul Harris
Sul territorio comunale sono tuttora presenti molte vecchie piante di gelso, ultimi testimoni di un periodo in cui questo tipo di albero era molto diffuso. Le sue foglie fatte venivano raccolte utilizzate per nutrire i bachi, il cui allevamento era fiorente ed alimentava la solida industria della seta.
alcune strade cittadine ed altre extraurbane sono poi caratterizzate ai lati da filari di alberi, come quelle della via lughese (la strada che conduce a Lugo) e le Via cervese (la strada che conduce a Cervia), anche se da anni tale alberatura e messe in discussione per motivi di sicurezza stradale.
In base alla legge regionale 2 / 1977 sono stati individuati anche alcuni alberi monumentali di pregio, tra cui una roverella di oltre duecento anni, 3 pioppi neri di oltre 130 anni ed un platano orientale di oltre 170 anni di età. Quest'ultimo è in realtà l'albero più noto, ammirato e conosciuto ed è ricordato come l'albero di Giosuè Carducci. Dagli alberi degni di nota possono essere ricordate anche 2 piante da frutto: un giuggiolo secolare ed una pianta di albicocco di sessant'anni.
Vi sono poi 3 relitti boschivi di notevole importanza naturalistica presente nel territorio comunale. Il più importante è la Selva di Ladino, di proprietà del Comune, e considerata la superstite della Selva Litana. L'integrità di tale bosco è comunque minato dalla strada provinciale (via del partigiano) che la taglia in 2. La Selva di Ladino è un'area boschiva di circa 5 ettari con reverenza di roverelle, il cui ultimo taglio risale al 1946, di altezza media di oltre 15 metri. La Selva di Ladino si fonda con la vegetazione spontanea del vicino fiume Montone, costituendo un sito naturalistico botanico di notevole importanza e riconosciuto come Sito di Importanza Comunitaria (S. I.C.).
Vi è un altro piccolo bosco che si trova nella frazione di Ravaldino in Monte più giovane di quello di Ladino.
un 3º sito boschivo è un querceto che si trova a Farazzano, al confine con il territorio di Meldola che possiede cerri di circa 80 anni di età.
Un parco di notevole interesse naturalistico è l'oasi di protezione di Magliano, istituita nel 1984 dall'amministrazione provinciale per la salvaguardia dell'avifauna acquatica. Quest'area si estende per 680 ettari ed è compresa tra i comuni di Forlì, Forlimpopoli e Bertinoro.
Uno spazio verde poco conosciuto è quello che si trova sulle sponde del fiume Ronco e che viene chiamato Ronco lido. Ai primi dell'Ottocento i forlivesi, che non avevano in mare vicino, pensarono di utilizzare le sponde del fiume quale surrogato del mare. Vennero così costruiti sulla sponda del fiume un'area balneabile costituito da una piccola spiaggia, una strada i piccoli stabilimenti balneari.
La più antica fonte dalla quale sia possibile estrarre elementi di demografia locale è la Descriptio provinciæ Romandiolæ, un rapporto statistico redatto per volere del cardinale Anglico de Grimoard, legato pontificio della Provincia Romandiolæ. Il documento, datato 9 ottobre 1371, contiene una minuziosa descrizione topografica e amministrativa dei luoghi, dei tributi fissi e delle persone che avevano capacità contributiva. La Descriptio provinciæ Romandiolæ era soprattutto uno strumento per la riscossione delle tasse, ma indirettamente fornisce utili indizi circa la popolazione. Il documento censisce solo i fuochi, quindi i nuclei familiari (e non il numero delle persone) in grado di pagare un censo. I focularia presenti a Forlì erano 2300, e questo la rendeva la città più popolosa della Romagna. Poiché vengono indicati solo i focolari e non il numero degli abitanti, è difficile stabilire un numero esatto della popolazione. Indicativamente 2300 focolari dovevano corrispondere ad una popolazione compresa tra i 10000 ed i 13000 abitanti, a cui si dovevano aggiungere qualche centinaio di religiosi che, non essendo sottoposti a tassazione, non rientravano nel numero censito dalla Descriptio provinciæ Romandiolæ.
Ai fini erariali, furono condotti studi demografici anche nella Forlì pre-unitaria. Nel 1770 la città contava 10.632 abitanti, nel 1786 ne contava 11.619 più 13.380 nelle zone rurali
Secondo l'almanacco del Dipartimento delle Rubicone del 1811, conservato nell'archivio di Stato, Forlì era la città più popolosa della Romagna con 12.955 abitanti (13.565 considerando il Comune), seguita da Faenza con 12.512, Ravenna 10.244, Cesena con 8110 e Rimini con 8082.La popolazione complessiva del dipartimento del Rubicone era di 271.091 abitanti.
Nel 1820 vengono contati 13.471 abitanti, nel 1828 vengono censiti 17.192 abitanti solamente nelle zone rurali mentre nel 1830 gli abitanti della città sono 13.390. Nel 1834 si registrano 17.417 abitanti nelle zone rurali nel 1840 vengono censiti 15.637 abitanti all'interno della città. Nel 1850, ultima rilevazione nella Forlì pre-unitaria, si registrano, all'interno della città, 15.902 abitanti
La popolazione cittadina, dopo l'incremento più sostenuto degli ultimi decenni del settecento, mostrava un tasso di crescita assai più contenuto a partire dai primi anni della restaurazione, in concomitanza con la crisi del 1816-1817. Il tasso di crescita così basso destò preoccupazione nella locale commissione del primo censimento dell'Italia unita nel 1861. La commissione infatti sottolineava come nel lungo periodo il tasso di incremento della popolazione appariva del tutto insoddisfacente, essendosi attestato, nel trentennio 1830-1860, a poco più dello 0,4%, con un saldo positivo di soli 4335 individui in termini assoluti. I morti infatti erano stati 33.342 e le nascite erano 37.349.
Nel censimento effettuato nel 1881 il numero degli abitanti del comune era di 40.934 suddivisi, secondo il luogo di dimora, in 16.016 in città, 2023 nei sobborghi e 22.895 nelle campagne. Tenuto conto degli abitanti riuniti nelle frazioni rurali, la popolazione agglomerata era all'incirca di 19.000 persone.
Dall'ufficio di stato civile risulta che la popolazione del comune di Forlì all'ultimo dell'anno 1892 era di 44.285 persone. Tale ufficio tiene distinta la popolazione in urbana, cioè quella che vive all'interno della cinta muraria, e di rurale, vale a dire quella che si trova al di fuori delle mura cittadine. Tale divisione porta a 16.000 persone all'interno della città e 28.085 nelle aree rurali.
Il censimento del 1881 contava a Forlì 14.000 persone addette all'agricoltura, 5.600 industriali o molto più spesso artigiani, 600 commercianti, e 1400 benestanti o inattivi, 1400 impiegati, 1000 militari, 370 impiegati governativi e comunali, 160 religiosi, 25 fra avvocati e notai, 85 addetti alle professioni sanitarie (medici, chirurghi, farmacisti veterinari e infermieri), 200 insegnanti, 46 fra ingegneri e architetti, 140 facchini, 225 mendicanti e 5000 senza professione, la maggior parte erano donne addette alle cure domestiche e 3000 che non si classificavano in alcuna di queste categorie. In questo censimento non venivano considerati bambini al di sotto degli 8 anni.
Il censimento del 1901 fu il primo, nell'Italia unita, a suddividere la popolazione del comune secondo l'area di residenza; in totale vi erano 43.325 abitanti di cui 15.465 residenti in città e 27.860 nelle campagne. La popolazione perciò era prevalentemente ubicata nelle campagne e, confrontando i dati con i censimenti successivi, si denota un progressivo abbandono delle campagne a favore della città.
Dopo il 1860, a seguito di una lenta ma progressiva meccanizzazione delle campagne e la nascita delle prime fabbriche, un numero sempre maggiore di braccianti si orientò verso la città che quindi cominciò a crescere di abitanti. L'amministrazione comunale nel 1862 avvia uno studio per classificare la popolazione dividendola per età. Nella città i maschi da zero a 15 anni sono 2013, le femmine 2031. Fra i 15 e i 30 anni i maschi sono 3652 e le femmine 2178. Tra i 30 e di sessant'anni i maschi sono 2940 e le femmine 3156 mentre tra i 60 e i 93 anni i maschi sono 799 e le femmine 954. In linea generale perciò la popolazione del comune era composta in grande maggioranza da bambini (circa il 30%) e da adulti, mentre gli anziani erano circa il 7-8% del totale
Ospedale Villa Igea
Il primo ospedale cui si abbia memoria a Forlì, sorse tra l'XI e XII secolo ed era noto con il nome di casa di Dio. Per tutto il medioevo gli ospedali, erano in prevalenza delle confraternite di carità o congregazioni di carità. Erano istituzioni a carattere laico e, essendo numerose, si distinguevano per il colore del saio, lo stesso dell'ordine che appartenevano. Queste pubblicazioni avevano degli ospizi e possedevano una loro piccola chiesa. Le più importanti congregazioni erano quelle dei battuti.
Fra gli antichi luoghi di cultura forlivese, vanno certamente citate le Accademie:
Accademia dei Filergiti
Accademia dei Filodrammatici
Accademia dei Filarmonici
Accademia dei Filoginnastici.
L'Istituto Musicale “A. Masini”, denominato "Liceo Musicale" fino al 2011, anno nel quale venne istituito nella città di Forlì un Liceo Musicale Statale, venne istituito nel 1926 per iniziativa dell'omonimo tenore forlivese e del Comune di Forlì. Nel 1932 fu emanato un Regio Decreto che sanciva la sua trasformazione in Ente Morale con il fine statuario di “istruire i giovani nelle varie discipline musicali, di abilitarli all'esercizio della professione e di diffondere la cultura musicale”, status e mission che sono stati confermati nel 1982 con apposito Decreto del Presidente della Repubblica.
Attualmente l'istituto conta 30 docenti e 300 allievi, che frequentano 18 corsi principali (Canto, Chitarra, Clarinetto, Clavicembalo, Composizione, Contrabbasso, Corno, Fagotto, Flauto, Oboe, Organo, Pianoforte, Propedeutica, Saxofono, Tromba, Trombone, Violino, Violoncello, Corsi per adulti). Oltre che allo sviluppo della cultura strumentale i corsi sono finalizzati alla formazione professionale seguendo i programmi ministeriali dei Conservatori. Gli allievi sono seguiti individualmente nelle lezioni di strumento e partecipano a corsi collettivi di solfeggio, storia della musica, armonia complementare e alle attività di musica d'insieme.
L'Istituto “A. Masini” promuove la divulgazione della cultura musicale anche attraverso il coordinamento della stagione concertistica comunale e l'organizzazione di master class, corsi per adulti di guida all'ascolto, conferenze, pubblicazioni storico - musicali, ed incontri musicali con le scuole primarie e secondarie del territorio.
Il liceo scientifico statale Fulcieri Paulucci di Calboli è stato istituito con regio decreto del 9 settembre 1923 e, inizialmente, ha avuto sede nei locali del Palazzo dei Signori della Missione, al tempo chiamato palazzo degli studi. La scuola fu sovvenzionata dalla cassa scolastica o elargizioni del senatore Raniero Paulucci di Calboli, in memoria del figlio Fulcieri, per un totale di 10.000 lire. Nel 1972 l'istituto fu poi trasferito nell'attuale sede, nella periferia di città, formando il centro studi insieme all'Istituto tecnico commerciale e all'Istituto geometri.
Le istituzioni museali della città di Forlì sono:
Musei di San Domenico
Pinacoteca civica
Palazzo Romagnoli (ospita la Collezione Verzocchi)
Palazzo del Merenda (ospita il Museo della ceramica, l'Armeria Albicini e l'Archivio Piancastelli)
Museo archeologico Antonio Santarelli
Museo Etnografico
Museo del Risorgimento
Museo romagnolo del Teatro
Museo Storico "Dante Foschi" (Via Piero Maroncelli, 3 Presso il Palazzo del Mutilato)
Casa Museo "Villa Saffi" (Via Firenze, 164 - frazione San Varano)
Museo Ornitologico "Ferrante Foschi" (Palazzo Numai, Via Pedriali, 12)
Museo della Ginnastica, che avrà sede presso la Casa del Balilla dopo le ristrutturazioni iniziate nel 2009.
Teatri[modifica | modifica wikitesto]
Teatro Diego Fabbri
Teatro San Luigi
Teatro Giovanni Testori
Teatro Il Piccolo
Teatro dell'Arca
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